Gran Paradiso del fondo

Ottanta chilometri di piste battute, tre aree di sosta attrezzate e tre campeggi aperti tutto l'anno fanno di Cogne una meta invernale privilegiata per il fondista pleinair. Di certo la più ospitale del Gran Paradiso, e non solo.

Indice dell'itinerario

Si racconta a Cogne che alcuni valligiani, in un tardo pomeriggio invernale dei primi del ‘900, videro una misteriosa figura scivolare sulla neve e per lo stupore gridarono al fantasma. In realtà l’involontario protagonista di tanto clamore era il norvegese Nordsten, un ingegnere allora direttore delle locali miniere di ferro, che aveva importato dalla sua terra la pratica dello sci di fondo. E’ anche grazie a lui se poi questa attività si è diffusa nella zona e oggi rappresenta il principale richiamo turistico invernale di Cogne e dintorni.
Nelle annate generose di neve gli appassionati hanno a disposizione oltre 80 chilometri di piste battute, per passo alternato e pattinato, che dalla piana di Cogne si sviluppano con percorsi di varia lunghezza e difficoltà toccando diverse frazioni tra cui Epinel, Lillaz, Champlong e Valnontey, sullo sfondo di una natura spettacolare come quella del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Le miniere e il parco sono realtà che hanno inciso profondamente, seppur in tempi diversi, nella storia di Cogne. Le prime, che tanta importanza hanno avuto nell’economia locale fin dal XV secolo (ma secondo alcuni storici il loro sfruttamento risalirebbe addirittura all’epoca romana), nella prima metà dell’Ottocento attraversarono un periodo particolarmente favorevole ed erano considerate tra le prime in Europa per capacità estrattiva e qualità del minerale. La fontana di ferro costruita nel 1809, uno dei simboli di Cogne, se ne sta affacciata sul prato di Sant’Orso a ricordare quell’epoca ormai trascorsa. Ancora a metà degli anni ’60 le miniere davano lavoro a oltre 700 persone e sono rimaste in funzione tra alterne vicende fino al 1979, quando sono state chiuse definitivamente.
Più recente ma non meno importante la storia del parco, le cui origini sono legate al suo animale simbolo, lo stambecco. E’ infatti per proteggere questa specie dall’estinzione che già nel 1856 il re Vittorio Emanuele II dichiarò riserva reale di caccia una parte dell’attuale area protetta, formando un corpo di guardie specializzate e costruendo una rete di sentieri utilizzati ancora oggi da escursionisti e guardaparco. Nel 1920 Vittorio Emanuele III donò allo stato italiano i 2.100 ettari della riserva reale e il 3 dicembre del 1922 un regio decreto istituì il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il primo in Italia, la cui ampiezza andò man mano incrementandosi fino a raggiungere gli attuali 70.000 ettari distribuiti tra Piemonte e Valle d’Aosta.Sviluppandosi su un territorio prevalentemente montano, con altitudini variabili dagli 800 metri del fondovalle ai 4.061 metri della vetta Gran Paradiso, il parco racchiude estesi boschi di larici e abeti, grandi prati alpini, pareti rocciose e ghiacciai. Ricca la presenza di fauna: circa 12.000 marmotte, 9.000 camosci, 4.000 stambecchi, 7-8 coppie di aquila reale e una coppia di gipeti (scomparsi dal parco nel 1912, stanno tornando grazie a un progetto internazionale di reintroduzione). Inoltre ci sono segnali incoraggianti circa il ritorno di due grandi predatori, il lupo e la lince, la cui presenza è stata segnalata occasionalmente. A vigilare su questo paradiso ci pensano circa 60 guardaparco (si accede alla professione tramite concorso), che percorrono quotidianamente sentieri e mulattiere con i compiti principali di censimento della fauna e sorveglianza contro il bracconaggio. In passato quest’ultimo è stato un fenomeno molto diffuso, specialmente durante e dopo la guerra (il numero degli stambecchi si ridusse drasticamente da oltre 3.000 a circa 400), ma in gran parte era dettato dalla necessità e le guardie chiudevano un occhio. Oggi esiste ancora, inutile negarlo, ma per fortuna in misura modesta.
Possiamo dire che, a ottant’anni dalla sua nascita e dopo tante difficoltà, il parco sembra aver trovato finalmente un po’ di pace. Le comunità montane non lo considerano più un ostacolo (certo qualche scontento c’è sempre), ma una risorsa che apporta turismo estivo e invernale. E Cogne (1.534 metri di altezza e 1.500 abitanti) ne è la dimostrazione: in agosto, periodo di maggior afflusso, la sua popolazione arriva a toccare le 15.000 unità, mentre d’inverno lo sci nordico (su cui saggiamente Cogne ha puntato, dopo i veti posti alla costruzione di impianti di risalita per lo sci alpino) attira migliaia di fondisti di ogni livello, provenienti da tutta Europa, che si cimentano sulle tante piste perfettamente battute.
Un percorso particolarmente suggestivo (non a caso uno dei più frequentati delle Alpi) è quello che dal Prato di Sant’Orso sale a Valnontey seguendo il torrente e da qui, costeggiando alcuni alpeggi, arriva al ponte dell’Erfolet, fin quasi sotto i ghiacciai del Gran Paradiso. Lungo il tragitto non è difficile avvistare stambecchi e camosci, talvolta anche a distanza ravvicinata, che d’inverno lasciano le vette innevate per scendere in cerca di cibo. Per i neofiti dello sci di fondo o per chi vuole migliorare la propria tecnica, sul prato di Sant’Orso operano i maestri della scuola di sci Gran Paradiso, mentre gli amanti delle lunghe distanze possono provare a cimentarsi nella tradizionale Marcia Gran Paradiso, famosa gara di fondo a tecnica classica nata nel 1975, che si svolge ogni anno in febbraio e si snoda su un percorso di 45 chilometri (per saperne di più, consultare il sito www.marciagranparadiso.it). Ma anche per chi non scia, le attrattive non mancano. Si possono fare escursioni guidate nel parco con racchette da neve, meglio se muniti di binocolo e macchina fotografica, oppure caratteristiche passeggiate in slitta trainata dai cavalli, immersi nel candido paesaggio invernale.
Lillaz, a pochi chilometri da Cogne, è un paesino famoso per le sue cascate, tra le più belle dell’intero arco alpino, le cui acque gelate offrono in inverno l’opportunità di praticare l’arrampicata su ghiaccio (emozione riservata ad alpinisti esperti). Da non mancare una puntatina a Gimillan, vicina frazione a 1.787 metri di quota, da dove si gode un panorama eccezionale di Cogne e di tutta la valle, con le vette e i ghiacciai del Gran Paradiso sullo sfondo. In basso, adagiata tra il grande prato di Sant’Orso e il torrente Grand Eyvia, Cogne appare particolarmente affascinante: tra i tipici tetti ricoperti di lose (pietre di ardesia), spicca il campanile della chiesa parrocchiale, risalente al 1200 ma ricostruita e ampliata nella prima metà del XVII secolo. Il portico antistante l’ingresso aveva in passato anche una precisa funzione liturgica: era conosciuto nelle chiese valdostane col nome di porche de mariage, perché al suo riparo si svolgevano i riti preliminari del matrimonio.
Proprio nelle vicinanze della chiesa, in Via Grappein 50, c’è La Méson di Pits (orario invernale: da giovedì a domenica 9/12.30 e 14.30/19), un piccolo museo con costumi tradizionali, vecchie fotografie e antichi documenti sulla famosa arte del pizzo al tombolo. Quella dei merletti di Cogne (dentelles) è una tradizione tramandata di madre in figlia dal XVII secolo (sembra sia stata introdotta nel 1665 da alcune monache benedettine fuggite dal monastero di Cluny, in Francia) e viene tuttora insegnata alle bambine delle scuole elementari.
Proseguendo sulla stessa strada, al civico 32 si trova un negozio di artigianato IVAT (Institut Valdotain de l’Artisanat Typique) dove sono in vendita manufatti in legno, pietra e ferro battuto (con tanto di sigillo) realizzati esclusivamente in Val d’Aosta con materie prime selezionate e con criteri tramandati da generazioni. A questo proposito, è vivamente consigliata una visita all’esposizione delle sculture in legno di Dorino Ouvrier, creatore di opere straordinarie, talvolta ricavate da un unico tronco, che descrivono lo spirito della vita e della gente di montagna. E la sera, magari dopo aver gustato la cucina tipica in uno dei ristoranti del paese, ci si può rilassare nella calda atmosfera di qualche taverna dove apprezzare le esibizioni del gruppo folkloristico locale Lou Tintamaro.

PleinAir 366 – gennaio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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