Gli uomini della sabbia

Su uno degli arenili più frequentati dell'Adriatico, per tre giorni lavorano alla creazione di sculture tanto spettacolari quanto effimere: sono i sand men, protagonisti del campionato che ogni estate la città di Cervia dedica agli artisti del secchiello e della paletta.

Indice dell'itinerario

Vi è mai capitato di chiedervi quanti granelli di sabbia ci vogliono per fare un castello? In un centimetro cubo ce ne sono più o meno 4 milioni che, a seconda della loro storia geologica, hanno un diametro da 2 millimetri a un sedicesimo di millimetro. E sono un’infinità di miliardi quelli che ad agosto si possono osservare – combinati nelle forme più insolite, altro che giochi da spiaggia – al Beach Stadium di Cervia, sede di una delle più singolari competizioni artistiche dell’estate in riviera.
Il noto centro balneare della costa ravennate, frequentato da decine di migliaia di turisti nei mesi caldi delle ferie, offre un litorale perfettamente attrezzato che si sviluppa per ben 10 chilometri (non a caso ha collezionato, lo scorso anno, la quinta Bandiera Blu consecutiva): l’ideale, insomma, per chi vuole trascorrere la classica vacanza tra bagni, tintarella e un pizzico di mondanità. Ma forse questa rena chiara e sottile ha qualcosa in più, un segreto che riescono a portare alla luce solo i protagonisti della sand sculpture, ovvero l’arte della scultura di sabbia. Ed ecco, sotto il sole di agosto, nascere una collezione di capolavori creati con il solo uso dell’ingegno, delle mani e di pochi attrezzi da virtuosi provenienti da ogni angolo del mondo.
Vestiti con il solo costume e protetti da asciugamani, bandane ed enormi cappelli, gli scultori armeggiano con secchi e palette intorno alla loro opera. Certo, il tempo e lo spazio non consentono di eguagliare per dimensioni e complessità le più celebri sculture passate alla storia della sand art come la perfetta riproduzione fin nei minimi particolari della cattedrale di Notre-Dame di Parigi realizzata dall’americano Norman Richard Kraus o l’incredibile millepiedi lungo 2 chilometri scolpito da due texani, ma l’effetto spettacolo è assicurato.
Durante la maratona di tre giorni, tutte le opere che prendono forma nell’arena da 2.000 posti innalzata sulla spiaggia potrebbero tranquillamente venir collocate in qualche museo d’arte contemporanea, non fosse che la loro consistenza ne decreterà ben presto la fine. E’ incredibile come da un elemento così semplice, all’apparenza fragile e inconsistente, possano nascere draghi e mostri, palazzi, chiese e altre suggestive sculture alte fino a 4 metri. Mentre però nel mondo occidentale questo genere di attività è un semplice passatempo, in alcuni paesi orientali si tratta di un vero e proprio mezzo di espressione artistica e, in certi casi, il tramite che mette in comunicazione l’uomo con il divino. Gli indiani del Nord America, ad esempio, raffiguravano con la sabbia gli eroi mitologici che avevano insegnato loro a convivere in armonia con la natura; i monaci tibetani, invece, la usano ancora oggi per comporre bellissimi mandala multicolori che poi affidano simbolicamente al vento perché le loro preghiere diventino parte integrante del cosmo. E in un certo senso gli artisti che lavorano una materia tanto effimera, sapendo fin dal primo momento che nulla o quasi rimarrà di ciò che fanno, devono avere una predisposizione d’animo particolare che li avvicina idealmente a questi popoli: la consapevolezza di quanto siano vane le cose del mondo, esposte a una caducità inesorabile.
Il sand man, del resto, si riconosce a prima vista: sceso in spiaggia, anziché crogiolarsi al sole o farsi una nuotata, inizia a studiare la rena con occhio clinico fino a quando inizierà a manipolarla. Fondamentale è un controllo preliminare per verificare se ci siano conchiglie, sassi, residui di alghe, pezzi di plastica o altro materiale impuro : sono questi i peggiori nemici delle sculture di sabbia, dato che impediscono di compattarle con l’acqua. Dopo un primo esame i maestri della sand sculpture saranno in grado di valutare se la stabilità del materiale consente di procedere. Al Beach Stadium di Cervia non ci sono problemi di questo tipo perché la sabbia a disposizione è perfetta, liscia come seta, senza corpi estranei e docile al trattamento: una spruzzata d’acqua con speciali pompe è in grado di rinsaldarla perfettamente, preparandola al trattamento.
E’ questo il primo atto dell’opera che comincia a prendere forma quando gli scultori spostano tonnellate di sabbia con i badili, la mettono in appositi contenitori rigidi e la compattano pestandola a lungo con piedi e bastoni, più o meno come facevano una volta i contadini con i grappoli d’uva: l’unica differenza è che durante la pigiatura degli acini si cantavano allegre canzoni, mentre i maestri del Beach Stadium lavorano immersi in un concentrato silenzio rilassandosi solo di tanto in tanto, imbrattati da capo a piedi, sotto il tendone eretto al centro dell’arena.
La regola fondamentale è cominciare a scolpire dall’alto verso il basso, per evitare che possibili crolli danneggino le strutture sottostanti; molti, per rendere più stabile il materiale, adoperano come collante il vinavil liquido. Questi e altri trucchi del mestiere non escludono però che ogni tanto qualche parte dell’opera collassi miseramente e allora bisogna incominciare da capo, spesso modificando il progetto originale con un colpo di fantasia: l’abilità del sand man sta anche nel far fronte alle emergenze.
Quanto agli strumenti adoperati dagii artisti, rappresentano la vasta gamma di utensili che potrebbero utilizzare indifferentemente un muratore o un giardiniere: cazzuola grande per togliere la sabbia in eccesso, lunghe cannucce per soffiarla via, coltello da cucina a lama liscia, cazzuola piccola triangolare per realizzare incassi come porte e finestre, coltello a punta fine per rifinire i particolari, pialla per spianare, spruzzino di plastica per inumidire la sabbia soprattutto agli angoli della scultura, che si asciugano più rapidamente a causa della rapida essiccazione provocata dal caldo e dal vento. In realtà poi ognuno usa quello che vuole, compresi oggetti di vita quotidiana come fili interdentali, forchette o lamette da barba.
Secondo le intenzioni degli organizzatori del festival, le grandiose sculture dovrebbero rimanere esposte per tutto il mese di agosto: poi verranno lentamente distrutte dagli agenti atmosferici o dal solito pestifero marmocchio, e la fotografia sarà l’unico mezzo in grado di perpetuarne il ricordo.

PleinAir 396/97 – luglio/agosto 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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