Fra Cristo e Maometto

Il più classico degli itinerari andalusi, che inanella Granada, Cordoba e Siviglia, è una piccola antologia della presenza araba in Spagna e si arricchisce in primavera di una motivazione in più: le feste della Semana Santa, ricorrenza particolarmente sentita e celebrata in pompa magna anche nelle grandi città.

Indice dell'itinerario

Andalusia ovvero Al-andalus, terra della luce. Al ritorno dal Marocco, in quella lontana e torrida estate del nostro primissimo viaggio, passammo a visitarla. Ci stupì la grande somiglianza della Giralda di Siviglia con il minareto della Koutoubia di Marrakech, ci affascinarono le dimensioni e la selva di colonne della mezquita, la grande moschea di Cordoba, ma la vera folgorazione fu l’Alhambra. “Fagli un’elemosina, donna, perché non c’è cosa peggiore che essere ciechi a Granada” è scritto su un portale d’ingresso. “Chi ti ha visto e non ti ricorda?” cantava García Lorca. Gli ombrosi padiglioni, le corti tempestate di azulejos, le vasche, le fontane, il retrostante giardino, tutto dava un senso di freschezza, a dispetto delle effettive temperature. Non avevamo ancora visitato strutture dai muri spessi e senza finestre per ripararsi dai calori eccessivi come le kasbah, né le abitazioni sotterranee di Matmata, e neppure conoscevamo in maniera approfondita la storia e i tempi della conquista araba, ma ci venne comunque da immaginare come questo popolo abituato a vivere nel deserto, o comunque in contesti aridi e ostili, potesse aver trovato il paradiso in questa regione ricca di verde e di acque, nonché in vista della Sierra Nevada perennemente imbiancata.
Gli Arabi giunsero nell’anno 711 e, non incontrando eccessiva resistenza occuparono l’intera Spagna dove rimasero per circa sette secoli. Costruirono palazzi e moschee, produssero e diffusero cultura influenzando la società europea grazie ai livelli che avevano raggiunto nella matematica (come è noto usiamo i loro numeri), nella medicina, nell’astronomia. Inventarono anche l’astrolabio, strumento lungamente utilizzato per la navigazione prima del sestante e delle moderne applicazioni tecnologiche; e Averroè, medico e filosofo del XII secolo, scoprendo a Marrakech una stella che non si vedeva in Andalusia intuì la rotondità della Terra (ma per le sue teorie rivoluzionarie, o quantomeno troppo avanzate, sarebbe stato esiliato proprio in Marocco dai fondamentalisti dell’epoca, una storia che ci ricorda quanto accadde quattrocento anni dopo al nostro Galileo).
Come facile e senza eccessivi spargimenti di sangue era stata la conquista, altrettanto pacifica fu poi la convivenza con ebrei e cristiani – ricordando peraltro che furono questi ultimi a dare inizio alle persecuzioni – finché il benessere produsse rilassamento nei costumi e inesorabile arrivò la decadenza, come già era successo all’impero romano. Gli Arabi furono ricacciati sull’altra sponda del Mediterraneo nel 1492, proprio nell’anno fatale in cui Cristoforo Colombo andava alla scoperta di nuovi mondi. Le loro imponenti vestigia si sono comunque conservate pressoché intatte fino ai nostri giorni, anche se nel 1523 il Cabildo ecclesiastico, contro il parere del consiglio della città di Cordoba nonché degli stessi cittadini, dissennatamente fece convertire la parte centrale della mezquita in una cattedrale distruggendo l’impianto originario, con grande rabbia di Carlo V, amante dell’arte araba, che aveva dato il consenso ma non aveva poi controllato i lavori di persona.
Un compendio fondamentale di questa lunga storia si può rintracciare con una visita anche rapida nel triangolo formato da Granada, Siviglia e Cordoba, il cui perimetro misura neppure 600 chilometri: sommandoli al pur lungo viaggio dall’Italia (che si può rendere più agevole raggiungendo Barcellona in traghetto), ce n’è quanto basta per una breve vacanza primaverile, magari in coincidenza delle feste pasquali.

Granada, la conquista dell’Alhambra
L’Alhambra (al-Hamrâ, castello rosso) è l’unico impianto arabo in territorio europeo giuntoci intatto dal Medioevo. Sul suo colle, da cui la vista spazia dalla sottostante città di Granada alla vicina Sierra Nevada, esisteva già un insediamento di epoca romana. Nel XIII secolo venne costruita l’Alcazaba, una fortezza dalle possenti torri, e cento anni più tardi la reggia vera e propria. L’insieme, circondato da splendidi giardini, ha ora l’aspetto di una cittadella fortificata che si staglia dalla sua postazione strategica, storico caposaldo della conquista araba. Ci si arriva facilmente seguendo i pannelli color marrone che scortano dalla circonvallazione fin dentro i parcheggi a pagamento.
L’accesso al monumento non è scontato, dunque possono sorgere complicazioni se non si è effettuata la prenotazione. Giunti alla sbarra del primo parcheggio, prima di ritirare la scheda, dovrete quindi informarvi presso la biglietteria circa l’afflusso dei visitatori. Se trovate scritto su un display Solo ingresso ai giardini , anziché arrendervi andate a chiedere di persona: è vero che in certi periodi di massima affluenza (appunto la settimana di Pasqua o il mese di maggio, in cui ai pullman dei turisti si aggiungono quelli delle gite scolastiche) chi non ha prenotato rischia di non poter visitare la reggia, ma statistica vuole che in giornata almeno una comitiva non si presenti, e allora potrete ottenere un biglietto a tempo. In questo caso dovrete varcare l’ingresso nella mezz’ora assegnatavi (ma poi restare dentro quanto vi pare), altrimenti perderete ogni diritto. Gli spazi limitati in cui si potrà girare, attendendo pazientemente di sala in sala che i vari gruppi con relativa guida si spostino, vi faranno capire le ragioni di tanta rigidità nello scaglionare i visitatori. Chi non ha mai visto nulla del genere, in ogni caso, resterà di certo sbalordito. E’ noto infatti che la religione musulmana proibisce la riproduzione della figura umana: ed ecco allora, tra stucchi, legni intagliati e piastrelle colorate, un proliferare di motivi geometrici e scritte inneggianti ad Allah. Ai padiglioni si alternano le corti, il Patio de los Arrayanes (cioè dei mirti) che si affaccia su una lunga vasca rettangolare attorniata per l’appunto da questi arbusti, e il Patio de los Leones con al centro il monumento forse più significativo di tutto il complesso, una fontana del X secolo contornata da dodici leoni di marmo.
Uscendo da Granada verso est, a circa 50 chilometri di distanza si incontrano in successione Purullena e Guadix, caratterizzate da abitazioni scavate nel tufo da cui emergono bianchi camini. Anche qui si possono trovare testimonianze del passaggio degli Arabi: resti di bagni a Purullena e tracce dell’Alcazaba, la cittadella fortificata, ultimo baluardo contro la riconquista dei re cattolici nell’antica Julia Gemella Acci, base militare romana ribattezzata Wadi-Asch, da cui l’odierno toponimo. Interessante il museo di arte e civiltà popolare.

Cordoba, la Baghdad d’occidente
Nel X secolo la città, abitata da ben 800.000 anime (un numero incredibile se confrontato con migliaia dei più importanti insediamenti cristiani dell’epoca), si vantava di essere la più grande d’Europa. Delle sue mille moschee rimane quella che, con 22.400 metri quadrati, era seconda per estensione solo alla Casbah della Mecca (oggi pare sia stata superata dal modernissimo impianto di Casablanca). Grazie alla sopraelevazione della cattedrale cristiana inserita al suo centro l’edificio appare ergersi da lontano, sulle sponde del Guadalquivir.
Giunti in città si cerca un parcheggio al di qua del fiume, che si attraversa a piedi tramite il maestoso ponte romano a sedici arcate (si notino in basso resti di mulini arabi). La mezquita già da fuori si presenta come un possente impianto, ma è l’interno che lascia senza fiato chi lo visita per la prima volta. Il susseguirsi di colonne (850 ma secondo alcuni 860, divertitevi a contarle se volete) allineate in filari e raccordate da grandi archi ispirati agli acquedotti romani, in un trionfo di granito, marmo e diaspro, ha suggerito a qualcuno l’immagine di una foresta artificiale. Al tempo degli Arabi affacciava all’esterno mediante grandi aperture, perciò si pregava nella luce, come in un’oasi del deserto. Furono i cristiani a chiudere il tutto e a sigillarlo con altari alle pareti, creando le attuali penombre, peraltro anch’esse suggestive (senza contare che nella piena estate la frescura all’interno offre un piacevole ristoro dalla temperatura prevedibilmente alta, con il calore del sole che arroventa la pavimentazione in pietra scura del centro di Cordoba). Quanto alla trasformazione della parte centrale nel Crucero, la cattedrale barocca che distrusse per sempre l’armonia della moschea, si è già detto prima. Il complesso si affaccia sul Patio de los Naranjos, il giardino degli aranci ombreggiato da palme che si vuole originarie dell’Eufrate.
La mezquita non è l’unica testimonianza araba a Cordoba. Nell’intrico di stradine della Judería, l’antico ghetto ebraico che si trova subito alle sue spalle, precisamente in Calle Velásquez, da una porticina si intravvede un altro pittoresco patio con colonne e archi che ricordano in miniatura quelli della moschea: si tratta di un bagno del X secolo. Se ci si spinge poi fuori città sulla strada 431, a circa 8 chilometri si incontra la medina di Az-Zahara, resti di un palazzo risalenti al Mille.

Siviglia, città della grazia
Anche nella capitale dell’Andalusia gli Arabi avevano innalzato una grande moschea, ma stavolta niente rimaneggiamenti, polemiche e rimpianti: l’edificio venne raso al suolo per dare spazio alla cattedrale quattrocentesca, la più grande di Spagna. In compenso si è salvato lo splendido minareto, a costituire il campanile della cattedrale suddetta nonché il simbolo della città: si chiama La Giralda, dalla grande statua della fede che, a dispetto dei suoi 1.288 chili, ruota su sé stessa con il vento e perciò è popolarmente chiamata El Girardillo. Ma la testimonianza più importante della conquista araba è l’Alcázar, notevole esempio di arte mudéjar (quella praticata dagli Arabi in un contesto cristiano) risalente al XIV secolo. Anche qui ci si aggira per saloni, patii e vasche, stupefatti per le decorazioni di una fantasia infinita (azulejos, arabeschi in stucco, piastrelle multicolori). Da non mancare inoltre il famoso Barrio de Santa Cruz, antico ghetto sulle sponde del Guadalquivir dalle stradine in cui ci perde fra case di un bianco abbagliante, balconi fioriti, chiese, palazzi. Ampi parcheggi (che abbiamo trovato liberi perfino nel weekend di Pasqua) si trovano sul lungofiume, fra la Plaza de Toros e il Parque Maria Luisa.

Pasqua andalusa
Nella cattolicissima Spagna, momento centrale delle manifestazioni religiose è la Settimana Santa. Praticamente ovunque, soprattutto nel centro e nel sud del paese, si svolge la processione del Venerdì Santo, ma in certe città – come per l’appunto Siviglia – i riti si protraggono per più giorni. Ecco quindi la meta che corona la vacanza pasquale, anche se c’è chi afferma che la città sia tutt’altra cosa fuori da questo periodo e necessiterebbe dunque di un’altra visita.
La Semana Santa di Siviglia è nota in tutto il mondo, per cui è inevitabile l’afflusso massiccio di turisti con il conseguente, anche se parziale, sconvolgimento delle manifestazioni. Le processioni, che altrove abbiamo visto sfilare tra gente partecipe e anche commossa, qui sono incanalate su un percorso bordato da una sorta di tribune dove si paga, ci si siede e si attende, mentre nei palazzi prospicienti finestre e balconi vengono affittati a prezzo non indifferente. Tutto ciò snatura evidentemente lo spirito di un evento che dovrebbe essere sacro, ma lo spettacolo è assicurato anche se il corteo del Venerdì Santo si svolge di pomeriggio, cioè prima che le tenebre possano avvolgere tutto nella suggestione della notte.
Sono ben trentadue le confraternite che sfilano trainando ottantasette pasos (gruppi lignei perlopiù seicenteschi raffiguranti scene della Passione e avvolti in sontuosi addobbi), fra uomini incappucciati, tamburini che battono sui loro strumenti un lugubre accompagnamento, cantori che rompono il silenzio con invocazioni a Cristo e alla Madonna; ma considerato il ritmo lento dell’incedere e i vuoti fra un gruppo e l’altro, sembrano molte di più. Sono proprio le pause a suggerire un modo diverso, più libero e comunque gratuito di seguire la manifestazione: il percorso, infatti, è inevitabilmente intersecato da strade che non si possono chiudere ai pedoni, e ad ogni varco la polizia regola il flusso degli attraversamenti. Mettendosi in prima fila si può così attendere il passaggio di una confraternita ed eventualmente scattare foto, dopodiché si è obbligati a passare dall’altra parte e qui attendere di tornare indietro. Il gioco continua finché si decide di raggiungere un’altra postazione aggirando il corteo mediante strade parallele. Se invece dovesse piovere la processione non ha luogo, e tutto viene rimandato al giorno successivo.
Meno noto (e infatti ignorato dai turisti) il rituale che abbiamo scoperto quasi per caso la mattina di Pasqua a Cadice, il porto atlantico dell’Andalusia, dove il centro storico raccoglie, fra case di un bianco abbagliante, tutti i più importanti monumenti su una penisoletta che chiude un lato della baia protendendosi nell’oceano. Anche qui i rituali della Settimana Santa occupano più giorni, se è vero che sull’opuscolo distribuito per la circostanza una tabella elenca date, ore, percorsi e stazioni dei cortei religiosi in maniera così precisa da sembrare un orario ferroviario. Ma anche tanta organizzazione non toglie fascino alla processione del Cristo risorto, che a mezzogiorno della domenica esce dalla Catedral Nueva in un’atmosfera di festa grande.
Chi avrà deciso di allungarsi fin qui potrà concludere il viaggio, prima di rimettersi sulla via del ritorno, con una puntata a sud-est di Cadice fra Zahora e la quasi omonima Zahara de los Atunes. Raggiunta la secondaria che corre poco lontano dal litorale, alcune stradine sterrate ma percorribili con cautela, prive di particolari indicazioni, se ne distaccano e portano a spiagge ancora non toccate dal cemento che ha irreparabilmente snaturato tante altre parti della costa spagnola (varie di queste traverse sboccano in uno slargo sufficientemente ampio per fare manovra e parcheggiare, ma può essere utile una breve ricognizione a piedi per conferma). Al già caldo sole di primavera, l’oceano brilla e si infrange su bassi lembi di scogliera: e all’orizzonte, se l’aria è limpida, si scorge il profilo della costa del Marocco, riannodando il filo delle memorie arabe dell’Andalusia.

PleinAir 440 – Marzo 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio