Gli eretici cortesi

Da Carcassonne, sorprendente evocazione del Medioevo, partiamo alla ricerca dei luoghi più significativi del catarismo, l'eresia di derivazione orientale che cancellò una lingua, segnò la storia della Francia e originò una crociata che tinse di sangue il sud del paese.

Indice dell'itinerario

Il nostro itinerario passa anzitutto per il paese di Minerve, ma la cronologia dei fatti richiede che si racconti in primo luogo di Béziers, ove la crociata fece il suo esordio. La romana Beterrae, una settantina di chilometri a est di Carcassonne, possiede in collina un tranquillo centro storico che nell’ampollosità ma anche nella decadenza di certi edifici sembra rimasto fermo all’Ottocento, quando si arricchì con i proventi del commercio del vino.
Dal piazzale dell’antica cattedrale di Saint Nazaire è un vero piacere gettare lo sguardo sul verde e sulle vigne della piana ubertosa attraversata dall’Orb e dal canale navigabile Mediterraneo-Atlantico, il Canal du Midi. Ma non fu vino a scorrere sul colle quel 12 luglio del 1209. Provenivano dal Nord, da Lione seguendo la valle del Rodano, gli armati che intimarono di consegnare tutti gli eretici che si trovassero in città. Questi si rifugiarono nella cattedrale, ma non servì.
Il rifiuto dei biterresi portò a un massacro che non fece differenze; in ventimila, quindi la gran parte degli abitanti, furono passati a fil di spada. Amalrico, capo dei giustizieri, ai baroni che gli chiedevano come distinguere cattolici ed eretici avrebbe risposto con la famosa frase: “Uccideteli tutti, ci penserà Iddio a distinguere i suoi”.
Roger Trencavel, visconte di Béziers e Carcassonne, riuscì a riparare entro le mura di quest’ultima città, che all’arrivo dei crociati mostrò la sua imprendibilità, cedendo più tardi solo per tradimento. Trencavel finì in una segreta della fortezza dove morì avvelenato entro l’anno, facendo posto alla signoria di Simon de Montfort, astro nascente della singolare crociata. Nel protrarsi delle lotte sarebbe invece fallito nel 1240 un assedio a parti invertite, condotto dal figlio del visconte.
Riprendendo la visita ai luoghi cruciali della vicenda catara, eccoci ora tra le garrighe e i calcari del Minervois, a nord-est di Carcassonne. Alle tragiche notizie provenienti da Béziers qui si raccolsero molti bonhommes (così venivano detti gli eretici), che nel giugno 1210 videro con terrore arrivare le milizie del Montfort. L’assedio durò sette settimane ed ebbe il suo tragico epilogo dopo la distruzione dell’unico pozzo al quale i difensori potevano attingere acqua. Furono massacrati 140 catari che non intesero abiurare al loro credo. Oltre che per le memorie catare, Minerve vale la visita per un grande ponte di roccia prodotto dall’erosione che si trova nella sottostante gola del Cesse.
Negli anni successivi la lotta, anche terminata la crociata, ebbe numerosi altri episodi, assedi, agguati, roghi, soprattutto perché sulla vicenda di religione si erano perfettamente innestati i piani della corona di Francia per imporre la propria sovranità al sud del paese. L’Occitania era infatti all’epoca estranea al potere centrale (come lo era l’ovest, in mano agli Inglesi). Tra gli effetti della vittoria del Nord, che parlava la lingua d’oïl da cui deriva il francese odierno, ci fu dunque anche la decadenza della lingua d’oc a semplice dialetto.

Ultimi rifugi
La fine della crociata non significò la completa estirpazione dell’eresia albigese. I catari superstiti si ritrassero in luoghi segreti e protetti, dove ancora risuonava l’eco dei trovatori, scegliendoli tra i meglio difesi da imprendibili posizioni naturali. La ricerca di questi castelli, disseminati nell’accidentata regione delle Corbières, mostrerà al visitatore quanto appropriata sia la definizione di “cittadelle della vertigine” che fu data loro.
Il primo passo di questa parte dell’itinerario non sarà però un castello ma l’abbazia cistercense di Fonfroide. Negli anni della reazione all’eresia l’abbazia fu un forte caposaldo dell’ortodossia. Tra l’altro proprio qui risiedeva il legato papale Pierre de Castelnau, il cui assassinio fu la scintilla che scatenò la crociata. La bella abbazia si nasconde in ambiente suggestivo tra i cipressi di una valletta solitaria e possiede un chiostro affollato di rose. Benché di proprietà privata, ne è concessa la visita.
Da ora in poi occorrerà seguire le sinuose strade che attraversano l’aspra regione delle Corbières. Dopo aver gettato un’occhiata al castello di Aguilar, nei pressi di Tuchan, ecco, non lontano dal paese di Cucugnan, il castello di Queribus, che fu tra gli ultimi rifugi della sopravvivenza albigese, poggiato in una posizione fiabesca su un gran pinnacolo di roccia.
Del vasto castello di Peyrepertuse, che domina il paese di Duilhac, dice già tutto il fatto che per la difficoltà d’accesso non poteva essere raggiunto da cavalli né da muli. Un camminamento non privo di ostacoli conduce all’unico ingresso e alla stretta cresta su cui poggiano i resti della grande costruzione; ancor più impressionante la ripida scalinata nella roccia che conduce alla parte più alta delle fortificazioni. Il Montfort si tenne alla larga da Peyrepertuse giacché il signore di questo castello era vassallo di un sovrano spagnolo, ma il successivo proprietario subì la scomunica benché avesse fatto atto di sottomissione ai crociati, e il re di Francia poté prendere possesso del maniero non prima del 1240.
Al castello di Puilaurens (il paese di riferimento è Lapradelle) l’ultima operazione contro i catari si svolse soltanto nel 1255. Molto ben conservate, torri e merlature difendono da 700 metri d’altezza una posizione praticamente inespugnabile. Come altri fortilizi, esso fece parte della cintura difensiva su cui la corona di Francia avrebbe più tardi contato per proteggersi dall’invadenza aragonese. Un pallido riflesso di ciò che doveva essere la vita ai tempi dei trovatori e dell?amor cortese è suggerito dagli otto capitelli della sala del castello di Puivert; per ognuno di essi, un musico con gli strumenti di allora: viola, arpa, tamburino e così via. Nel novembre 1210 Puivert venne assediato e conquistato in tre giorni dalle milizie del Montfort, che scelse di impiccare quanti non riuscirono a fuggire. Ma prima d’allora il castello, dove il primo torneo di poesia si era tenuto nel 1150, aveva ospitato feste e corti d’amore alle quali venivano signori da tutto il territorio. Sito delizioso quello di Puivert, su una collina al bordo di quella che oggi è una piccola piana e allora un lago nel quale si specchiavano i boschi della montagna.
Ma la posizione più incredibile è quella del castello di Montségur, sulla sommità di uno sperone, a 1200 metri. Un vero nido d’aquila, talvolta nascosto tra le nubi, dove cercare salvezza verso il cielo. Fa riflettere la data della costruzione del castello, terminato nel 1204: i catari dovevano dunque già temere il prossimo scatenarsi della grande caccia nei loro riguardi. Ma la costruzione, pentagonale, ha anche un suo versante esoterico indagato dagli studiosi specie in rapporto ai raggi del sole nascente e alla possibilità di seguire il cammino dell’astro nello zodiaco. Più ragioni mostrano insomma il castello come una sorta di tempio del catarismo.
Si tramanda anche del riuscito tentativo, durante l’ultimo assedio, di portare oltre le fila degli assedianti un tesoro in aurum, argentum et pecuniam infinitam affidato a due uomini rientrati poi al castello. Il tesoro sarebbe stato nascosto in una zona della stessa regione dell’Ariège, fitta di grotte preistoriche e conosciuta nella geografia medioevale come Sabarthès. Secondo alcuni avrebbe incluso anche il sacro Graal, alla cui ricerca si dedicò in quei luoghi per una decina d’anni, prima della guerra del ’39, un tedesco, certo Rahn, che i nazisti mandarono poi a morte.
Durò nove mesi l’assedio che nel 1244 fece salire sul rogo 207 catari decisi a non rinnegare le proprie idee. Chi oggi sale al castello di Montségur trova a fianco del sentiero, sul prato dove arsero le fiamme, una stele a memoria di quei martiri dell’intolleranza, certo non gli ultimi di una piaga che continua ancora ai nostri giorni a travagliare la specie umana.

PleinAir 324/325 – luglio/agosto 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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