Girotondo alpino

Cinque giorni di trekking in compagnia dei lama su e giù per le montagne: sulle Ande? No, intorno al Monviso. E con una comoda base per il v.r. nel parco del Queyras.

Indice dell'itinerario

Una piccola folla si è radunata attorno a noi osservando con curiosità i tre animali che brucano tranquilli. Poi si avvicina una coppia e la signora, con fare meravigliato, dice al marito: «Guarda, dei conigli giganti…». Scoppiano le prime risate, perché sarà pur vero che le lunghe orecchie, il muso prominente e le zampe corte e robuste possono suggerire una qualche remota somiglianza, ma i nostri pelosi amici altro non sono che dei lama. Saranno proprio loro i docili portatori dei bagagli nell’avventura escursionistica che ci apprestiamo a compiere: il periplo del Monviso.
Bruno, guida e allevatore di questi splendidi animali andini che si sono perfettamente adattati in questo spicchio di Alpi, ci spiega come trattarli, condurli, aiutarli ed essere aiutati da loro durante l’escursione, ma anche come comportarci in montagna e cosa è meglio portare o lasciare in campeggio: preferisce infatti non sovraccaricare i suoi beniamini, limitando il peso a un massimo di 30 chili ciascuno. Controllate le borse, non resta che cenare e andare a letto presto per prepararsi ad affrontare al meglio i cinque giorni di cammino attraverso valli, boschi e pietraie, seguendo sentieri che si snodano per circa 50 chilometri attorno al massiccio.

Primo giorno
Nel recinto del Queyr’ de l’Ours di Ristolas, l’hotel-ristorante che è la nostra base di partenza e di rientro, diciotto lama ci scrutano flemmatici. Bruno fissa i morbidi imbraghi e il carico sul dorso di Kernel, Shawan e Koala, che accompagneranno il piccolo gruppo formato dal sottoscritto e da una famigliola composta da padre, madre e figlio adolescente: si parte.
Il sentiero risale la valle del Guill davanti allo spettacolo del Monviso i cui canaloni, a dispetto della stagione ormai calda, sono ancora pieni di neve. Dalla Roche Écroulée il percorso si snoda nel fondovalle in dolce salita passando davanti al rifugio francese del Mont Viso e raggiungendo, in una conca assolata, il piccolo Lac Lestio dove sostiamo per il pranzo al sacco. Il sentiero si intravvede appena, tracciato nel grigio di una ripida pietraia in direzione del Col Vallanta seminascosto dalle nuvole. Ripreso il cammino, a metà della salita siamo rallentati da alcune grandi chiazze di neve, residuo delle slavine invernali: in breve ci ritroviamo con gli scarponi fradici e i piedi bagnati, mentre i lama saltellano agili e non sembrano affatto intimoriti neanche quando sprofondano fino al ventre. Ci vogliono quasi due ore per percorrere poco più di un chilometro, ma finalmente usciamo dal nevaio.
Poco prima di raggiungere il Vallanta, le nuvole si abbassano veloci e in pochi minuti ci ritroviamo avvolti da un’atmosfera lattea, poi uno scroscio di pioggia ci costringe a indossare le giacche a vento; in basso scorgiamo il sole che brilla sul verde dei prati. Superato il colle, con le nubi che si rincorrono in una sarabanda di batuffoli bianchi, si profila molto più in basso il Rifugio Vallanta, una moderna costruzione in vetro e cemento. La discesa a zigzag sul lungo e ampio tracciato è davvero piacevole, e al nostro arrivo siamo accolti dallo stupore degli altri pochi escursionisti che subito ci tempestano di domande sui lama alle quali Bruno risponde con cordialità, mentre noi scarichiamo i bagagli e i nostri portatori brucano con piacere la fresca erbetta del prato.
La cena si svolge tra aneddoti e racconti nella più classica tradizione montanara, con un bel piattone di polenta fumante e salsicce annegate nel sugo. Poi la stanchezza ha il sopravvento, e finalmente ci possiamo infilare tra le lenzuola.

Secondo giorno
Alle prime luci dell’alba le nuvole ancora basse corrono veloci attorno al rifugio, ma qualche squarcio di azzurro ci fa ben sperare, come del resto confermano le previsioni meteo appese sopra la macchina del caffè. Diamo il buongiorno ai lama con qualche assonnata carezza, consumiamo un’abbondante ed energetica colazione e poi via, si riparte sul sentiero che ora scende lungo il torrente Vallanta.Superato un breve altipiano il cielo si pulisce completamente e un caldo sole estivo asciuga gli ultimi residui di umidità. Raggiunto l’alpeggio di Soulières, un gruppo di vecchie grange in pietra e malta con il tetto a grandi lastre sovrapposte, inizia la ripida salita tra boschi di larici e pini in direzione del Colle di San Chiaffredo, quota 2.762: un dislivello di 825 metri, come ci fa osservare Bruno indicando il percorso sulla carta.
Poco prima di raggiungere il limitare del bosco dove iniziano le radure di alta quota sostiamo vicino a un ruscello. I lama, zampe in acqua, si dissetano abbondantemente proprio come fanno i loro cugini del deserto, i cammelli: il lama infatti è un camelide che rumina come i buoi, si muove sui terreni rocciosi come una capra ma non ha zoccoli bensì un morbido cuscinetto di pelle e grasso (è per questo, tra l’altro, che apprezza… i pediluvi).
A differenza di ieri, il sentiero è meno ripido e non ci sono pietraie ma vaste radure verdeggianti punteggiate di fiori d’ogni colore. Giunti al Colle di San Chiaffredo, nel cielo turchino si staglia di fronte a noi l’affascinante profilo del Monviso. Ancora un tratto in piano fino al Passo Gallarino e poi la lunga diagonale che scende sino al Rifugio Alpetto, affacciato sul lago omonimo a quota 2.272: il massiccio parallelepipedo di pietra scura compare all’improvviso, seminascosto dalle rocce. Sono le cinque e mezzo del pomeriggio quando piantiamo nel prato antistante i picchetti a cui leghiamo i lama, come avviene a ogni sosta.
Il rifugio ospita solo un turista bolognese che intende scalare il Monviso e che si aggrega alla nostra tavola. Un ottimo genepy, il forte liquore di erbe offerto dal gestore a fine cena, è il viatico prima di recarsi al piano superiore: fuori è ancora chiaro, ma le sette ore di cammino autorizzano una buonanotte anticipata.

Terzo giorno
A colazione Bruno ci ha ricordato che oggi percorreremo il tratto più lungo e impegnativo, undici ore con pesanti dislivelli per raggiungere il Rifugio Lowrie. La prima tappa, dopo un’ora e mezzo, è invece il Quintino Sella, uno dei rifugi storici di questa zona delle Alpi, costruito sotto il Monviso sul lato nord-est: assolutamente grandioso il panorama, con la montagna che si riflette nelle acque ancora ghiacciate del lago e le ripide scarpate che formano un incredibile balcone sulla Pianura Padana, laggiù in basso. Qualche chiacchiera con il gestore, un sorso d’acqua fresca dalla fontanella e riprendiamo il cammino aggirando il lago per raggiungere il Colle del Viso, a quota 2.655.
Un paesaggio lunare di giganteschi massi rocciosi lasciati da un’antica frana ci accompagna nella lenta discesa, dove ritroviamo profonde lingue di neve che impongono grande cautela per non buscarsi una storta se si incontra una buca nascosta. Ubbidienti come sempre, i lama seguono gli ordini del conducente che indica all’animale la via più sicura tirando a destra o a sinistra il guinzaglio.
Dopo tre ore, lasciatici alle spalle i macigni, un morbido prato ci accoglie per il pranzo di tutto il gruppo, bipedi e quadrupedi. Siamo sulle sponde del Lago Superiore, che insieme al Lausetto e al Fiorenza compone il sistema idrico del Pian del Re da cui nasce il Po. Seduti sul ciglio che domina l’intera valle fino alla cittadina di Crissolo, il rumore delle auto che raggiungono il rifugio sottostante ci arriva ovattato dalla distanza e dalle nuvole che iniziano a sollevarsi dal fondovalle.
La discesa riprende veloce fino al bivio per il Colle Armoine, per poi risalire di 620 metri godendo della spettacolare vista del Monviso dal lato nord, quello a forma di piramide che caratterizza questa montagna osservandola dal versante italiano. Ci aspettano ancora cinque ore di cammino fra i boschi, pur se in discesa, per arrivare al Rifugio Barbara Lowrie (dal nome di una signora inglese che alla morte del marito, appassionato alpinista e frequentatore di questi luoghi, donò al CAI la sua grangia proprio perché venisse trasformata in un alloggio per escursionisti). Nonostante qualche vescica e leggere escoriazioni dovute allo sprofondamento nella neve ghiacciata, nessuno ha perso il buonumore. Aggiungiamo la solita calorosa accoglienza, dell’ottimo vino, un’abbondante pastasciutta e un gustoso spezzatino con patate per una serata davvero perfetta.

Quarto giorno
I belati di un folto gregge di pecore e i campanacci di decine di mucche al pascolo risvegliano le camerate insieme al profumo del caffè. Questa è la giornata di cammino più breve e tranquilla per arrivare al Rifugio Jervis superando il Colle del Baracun su una comoda e larga strada forestale costruita dai Romani, una notevole opera di ingegneria come dimostrano i possenti muri di contenimento, i canali di scolo e le pietre laterali che evitavano ai carri di uscire dal percorso; alcuni pannelli ne illustrano la storia ma anche la flora e la fauna, che osserviamo con facilità collezionando un capriolo femmina con due piccoli, alcune marmotte e diversi uccelli.
La giornata è splendida, e dopo il lungo riposo si raggiunge velocemente il Rifugio del Baracun, ricavato da una casa cantoniera, da cui si domina la vista del Monviso ancora sul lato nord, una delle ultime possibilità di osservare la montagna nel suo insieme. I gestori, appassionati di montagna e di escursioni, hanno allestito all’esterno un’area dedicata ai viaggi in Nepal e in Tibet, con le colorate bandierine augurali e di preghiera tipiche di quelle lontane regioni che sventolano contro il cielo blu delle Alpi. L’insieme è davvero globale, nel senso migliore del termine: gli escursionisti europei, le suggestioni dell’Asia, i lama andini e una bella tavola colma di pane, salumi e vino…
Una tappa al Giardini Peyronel ci permette di conoscere la flora montana qui conservata, incluse le stelle alpine: un gruppo di ragazzi che studiano biologia e scienze naturali gestisce a turno la struttura nei mesi estivi e accompagna i visitatori lungo l’interessantissimo percorso (fra le numerose specie spicca il cosiddetto relitto dei ghiacciai, una piantina dai fiori rossi così chiamata perché è l’ultima testimonianza di antiche masse glaciali ormai disciolte).
Proseguendo la discesa verso il fondovalle, nel pomeriggio arriviamo al rifugio, una grande struttura alberghiera raggiungibile anche in auto dove numerosi bambini ci accolgono festanti e incuriositi alla vista dei lama. Chitarre, allegria e bicchierate di vino, grappa e genepy ci fanno tirar tardi fin quasi alle undici: un vero record, a detta di Bruno.

Quinto giorno
Testa pesante e occhi che stentano ad aprirsi sono l’ovvia conseguenza dei bagordi serali, ma tocca farsi coraggio: l’ultimo tratto di camminata non è lungo ma è piuttosto impegnativo a causa della salita al Col Lacroix, che separa la Val Pellice dalla valle di Ristolas, dove ci apprestiamo a fare ritorno. Bisogna infatti inerpicarsi su uno stretto sentiero in un’infinita serie di zigzag che spezzano il ritmo e le gambe.
Il Rifugio Jervis lentamente si allontana, curva dopo curva, mentre il bosco gradualmente lascia il posto ai prati e poi alla roccia. Raggiunto il colle, ecco l’ultima occasione per vedere la punta del Monviso: ormai siamo di nuovo in Francia, con i tipici canaloni imbiancati e la punta del Vallanta che inizia a comparire sulla sinistra, segno inequivocabile che il giro a 360 gradi della grande montagna è quasi completato. Un’ultima sosta per il pranzo tra le rovine di antiche case, poi ci addentriamo nella fitta foresta di larici che ci accompagnerà sino al fondovalle, dove si profilano le case di Ristolas e l’hotel Queyr’ de l’Ours.
I lama rimasti a casa sembrano attendere i compagni, schierati come sono davanti alla porta del recinto, con il collo teso e le orecchie dritte. Lego alla palizzata la corda che per cinque giorni mi ha unito a Shawan e inizio a scaricare le sacche, poi mi avvicino per accarezzargli il lungo collo lanuginoso e mi vedo riflesso nei suoi grandi occhi scuri. Chissà se gli rimarrà memoria di questo suo compagno di viaggio: di sicuro lui sarà per me un bellissimo ricordo, uno dei più importanti di questa meravigliosa esperienza intorno al Monviso.

PleinAir 417 – aprile 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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