I cannoni di Lavarone

Sci di fondo e racchette sugli altipiani trentini al confine con il Veneto, dove ancora risuona l'eco della Grande Guerra. E dalla neve emergono le fortezze austro-ungariche di Lavarone e Folgaria.

Indice dell'itinerario

Le mura del forte di Luserna compaiono all’improvviso tra gli abeti, e a pochi minuti dagli anelli la gita nel bosco con gli sci da fondo acquista un altro sapore. Fin qui c’è stato posto solo per il piacere della natura e del movimento – il sole dell’altopiano, la penombra del folto, le tracce di scoiattoli e caprioli sulla neve – ma ora, lasciati gli sci e i bastoncini su un ripiano, bastano pochi passi per entrare in un mondo diverso. Muraglioni di cemento spessi fino a un paio di metri, gelide scalinate che scompaiono nel buio, feritoie da cui gli artiglieri dell’impero di Austria e Ungheria prendevano di mira le linee italiane di Asiago e i forti.
Fu dopo il 1866, quando l’annessione del Veneto all’Italia spostò il confine sugli altipiani del Trentino, che i generali di Vienna iniziarono a far costruire Luserna e i suoi poderosi vicini (Vezzena, Belvedere, Sommo Alto, Cherle). Tra il 1915 e il 1917 i cannoni tuonarono senza sosta; poi, con la pace, il silenzio è tornato tra i boschi, le armi sono state rimosse e generazioni di ‘recuperanti’ hanno provveduto a smontare e a fondere il metallo residuo.
Ma le mura di pietra sono rimaste al loro posto e oggi, in tutte le stagioni, i forti di Folgaria, Lavarone e dintorni aggiungono il fascino della storia a quello della natura degli altipiani. Dalla primavera all’autunno le strade militari di novant’anni fa permettono comode passeggiate a piedi o in mountain bike; d’inverno, quando boschi e pascoli riposano sotto la neve, le fortezze diventano mete per passeggiate con le racchette da neve (le ciaspole di moda in Trentino) o con gli sci da fondo.
Luserna si raggiunge deviando dagli anelli di 5, 12 e 15 chilometri che iniziano da Malga Millegrobbe. Al forte Cherle si arriva dall’omonimo passo per un anello che consente di inoltrarsi, sci ai piedi, nel fossato che circonda l’edificio. Il forte Belvedere, che ospita un museo dedicato alla Grande Guerra, si raggiunge da Lavarone mediante un viottolo troppo assolato per trasformarsi in un itinerario sugli sci; vale comunque la pena di camminare mezz’ora per vedere le mura e per affacciarsi sulla Val d’Astico e sulle montagne di Asiago dalle torrette che ospitavano i cannoni.
Ma sugli altipiani non tutto il fondo è all’insegna delle memorie della Grande Guerra. Sul Passo Coe, a 7 chilometri da Folgaria, si può scegliere tra quattro bellissimi anelli fra i 3 e i 15 chilometri di sviluppo che si snodano tra boschi, malghe e radure. La quota tra i 1.600 e i 1.750 metri offre neve anche negli inverni meno rigidi, mentre le deviazioni fuori pista portano a punti panoramici di prim’ordine, come la cima Maggio. Tra i boschi a oriente del passo, un antico cippo in pietra segna il confine tra il Veneto e il Trentino. Sul valico, il Centro Fondo (inaugurato quattro anni fa dall’azzurra Stefania Belmondo) è utilizzato come punto di appoggio per corsi, raduni e gare di ogni livello.
Appena più in basso (si scia intorno a quota 1.500), altrettanto piacevoli sono i quattro anelli di Malga Millegrobbe, nei pressi di Luserna: partono dalla Millegrobbe di Sotto, attraversano un pianoro e salgono nel bosco verso il forte, che resta però invisibile a chi non sceglie di andare alla sua scoperta tra gli abeti. Quando l’innevamento è scarso, reticolati e trincee ricostruiti compaiono anche sui pianori intorno alla Malga Millegrobbe di Sopra: qui, ogni inverno (quest’anno il 19, 20 e 21 gennaio) si corre la Millegrobbe, una gran fondo suddivisa in tre tappe accessibile anche ai fondisti che non hanno velleità agonistiche.Per chi preferisce la discesa, il fascino di Folgaria sta nella comodità di accesso dalla Val d’Adige e dalla pianura. Basta mezz’ora per salire da Rovereto e dall’autostrada del Brennero al paese; altri dieci minuti portano alla base degli impianti. Le piste, che si sviluppano per 60 chilometri, sono larghe, assolate e in grande maggioranza facili. «Il nostro è uno sci per famiglie, a prezzi accessibili, ideale per i nuclei con bambini» conferma Fernando Larcher dell’APT degli Altipiani Trentini. La qualità dei percorsi – unita a quella degli alberghi e dell’ambiente – è stata riconosciuta tre inverni fa da un’indagine del Touring Club Italiano che ha scelto Folgaria come migliore stazione sciistica dell’anno, e il sesto posto ottenuto da Lavarone (che ha preceduto località rinomate come San Candido e Madonna di Campiglio) sottolinea la caratura dell’offerta turistica di queste montagne.
A Folgaria, d’altro canto, non si viene solamente per lo sci. In paese una fila di clienti in attesa staziona spesso davanti alla norcineria di Andrea Cappelletti, uno degli ultimi produttori di speck artigianale del Trentino. Altrettanto richiesti sono i formaggi prodotti dai casari di Lavarone che producono tutto l’anno, con il latte appena arrivato dalle malghe, il grana trentino, il vezzena e l’asiago; nello spaccio del caseificio, oltre al formaggio, si possono acquistare burro e ricotta.
D’altro genere è la tradizione che si può scoprire a Guardia, piccola frazione di Folgaria. In un grande chalet costruito dallo stesso artista sono esposte le opere di Cirillo Grott, uno dei migliori scultori in legno del Trentino (prematuramente scomparso nel 1990); la moglie Sandra, con l’aiuto dei figli, si occupa della casa – che è a metà tra una galleria d’arte e un museo – e del vicino ristorante. Per iniziativa di Grott, inoltre, molte abitazioni di Guardia sono decorate da colorati murales.
In questa zona è ben viva anche la tradizione dei cimbri, i montanari arrivati dalla Baviera a Luserna tra il Due e il Quattrocento, che hanno conservato nei secoli la loro parlata germanica, come rivelano anche i cartelli bilingui che indicano Platz, Kulturverein (circolo culturale) o lo stesso nome del paese, Lusern. A mettere in difficoltà chi comprende il tedesco moderno provvedono però il cartello che annuncia Biar soin Cimbarn (noi siamo Cimbri) e quello che traduce il nome di Malga Millegrobbe di Sotto in Untar Millegruam.
Spiega Luigi Nicolussi Castellan, presidente del Centro Documentazione di Luserna: «Il dialetto dei cimbri ha poco a che fare con la lingua parlata oggi a Monaco o ad Amburgo. E’ il dialetto medioevale dei minatori, degli allevatori e dei boscaioli, solo in parte modificato nell’Ottocento dall’arrivo di una nuova ondata migratoria dal Sudtirolo. Abbiamo aperto un museo e accogliamo studiosi che arrivano dalla Germania e dall’Austria… A Folgaria e Lavarone il cimbro è stato cancellato dal fascismo, qui e ad Asiago è sopravvissuto, ma oggi rischia di sparire a causa della televisione. L’unica soluzione è insegnarlo ai ragazzi».
Affacciandosi sulla Val d’Astico dalla piazza di Luserna, lassù tra gli abeti compaiono le muraglie del forte. Ma contro le invasioni di oggi non si possono usare i cannoni.

PleinAir 378 – gennaio 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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