Sulla punta dell'Italia, la gente in Aspromonte

Sul massiccio calabrese, un altro dei parchi di questa regione ben più nota per il suo mare che per le sue montagne, la natura selvaggia e maestosa incornicia paesi antichi e fieri che offrono grandi e piccoli tesori d'arte, tradizioni originali e un'ospitalità schietta e genuina. Un itinerario per scoprire luoghi e situazioni all'insegna del cambiamento e della rinascita, con il pleinair a rappresentare un auspicabile modello di turismo.

Indice dell'itinerario

Nonostante la Salerno-Reggio Calabria metta a dura prova la pazienza di chi viaggia, la punta dello Stivale non è poi così lontana. Arrivare qui in Aspromonte, del resto, non è solo un tragitto fisico ma soprattutto emotivo: man mano che ci avviciniamo, i sensi acquistano una nuova vitalità e ci rendiamo conto ben presto di quanto siano lontani dal nostro quotidiano questi paesi, questa gente, queste misteriose montagne avvolte, fino a confonderne le forme, da fitti boschi di pini e faggi. Lontano da tutto, anche da quella triste immagine stereotipata intrisa di faide e omertà che i mass media ci ripropongono a ogni fatto di cronaca.

Eccolo, l’Aspromonte. Immersi nel silenzio delle sue foreste o al cospetto delle sue selvagge vallate, incise profondamente dai bianchi torrenti che scendono vertiginosi fino al mare, vengono in mente i Journals che lo scrittore e paesaggista inglese Edward Lear dedicò a questi luoghi dopo averli visitati a metà ‘800. La luce e i colori sono ancora gli stessi, e poco sono cambiati anche i piccoli borghi, custodi di una cultura unica e peculiare che affonda le sue radici ai tempi della Magna Grecia. In bilico su speroni rocciosi o circondati dal verde cupo dei boschi, questi paesi sono collegati tra loro da strade che, come un filo d’Arianna, impongono al visitatore tempi lenti, adatti alla riflessione, perfetti per il viaggio pleinair, rendendo impossibile la pratica del mordi e fuggi che altrove impera e fa danni.

Parco Nazionale dell’Aspromonte

In quello che poco meno di vent’anni fa è divenuto il Parco Nazionale dell’Aspromonte la natura è qualcosa di travolgente, che ti investe con la potenza delle sue forme. Milioni di anni fa la pietra del massiccio era il fondo di un mare che poi, con il sollevamento dell’Arco Calabro-Peloritano, è divenuto montagna. Ma questa roccia dura e antica si rivela allo stesso tempo plasmabile, lasciandosi lavorare dagli agenti atmosferici sino a formare quelle gigantesche opere che sono Pietra Cappa, Pietra Lunga e Pietra Castello, imponenti monoliti che svettano tra gli alberi nella Valle delle Grandi Pietre, vicino San Luca.

Altrove il vento e l’acqua hanno voluto scherzare ed ecco, qualche chilometro più giù nei pressi di Roghudi, le Caldare del Latte, candide e gigantesche mammelle, che si spartiscono con la vicina e instabile Roccia del Drago la meraviglia dell’osservatore. Questa geologia è in continuo movimento, con le fiumare che scavano le montagne, le montagne che franano e ricoprono le fiumare, poi si ricomincia. Nel Capodanno del 1972 un boato assordante annunciò la nascita del lago Costantino: 16 milioni di metri cubi di roccia franarono a valle e ostruirono il corso del torrente Bonamico creando una gigantesca diga naturale, ma oggi la fiumara si sta riprendendo il suo spazio interrando il lago con i detriti.

Da queste montagne, che toccano la loro altezza massima nei 1.955 metri del Montalto, scende anche un’infinita serie di cascate, a dispetto dell’immagine di un Sud arido e secco. Tra le più belle, proprio vicino al Montalto, ci sono quelle dell’Amendolea, che precipitano con quattro salti in uno scenario selvaggio di incomparabile bellezza. Non da meno sono, nei pressi di Molòchio, le cascate Mundu che si gettano lungo pareti di roccia tappezzate da una rara felce preistorica, la Woodwardia radicans.

In un ambiente così integro non sorprende che molte specie animali, altrove minacciate, siano abbastanza comuni: è il caso della sempre più rara aquila del Bonelli, che qui dispone di un habitat adatto alla riproduzione. Poi ci sono i rapaci migratori che in questi luoghi trovano un corridoio di transito ideale; falchi pellegrini, lanari e gufi reali sono ormai presenze abituali. Più in basso, specie non meno importanti riservano altre speciali occasioni d’incontro: passeggiando nelle giornate più umide vicino ai corsi d’acqua, non è difficile incontrare la bellissima salamandra pezzata dalla vivace colorazione giallo-nera o la più piccola salamandrina dagli occhiali.

Dalla festa della Madonna della Montagna al Museo della Civiltà Contadina

Ma non è solo la natura a fare la ricchezza di questa terra: insieme all’ambiente e ai paesaggi qui c’è la Gente in Aspromonte raccontata nel 1930 da di Corrado Alvaro, ambasciatore di questa terra oltre i suoi confini. Oggi la sua casa natale a San Luca è diventata un museo, e ovunque lungo le strade del paese sono state apposte alcune sue frasi piene di un amore struggente per chi, con tenacia e sofferenza, tra queste montagne viveva, amava, moriva. Le cose sono cambiate, è arrivata la modernità e con essa, dagli anni ’70, anche la piaga della malavita organizzata: ma chi ha la fortuna di trovarsi al santuario di Polsi il 2 settembre, in occasione della festa della Madonna della Montagna, potrà rendersi conto che la gente è ancora quella di Alvaro. I discendenti degli antichi coloni greci, che giunsero dal mare e lasciarono in eredità una miscela irripetibile di cultura greca e bizantina, sono cordiali, disponibili, onesti a dispetto dei comuni pregiudizi e hanno voglia, tanta voglia di cambiamento e di riscatto.

Ci fermiamo a scambiare due chiacchiere con lo scultore Domenico Papalia che di fronte alle sue opere, nel laboratorio di Delianuova, parla con passione di come sta insegnando ai giovani quest’arte, da usare come un grimaldello per scardinare un destino infame e oscuro che inghiotte tante vite. Arcangela Nigro, invece, sta progettando e allestendo nel parco sentieri per i disabili in nome di un altro riscatto, quello del non sentirsi diversi, di fruire con e come gli altri delle bellezze di questa natura. Una donna forte, come lo è anche Caterina Iero che con amorevole dedizione cura il piccolo ma ricco Museo della Civiltà Contadina a Sant’Eufemia d’Aspromonte: dalle coperte in fibra di ginestra ai delicati ricami in pizzo e tombolo, dagli attrezzi agricoli ai telai per la tessitura della seta, tutto l’artigianato locale e la tradizione aspromontana rivivono per la gioia degli occhi del visitatore.

Se poi si vuole vivere una full immersion in questi luoghi basta incontrare Diego Festa e Antonio Barca, esperte guide del parco: un giorno con loro vale più di mille parole spese a descrivere le bellezze dell’Aspromonte. Storia, leggenda, natura si intrecciano nelle loro spiegazioni ed è come camminare in una favola che ti ammalia. Poi, quasi senza sapere come, ti ritrovi alla sera nell’unico rifugio di tutto l’Aspromonte, il Biancospino sopra Delianuova, che Antonio ha costruito tutto in legno con le sue stesse mani, mentre la moglie Teresa ti vizia con la sua squisita cucina calabrese. Nel silenzio della notte ti senti in pace con il mondo, e allora pensi che con questa natura e con questa gente la rinascita è possibile. Anzi, è già iniziata.

I paesi del parco

Il nostro approccio con il veicolo alla vasta area protetta (l’estensione è di 76.000 ettari, 26.000 in più del parco d’Abruzzo, con i centri abitati disposti prevalentemente nelle aree di confine) inizia da Gambarie, sul perimetro occidentale, e si sviluppa fino al mare per un totale di circa 100 chilometri, attraverso grandiosi panorami e inoltrandosi nei luoghi che maggiormente hanno conservato i legami con l’antica cultura greca. Nonostante la brevità del percorso, le strade decisamente tortuose e le innumerevoli tappe d’interesse consigliano di suddividerlo in almeno due o tre giorni.

Gambarie

Gambarie, poco al di sopra del 1.300 metri di quota, è il più attrezzato centro turistico del parco e ne ospita gli uffici principali. La vivace cittadina, circondata da fitti boschi di faggio, è provvista di impianti di risalita per gli sport invernali e dispone di una buona offerta di strutture ricettive, compresa l’unica area attrezzata dell’entroterra (in questa zona, infatti, le strutture pleinair si trovano praticamente tutte lungo la costa).

Il nostro itinerario prosegue verso sud, ma prima prenderemo la statale 183 nella direzione opposta, verso Delianuova, per visitare a 6 chilometri da Gambarie il Mausoleo Garibaldi. Si tratta del monumento eretto nel luogo in cui, il 29 agosto 1862, l’Eroe dei Due Mondi in marcia su Roma fu ferito durante lo scontro con i soldati del generale Emilio Pallavicini, inviati contro di lui dal giovane Regno d’Italia. Arrivati nei pressi del Villaggio De Leo, si prende la stradina a destra che sale inoltrandosi nella pineta fino alla località Zuppitelli, dove sorge il mausoleo; di fronte a questo, protetto da una piccola recinzione, c’è ancora l’albero alla base del quale Garibaldi si adagiò dopo essere stato colpito all’anca e al piede sinistro.
Ripresa la 183 in direzione opposta e superata Gambarie, si punta decisamente a sud seguendo le indicazioni per Bagaladi. A Sella Entrata (1.408 m) la vista si apre sulla valle della fiumara Sant’Agata, da cui si procede con una serie di curve fino alla cantoniera Croce di Romeo (1.324 m), superata la quale il percorso torna ad avere uno sviluppo più rettilineo. Si scende attraversando bei boschi di querce e castagni e, se la visibilità è buona, il magnifico panorama sullo Stretto di Messina è talmente ampio da distinguere anche l’imponente cono dell’Etna.

Bagaladi e San Lorenzo

Dopo un altro tratto di circa 10 chilometri, di nuovo molto tortuoso, giungiamo a Bagaladi che si trova a 473 metri di quota, e ciò significa che da Gambarie abbiamo superato un dislivello di circa 900 metri in meno di 25 chilometri di marcia. Si scende ancora brevemente fino ad arrivare in prossimità del ponte che attraversa la fiumara di Tuccio, all’altezza del bivio per San Lorenzo: una sosta per godere della vista sulla valle e per affrontare l’ultima parte della discesa verso il mare, non senza un’importante deviazione verso alcune delle mete più significative dell’Aspromonte, in particolare Bova e i centri grecanici. Da San Lorenzo ci si inoltra infatti in una della aree più suggestive e isolate dell’Aspromonte, ma le condizioni della strada – la vecchia e stretta provinciale ormai senza alcuna manutenzione – impongono molta cautela per la presenza di buche e sassi, rendendo inoltre l’esperienza del tutto sconsigliabile ai camper di grosse dimensioni (che dovranno invece proseguire sulla statale fino a Mélito di Porto Salvo e la statale 106 Jonica, da dove raggiungere senza particolari difficoltà Bova e Pentedattilo).

In circa 4 chilometri si sale al paese, a quota 787, spaziando con lo sguardo sulla fiumara di Mélito da una parte e su quella di Amendolea dall’altra. Svoltando a sinistra in direzione di Roccaforte del Greco, si continua a salire inoltrandosi nel cuore dell’area grecanica confinata tra le isolate frazioni di Amendolea, Gallicianò, Roghudi e la più accessibile cittadina di Bova. Sono ormai pochi a conservare la tradizione balcanica, ma qui si trova ancora qualcuno, specialmente fra i più anziani, che parla il vecchio dialetto molto simile all’antico idioma balcanico. Da Roccaforte del Greco (971 m) si osserva in tutta la sua bellezza la selvaggia e scoscesa valle dell’Amendolea, sul fondo della quale la lunga cicatrice biancheggiante della fiumara scorre tortuosa fino al mare. Il silenzio acuisce la grandiosità di questo scenario, quasi un riassunto della vera natura dell’Aspromonte.

Roghudi Vecchio

Appena attraversato il paese ecco apparire sull’altro versante il borgo fantasma di Roghudi Vecchio, un mucchietto di case strette fra loro e incredibilmente aggrappate alla montagna che sembra precipitare verso il torrente. Fino al 1971 qui viveva una delle più importanti comunità greche della Calabria, poi un’alluvione e le continue frane costrinsero gli abitanti a spostarsi nel nuovo centro litoraneo di Roghudi, vicino Mélito di Porto Salvo, che dista più di 30 chilometri. Oggi il villaggio abbandonato, dove il soffiare del vento sembra celebrare la potenza di una natura indomabile, è il regalo che queste montagne offrono al visitatore che si spinge fin qui per conoscere a fondo la loro anima.

Attraversando il ponte che scavalca il torrente, immersi in un’atmosfera suggestiva e irreale, si passa fra le case e si giunge in fondo al paese dove, con una stretta curva, la strada sale ripida per raggiungere la frazione di Ghorio, distante un chilometro e mezzo. Qui, tenendo la destra, si oltrepassa il cimitero e si scende per circa un chilometro verso il fondo della valle, per poi risalirla con una serie di tornanti. A questo punto, facendo molta attenzione sulla sinistra, dopo circa 2 chilometri e mezzo si arriva alle Caldare del Latte, le curiose formazioni di roccia a cui la fantasia popolare non poteva attribuire nome più appropriato. Poco lontano, un poco più all’interno rispetto alla strada, c’è un altro gioiello naturale, la spettacolare Roccia del Drago, precariamente in bilico sul suo esile piedistallo quasi a voler simboleggiare la tenacia con cui, in questi luoghi, la gente ha sempre affrontato la vita.

Bova

Ancora una decina di chilometri e la strada torna ad essere agevole fino ad arrivare a Bova. Si può parcheggiare nella piazza all’ingresso del paese e passeggiare nei suoi graziosi vicoli, seguendo le indicazioni bilingui in greco e italiano: qui più di ogni altro luogo è vivo l’attaccamento alla tradizione, tanto da far meritare a Bova il titolo di capitale della cultura grecanica in Calabria. Una salita verso la parte alte del paese porta a passare, attraverso strette e curate viuzze, di fronte a diverse chiese, tra cui la bella Madonna del Carmine (XVII secolo) e la chiesa di San Leo (XVII secolo) con il ricco altare barocco e i notevoli stucchi ottocenteschi, per giungere infine alla torre normanna da cui si può godere un’altra bella vista sulla valle sottostante.

L’ultima parte del percorso scende sulla costa incrociando la statale 106 all’altezza di Bova Marina e seguendola in direzione di Mélito di Porto Salvo, accompagnati dalla vista delle pregiate coltivazioni di bergamotto e delle belle spiagge che si allungano verso il mare. Giunti all’uscita di Annà-Pentedattilo si svolta a sinistra per poi imboccare la provinciale in direzione di Pentedattilo (320 m). Se possibile, si parcheggia alla fine della strada proprio di fronte alla montagna dai cinque pinnacoli che come le cinque dita di una mano (appunto pentedáktylos in greco) sovrastano l’abitato; altrimenti ci si deve recare nella parte nuova del paese, dove è più facile trovare un parcheggio.

Nel vecchio borgo le case, ormai quasi del tutto abbandonate, sembrano spuntare direttamente dalla roccia e al tramonto, con la luce che accende il rosso dell’arenaria, la scena assume contorni fiabeschi. Inoltrandosi negli stretti vicoli di questo centro bizantino, che fu fiorente nei secoli XIII e XIV, si gode di stupendi scorci che di volta in volta si aprono sul mare o sulla montagna, sempre dominati dal campanile della vecchia chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Dopo aver attraversato selvagge vallate e scavalcato ribollenti fiumare, è una conclusione particolarmente suggestiva per questo itinerario fra il mare e la montagna, dove la storia e la natura hanno creato qualcosa di unico.

Gerace: la Firenze del Sud

All’estremità opposta dell’Aspromonte, merita sicuramente una visita per ammirare le sue bellezze il centro storico di Gerace, fra i più importanti dell’intera Calabria, facilmente raggiungibile tramite la statale 111 sia dal versante jonico (8 chilometri e mezzo da Locri) che da quello tirrenico (43 chilometri da Gioia Tauro). Giunti in prossimità della cittadina, se siamo in auto si può tentare la sorte alla ricerca di un parcheggio nella piccola piazza antistante il castello normanno, altrimenti con il camper è inevitabile fermarsi fuori dal centro abitato, avendo cura di non intralciare il traffico solitamente consistente, per poi proseguire a piedi.

Gerace, sorta nel VII secolo ad opera di profughi della colonia greca di Locri, è un autentico scrigno di gioielli d’arte – tanto da essere stata soprannominata “la Firenze del Sud” – tra i quali spicca l’imponente cattedrale in stile bizantino-normanno. Da visitare assolutamente è il museo diocesano posto nella cripta dove sono esposti numerosi reperti di diverse epoche, tra cui due degli undici volumi dei Corali, i libri che sancirono il passaggio nel 1480 dal rito in greco a quello in latino per volontà dell’allora vescovo di Gerace e Oppido, Atanasio Calcelopylo da Bisanzio. Ma ciò che attira maggiormente l’attenzione è l’oggetto più antico qui custodito, un vero capolavoro di raffinatezza: la Croce reliquiaria del XII secolo, proveniente da Gerusalemme, lavorata in filigrana d’oro con zaffiri e smeraldi. Bellissima anche la cappella della Madonna dell’Itria, ricavata nel 1261 da una precedente chiesa rupestre, dove i marmi policromi delle pareti e la volta a botte ottocentesca, decorata con rosette a stucco, avvolgono come a custodirla una statua marmorea del XIV secolo, di scuola pisana, raffigurante la Vergine della Stella.

Usciti dalla cattedrale, tante e tali sono le occasioni per soffermarsi sull’uno o sull’altro aspetto del centro storico che decidiamo di dedicarci a una rilassante passeggiata fra i vicoli senza seguire un itinerario preciso: ad ogni svolta c’è sempre qualcosa da scoprire e da ammirare, fino a giungere nell’elegante Piazza del Tocco dove un tempo si svolgevano le pubbliche adunanze. Non molto lontano dalla piazza, su un piccolo slargo, si trova un’altra delle numerose chiese che si contendono l’attenzione del visitatore: si tratta di San Francesco, del XIII secolo, in stile gotico. Si entra attraverso il bel portale decorato di matrice arabo-normanna per ammirare il grande altare del 1644, in primo barocco calabrese finemente lavorato con marmi policromi ad intarsio.

Proprio di fronte alla chiesa, un piccolo negozio di gastronomia attira la nostra attenzione. Oltre a trovare sulle scansie un ricco repertorio di vini e prodotti tipici della zona, ci intratteniamo piacevolmente con Mario Farcomeni, cordiale e schietto come la gente dell’Aspromonte, e ben presto il palato ci conferma che nella sua piccola produzione artigianale sa infondere tutto l’amore e il rispetto per la sua terra. E anche questa, a modo suo, è arte.

Testo e foto di Adriano Savoretti

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