Glorie nell'aria

Nei giorni di San Martino, il protettore dei mariti sfortunati, sui monti di Scanno bruciano tre immensi falò costruiti pezzo a pezzo dai contradaioli: un rito per propiziarsi un buon raccolto... e forse anche la felicità in amore.

Indice dell'itinerario

Il 1990 fu per Pasquale Lavillotti, scannese purosangue del quartiere San Martino, un anno in agrodolce. Condusse all’altare la dolce metà, ma col fatidico sì abbandonò mestamente la carriera di capo contrada, rivestita con onore dal 1978. A Scanno infatti, antico borgo medioevale dell’Aquilano arroccato a 1.050 metri di quota, per celebrare degnamente le Glorie di San Martino – il protettore dei mariti dalle donne infedeli – il capo contrada deve essere rigorosamente scapolo. Il giorno campale è il 10 novembre, quando l’autunno sta per cedere il passo all’inverno e oggi come un tempo si accendono tre gigantesche pire per ottenere buoni auspici in vista del nuovo anno.
In passato gli abitanti dei tre quartieri del paese, San Martino o Decontra, Plaia e Cardella, cercavano in cantine e solai ogni genere di vecchiume facendo poi a gara per arrampicarsi in cima a una sorta di totem e sistemare nel punto più alto il proprio passato da dare alle fiamme. Oggi il rito si compie alle pendici dei monti che circondano l’abitato, uno dei più suggestivi e decantati della regione, pieno di piazzette, ripide strade e vecchie case, chiese e fontanili di pietra, dove ancora si vedono donne avvolte nelle ampie vesti svolazzanti come in un’istantanea di Henri Cartier-Bresson: a metà del ‘900 il grande fotografo passò qui diverso tempo per realizzare un celebre reportage, e dopo di lui tanti altri grandi maestri come Ferdinando Scianna, Mario Giacomelli, Gianni Berengo Gardin, tutti innamorati delle atmosfere di questo magico angolo d’Abruzzo.
Chi arriva il mattino della festa vedrà incombere le Glorie sopra il paese, e potrà assistere in diretta alle fasi finali di preparazione. La celebrazione cade durante la cosiddetta estate di San Martino, quando le giornate miti e soleggiate che spesso caratterizzano questo periodo sono considerate, secondo la leggenda, una sorta di dono divino agli uomini prima dei rigori dell’inverno. Si racconta infatti che l’11 novembre di molto tempo fa il cavaliere Martino viaggiasse, in groppa al suo destriero, avvolto in un grosso mantello per difendersi dalle intemperie: pioveva e tirava un vento gelido quando incontrò un vecchio macilento vestito di stracci che tremava per il freddo. Non avendo con sé altre vesti, il cavaliere tagliò a metà il suo mantello e lo donò al poveretto che, ringraziandolo, si allontanò. Ripreso il viaggio, pioggia e vento cessarono all’istante, l’aria diventò insolitamente tiepida e tornò il sereno.
In ogni caso, il sole o la neve sui tetti di Scanno non sono un problema per il manipolo di uomini, bambini compresi, che si mette al lavoro già una settimana prima del giorno fatidico, dalle sette del mattino a sera fatta. L’obiettivo è innalzare gigantesche torri di legno fatte di arbusti, foglie e rami sapientemente assemblati tra loro e compattati all’interno da lunghi tronchi scortecciati, i cosiddetti palanconi, che fanno da sostegno alla struttura venendo issati con funi e sostegni e infissi a terra dentro grandi buche ricoperte di terra e sassi. Al loro interno si crea così una superficie di circa 2 metri quadrati di terreno, che giorno dopo giorno verrà riempita di rami fino al completamento della struttura. Per ciascun rione sono anche una settantina le persone impegnate nell’opera, anche se alla vera e propria realizzazione della Gloria partecipa soprattutto chi ha più esperienza, e cioè il capo contrada con i suoi collaboratori. Tutto funziona come una catena di montaggio: chi raccoglie i rami li passa agli uomini che stanno alla base, i quali a loro volta li allungano a chi si trova sulle impalcature sopra di loro e così via, finché la legna arriva alla vetta e la torre diventa sempre più alta. Le Glorie sono infatti costruite interamente a mano, frutto dell’ingegno e dell’attaccamento di un paese intero alle proprie radici.Naturalmente ogni tanto si tira un po’ il fiato: si passa alla griglia qualche robusto spuntino, si mangia, si beve, alcuni cantano, altri schiacciano un pisolino, in un clima di collettiva spensieratezza che rinforza il senso della comunità. Ma poi si riprende a sgobbare ed ecco, a lavoro terminato, le Glorie che torreggiano dall’alto dei loro 15 metri (questa più o meno è la dimensione di ogni allestimento, che ha un peso di diverse tonnellate). Ce n’è una per ciascun quartiere, distanti fra loro qualche centinaio di metri: la Gloria del rione San Martino a Monte Cerrito, quella della Plaia a Monte Genzana, quella di Cardella nella valle del Garapale.
Calata la sera, a un segnale convenuto il cherosene buttato sui rami inizia ad alimentare il fuoco. Gli immensi falò schiariscono il paesaggio ormai avvolto dall’oscurità, sprigionando fiamme e scintille: è uno spettacolo di grandissimo fascino, da vivere in prima persona scarpinando un po’ fino alle pendici dei monti oppure, come fanno in molti, gustandosi un colpo d’occhio totale delle tre pire dalla cosiddetta Aia di Sant’Angelo, uno spiazzo sopraelevato all’ingresso del paese dietro l’albergo Pace.
In origine veniva acceso solo un grande falò accanto alla grotta di San Martino, poi lo spirito di competizione – con relativi premi finali – ha portato i rioni a un’agguerrita sfida all’ultima fiamma . Per essere perfette, le Glorie dovrebbero infatti incendiarsi all’istante sprigionando fiamme uniformi, alte e luminose che salgono verticalmente senza mescolarsi a nere nuvole di fumo. Le giornate senza vento, dunque, sono di gran lunga le più auspicate dai contradaioli (i più giovani usano ancora oggi tingersi il volto con la fuliggine) che, agitando campanacci e altri strumenti, si muovono intorno alle fiamme come antichi stregoni intenti a propiziarsi misteriose forze sotterranee, un tempo ritenute responsabili dei buoni raccolti. Poi, quando le pire si saranno quasi spente, andranno per le vie del paese portando alle spose dell’anno i pezzi bruciacchiati del palancone. E’ la cosiddetta processione di San Martino, un’allegra combriccola che fa tappa sotto le abitazioni dei mariti freschi d’annata mettendoli bonariamente alla berlina con allusioni e battutacce. Il fracasso finisce solo quando la porta di casa viene aperta e tutta la ciurma si riversa in casa per abbuffarsi di golosità locali a base di vino e torcinielli. Durante la festa è anche tradizione che le donne del paese preparino un dolce a base di farina di mais, noci, fichi secchi e miele, chiamato torta di San Martino o pizza coi quattrini perché nell’impasto si mette qualche monetina per i bambini. E loro, forse per un altro piccolo miracolo del santo generoso, si ritrovano sempre tra le mani la fetta che nasconde il minuscolo tesoro luccicante.

PleinAir 411 – ottobre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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