Ho scoperto una grotta

Un lungo torrente sotterraneo da visitare in barca, un'immensa cavità rocciosa dove si passa persino con il camper: giochi della geologia fra i monti dell'Ariège.

Indice dell'itinerario

Le umide pareti rocciose scorrono lentamente davanti ai nostri occhi mentre lo sciabordio dell’acqua lungo lo scafo si diffonde nell’ambiente rimbalzando, amplificato, tra le pareti della grotta immersa nel buio. In lontananza, le tenui luci delle lampade a filamento dal caldo colore arancione si riflettono sull’acqua accentuando le forme di centinaia di stalattiti e stalagmiti, e lentamente l’oscurità si dissipa attorno alla barca carica di persone ormai fuori dalla stretta galleria.
L’organizzazione del tour nautico nelle grotte di Labouiche vuole suscitare nei visitatori la medesima sensazione che nel 1908 provò una piccola squadra di esploratori composta dal dottor Dunac, medico della vicina città di Foix, dai suoi due figli e da altrettanti assistenti la prima volta che ebbero a visitare la parte iniziale di questo sistema di grotte che si sviluppano a circa 60 metri di profondità, tra le rocce calcaree delle colline ai piedi dei Pirenei nel dipartimento francese dell’Ariège. Il complesso ipogeo si è formato a seguito dell’azione delle acque piovane e di disgelo dei nevai che, penetrando nel terreno, aumentarono il proprio grado di acidità, trasportarono sabbia e ciottoli, corrosero e limarono le piccole spaccature di infiltrazione nel terreno creando cunicoli sempre più grandi. Raggiunto infine un livello di roccia più dura che bloccò la formazione in verticale delle grotte, ebbe inizio l’espansione in orizzontale finché le acque bucarono la montagna e uscirono allo scoperto formando il torrente Fajal. Tutto questo era ancora sconosciuto quando Dunac e il suo gruppetto iniziarono a seguire con torce e lampade a petrolio il corso sotterraneo del torrente: ma dopo circa 300 metri furono costretti a fermarsi a causa di un sifone, una curva verso il basso che il torrente compie scomparendo sotto la pietra e che a quei tempi era impossibile da superare.
«Attenti alle teste, la roccia è molto dura!» esclama la guida interrompendo il racconto e facendo notare un basso spuntone, incastonato nel soffitto, che provoca una serie di battute di mogli e fidanzate sulle molte teste dure presenti a bordo. Poi la storia continua, e veniamo a sapere che ci vollero quasi trent’anni per esplorare completamente il sistema e uscire circa 4 chilometri più a valle. Dopo la scoperta della grotta Reynald, nel 1938, il percorso fu aperto al pubblico divenendo uno dei torrenti navigabili sotterranei tra i più lunghi d’Europa. Tra il 1940 e il 1943, alcune ricerche effettuate dall’archeologo francese Louis Meroc permisero inoltre di scoprire alcuni reperti dell’epoca gallo-romana e un insediamento preistorico che fecero crescere l’interesse per questo sito; oggi sono oltre 80.000 i visitatori che annualmente visitano le grotte di Labouiche.
La guida termina il suo racconto mentre il pubblico, attento e silenzioso, osserva le diverse conformazioni che lentamente scorrono ai lati, come la roccia a forma di lupo ululante alla luna, la foresta di stalattiti e stalagmiti, l’elefante. Ad un tratto davanti alla prua si accende una luce subacquea, l’imbarcazione si ferma e la guida ci indica, poco sotto il pelo dell’acqua, una lucertolina dalla livrea marrone che se ne sta tranquilla vicino alla lampada, forse attirata dal calore: è un euprocte dei Pirenei, un anfibio lungo una dozzina di centimetri, che si nutre di insetti caduti nel fiume e trasportati all’interno dalla corrente. Normalmente vive in alta montagna, ma qui si è abituato al buio diventando uno dei pochi abitatori di questo microcosmo geologico insieme a qualche coleottero.Raggiunto un porticciolo sotterraneo, accostiamo al moletto di ormeggio e, messo piede a terra, ci incamminiamo in colonna verso una rampa di scale che conduce a un secondo livello del fiume, creato da un grosso ammasso roccioso staccatosi dalla volta secoli or sono che ha formato una diga naturale e, nel contempo, ha generato un’altra piccola cavità oggi sfruttata per superare lo sbarramento. In una sorta di cantiere notiamo alcune barche di alluminio in costruzione: non possono infatti essere trasportate all’interno della grotta per via del loro ingombro, e così si è trovata la soluzione di portarle smontate in questa piccola area per poi rimontarle e vararle direttamente nel torrente.
Il viaggio continua alla volta del lago sotterraneo e della suggestiva cascatella di Salette, punto d’ingresso delle acque. Si arriva così allo sbarco dove una ripida ma comoda scala in cemento risale alla grotta Reynald, una delle maggiori del complesso e l’ultima prima di tornare all’aria aperta. Nella sala si assiste a un piccolo spettacolo di luci che mette in evidenza alcune particolarità geologiche e forme di stalattiti e stalagmiti che ricordano pagode indiane, drappi ornati di pizzi e merletti o colonne di antichi templi. Infine, una passeggiata lungo un sentiero che attraversa una fitta macchia boschiva ci riporta alla biglietteria e al bar, ovviamente preso d’assalto.

Attraverso la roccia
Visitare una grotta stando seduti in barca è già una piacevole esperienza, ma che dire se basta rimanere comodi nel proprio veicolo? Succede in un’altra gigantesca grotta-museo della regione, il Mas d’Azil, che attraversa anch’essa una collina ai piedi dei Pirenei: la si raggiunge con la D628 sino a Pailnes per poi proseguire sulla D119. La strada si inerpica con una serie di curve e tornanti in un verde paesaggio di boschi di castagno per giungere ai piedi di un’alta e strapiombante parete rocciosa, dove sembra avere fine: ma dopo un’ultima curva ecco apparire l’imbocco della grotta, un grande buco nero seminascosto dalla vegetazione dal quale sgorga un torrente dalle acque cristalline. L’ingresso è illuminato lateralmente da luci al neon poste in basso per dar modo agli occhi di abituarsi al buio e scoprire nella tenue luce la vastità degli spazi. Nel primo tratto la roccia sfiora il tetto del camper (attenzione se siete alla guida di un mezzo particolarmente alto) provocando una certa apprensione; poi, dopo una trentina di metri, la volta si alza raggiungendo un’altezza vertiginosa e in pochi minuti ecco l’uscita, un altro enorme foro ellittico largo diverse decine di metri. Un ampio parcheggio, situato quasi al centro della grotta davanti all’ingresso del museo preistorico, permette di parcheggiare e di seguire a piedi un tracciato agevole e ben illuminato che separa la strada dal torrente, ammirando l’immensa volta rocciosa incredibilmente piatta e liscia che sovrasta questa suggestiva opera della natura nel cuore dei Pirenei.

PleinAir 408/409 – luglio/agosto 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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