Hic sunt Sabini

Piano piano, seguendo il Tevere, esploriamo in camper le terre subito a nord di Roma. Natura avvincente, paesi sereni e campagna solatia, in un ambiente quasi misconosciuto eppure ricco di grandi memorie storiche e culturali.

Indice dell'itinerario

Il nostro itinerario alla scoperta della media valle del Tevere comincia 30 km a monte di Roma, presso i resti di Lucus Feroniae. Provenendo da Roma, il luogo può essere raggiunto dalla Via Tiberina e dalla Salaria, con deviazione per il Ponte del Grillo. Per chi arriva in autostrada, prendere l’uscita di Fiano Romano, il cui casello è prossimo agli scavi. Se le opere in corso lo permettono, non va dimenticata la visita alla Villa della gens Volusia. Il paese di Fiano Romano, su un poggio pochi chilometri più avanti continuando sulla Via Tiberina, merita attenzione per il suo centro storico cinto da mura, con l’armonioso castello Orsini. Converrà lasciare il mezzo nel parcheggio (comodo anche per soste notturne) decentrato sulla sinistra, subito prima della porta urbica. Sopra la porta, fate caso al singolare stemma del paese, la cosiddetta mazzafrusta, antico strumento per battere il grano, che conferma la vecchia vocazione agricola di Fiano. La piazza oltre la porta è già quella del castello, appartenente dal 1993 al Comune. Visite guidate degli interni si svolgono la terza domenica di ogni mese, quando ha luogo anche il mercato. Con lo stesso biglietto (prezzo L. 5000) si ha altresì diritto alla visita guidata del centro storico e dell’area archeologica di Lucus Feroniae.
Ma è giunto il momento di avvicinarci al fiume. La strada che scende alla destra del castello ci riporta in breve alla Tiberina; lungo questa si trova la centrale idroelettrica di Nazzano, del 1956, che – con l’ostruzione della diga – creò senza volerlo l’habitat che avrebbe dato origine alla riserva. Qualche centinaio di metri più avanti ecco la possibilità di accedere al corso del fiume per un ingresso non segnalato della Riserva Naturale Tevere-Farfa. Occorre, dalla Tiberina, prendere l’anonima stradina asfaltata sulla destra che conduce dopo alcune curve al cancello di una vecchia cava di sabbia. Qui, al margine della strada, c’è spazio per la sosta.

In riserva
L’ombroso sentiero detto della Fornace, che inizia a fianco del cancello, segue il fiume per un paio di chilometri. Chi ha con sé la bici può usarla, ma sarà a piedi e usando molta cautela che si avranno le migliori possibilità di avvistamenti. Tra le specie presenti tutto l’anno ci sono il germano reale e, da qualche tempo, il cormorano.
La vecchia carrareccia è orlata di bosco a carpini neri, ornielli, vari tipi di quercia e sfiora in vari punti dei relitti di tronchi abbandonati dalle piene, graditi per la sosta a varie specie. Dove inizia il canneto, alcuni camminamenti attrezzati con traversine di legno superano la palude e permettono di raggiungere vari osservatori coperti. Dinanzi al primo di questi (subito prima del fabbricato diruto di una vecchia fornace) un grosso tronco in mezzo al fiume è il posatoio preferito dei cormorani, dove restano a lungo ad ali completamente dispiegate. La posizione è motivata dal fatto che l’impenitente pescatore subacqueo non secerne, a differenza d’altri pescatori, grassi capaci di impermeabilizzarne le penne. Terminate le immersioni deve dunque cercare di farle asciugare il prima possibile per non esserne appesantito nel volo.
Riprendiamo la Tiberina fino a raggiungere l’ingresso principale della riserva, passando per Nazzano. Istituita fin dal ’79, per entrare in funzione nell’83, la Riserva Naturale Tevere-Farfa (direzione tel. 0765/332533) fu la prima delle aree protette regionali del Lazio. Dal paese di Nazzano una stradetta asfaltata raggiunge l’area di parcheggio in terra battuta della riserva, dove la sosta è ammessa solo durante il giorno. L’assenza lungo tutto il nostro itinerario di aree attrezzate per i camper e di campeggi mostra la mancanza di attenzione al pleinair come strumento di risveglio e rivalutazione dell’ambiente. Ma sembra sia nei progetti della riserva di ovviare anche a tale mancanza. Dal posteggio si scende in breve a un vecchio pontile dove è tuttora ormeggiata una zattera per il traghettamento a fune, ora fuori uso. La riserva si estende infatti anche sul lato sinistro del Tevere, dove ha il suo punto di riferimento nella foce dell’affluente Farfa, dotata essa pure di un valido capanno di avvistamento. Il sentiero La Mola che percorre questa zona prende nome da un vecchio mulino che utilizzava la corrente del Farfa. La ricchezza e varietà dei volatili d’inverno rimane considerevole: si va dalla pavoncella alla gallinella d’acqua, al martin pescatore, alla folaga. Ci si potrà imbattere anche in quel veloce nuotatore che è il miopotamo, più conosciuto con il nome di mutria. Per raggiungere l’area a sinistra del Tevere si continua la Tiberina oltre Torrita fino a superare il ponte sul fiume, deviando di qui a destra sull’angusta stradina bianca (sconsigliabile ai camper) che passa accanto a una cava di sabbia. Con le bici il discorso è ben diverso e non occorre nemmeno percorrere la provinciale. Abbandonato il mezzo al posteggio della riserva, basta scendere al vecchio pontile e seguire sulla sinistra il cammino lungofiume, destinato a sboccare direttamente al ponte che dicevamo e quindi alla stradina accanto alla cava. Soluzione ottimale per il ritorno, quella di servirsi del traghetto… quando sarà.

Paesi sul ciglio
Da Fiano si può anche deviare per Civitella San Paolo, paesino collinare che presenta la configurazione caratteristica di molti centri storici della valle. Questi insediamenti medioevali scelsero di regola poggi di forma allungata, che sull’estremità rivolta al Tevere erano troncati da un ciglione difendibile, mentre sul lato opposto il passo era chiuso dal castello o almeno da un muro. A Civitella, la porta d’accesso al vecchio piccolissimo abitato è il sottopasso di una salda rocca abbaziale dai merli guelfi, un tempo preceduta da un fossato con ponte levatoio. La rocca sorse per opera dei Benedettini di San Paolo, dopo che Gregorio VII decise nel 1081 il rafforzamento della sponda destra del Tevere. Tale disegno era mosso dall’intento di contenere l’espansione del potente monastero sabino di Farfa, di fondazione germanica e fedele all’imperatore. Un ampio parcheggio si trova nella parte nuova dell’abitato, alle spalle della chiesa. A Nazzano il castello, che domina l’abitato da una prominenza a picco sul fiume, fonde le forme del Duecento con gli aggiornamenti apportati agli inizi del Cinquecento. Fece parte dei capisaldi in riva destra affidati ai monaci di San Paolo in funzione antifarfense, ma conobbe anche il dominio della potente famiglia romana dei Savelli. Nell’originaria costruzione, due torri angolari contrapposte bastavano a controllarne l’intero perimetro. Il castello, che ci dicono sia in vendita, non è attualmente visitabile ma vale la pena di apprezzarne la veduta dalla sua base per poi salire attraverso l’adiacente Arco del Forno. Si visita così il nucleo più antico dell’abitato per concludere a un microscopico slargo con l’ingresso del castello, una fresca fontanella, un’alta veduta sul corso del fiume. Alle soglie del paese si trova un’indicazione di parcheggio, ma c’è un’alternativa. Occorre percorrere in senso antiorario la circonvallazione che passa ai piedi dell’abitato (di qui anche l’accesso alla riserva) fino al segnale per il municipio. Qui una ripida rampa di una trentina di metri (ma senza particolari difficoltà), quindi la svolta a sinistra per il parcheggio del Belvedere.
Torrita Tiberina domina, come Nazzano, il tratto nel quale le alture tufacee della sponda destra più si avvicinano al Tevere. Un parcheggio si trova sulla Tiberina all’ingresso del paese. Controlla l’accesso all’abitato un palazzo baronale. Di lato al paese scende al Tevere la stradina (sconsigliabile ai camper) costruita nell’Ottocento per accedere al porto di Torrita, chiamato porto del carbone, dove faceva scalo il piroscafo.

Sabina Tiberina
La nostra esplorazione prosegue ora sul lato sinistro del Tevere. Poco oltre il ristorante Cinzia, si imbocca una larga strada sulla destra (non segnata sulla maggior parte delle cartine). Il fondo è buono, a parte i cinquecento metri (comunque percorribili) costellati da buche subito prima di Stimigliano Scalo. Stimigliano, che domina dall’alto un’ampia porzione del Medio Tevere, ripete la posizione terminale su un lungo poggio già vista per i centri dell’altra sponda. Il nobile palazzo Orsini, cinto da un profondo fossato, nel controllare l’accesso al centro storico fa da argine a possibili attacchi. Si parcheggia sul piazzale esterno. Da non mancare uno spuntino a base di falloni, calzoni ripieni di verdura che costituiscono la pregevolissima specialità locale.
Addentrandoci all’interno del versante tiberino della Sabina ci attende una delle tante piccole capitali della provincia italiana del passato: è Collevecchio, il cui sito fu scelto nel Medioevo per l’aria buona. All’inizio del Seicento, Collevecchio fu per quasi due secoli sede del Governo di Sabina istituito da papa Paolo V, la cui giurisdizione copriva tutta la parte sud-orientale dell’odierna provincia reatina. La memoria di quel ruolo si avverte in vari dignitosi palazzi della stessa epoca: quello del Governatore, dovuto all’ampliamento di un edificio appartenuto ai Savelli; Palazzo Pistolini su disegno del Vignola; l’imponente Palazzo Piacentini, dovuto a Sangallo il Giovane.
Il nostro itinerario ha cambiato orizzonti barattando la vista del fiume con un mosso paesaggio collinare; sfiora la sagoma compatta di Tarano, Montebuono, patria di un olio d’oliva di qualità e Rocchette, piramide medioevale a controllo della gola scavata da un torrente. Ma qui a Rocchette, l’antica Rocca Bertalda, si prende la strada asfaltata senza segnali che scende inizialmente nel fosso. Bastano un paio di tornanti per salire ai resti di un maniero e dell’annesso villaggio da pochi anni disabitato. Mimetizzato tra i calcari, Vacone è un alto e microscopico paesello che gode del maggior panorama verso la valle tiberina. C’è solo un negozio di alimentari e poche stradine silenziose. Nel punto più alto, dietro il palazzo d’epoca, l’ampio piazzale pensile necessario perché il pullman di linea potesse rigirarsi è anche validissimo posto per una sosta, dal quale affrontare magari la mulattiera tra i lecci per il vecchio romitorio.
Lentamente ridiscendiamo ora verso il fiume, dove ci aspetta una perla di questa parte della Sabina: l’anomalo caso di una cattedrale sorta in aperta campagna. Nei pressi si vedono anche i resti del municipium romano di Forum Novum, abbandonato per malaria e impaludamenti. Ciò non impedì che alla fine dell’VIII secolo Santa Maria in Vescovìo divenisse sede vescovile, fregiandosi del titolo di Cattedrale dei Sabini. Il complesso è molto suggestivo, anche se della prima chiesa restano solo lapidi e marmi riutilizzati: si dovette infatti provvedere a ricostruirla dopo che un’orda saracena, spintasi fin qui, ebbe mandato tutto a fuoco. Non distante, il ristorante Dario è un buon approdo per i cultori della cucina rustica.
Prima di raggiungere Poggio Mirteto Scalo, recuperando quindi l’autostrada o le statali, un’ultima tappa ci porta a Cantalupo. La sua attrattiva principale è un singolare palazzo double-face che verso est e la campagna presenta la struttura possente e severa del castello medioevale d’origine, mentre verso ovest venne trasformato dal Vignola nella loggia e nell’elegante corpo rinascimentale di Palazzo Camuccini. Peccato che la raccolta piazzetta antistante al palazzo, ingentilita da una fontana e dal composto barocco della chiesa di San Biagio di recente restauro, sia adibita a posteggio, a discapito dell’armonia estetica del luogo.

PleinAir 317 – dicembre 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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