Florida, lo stato del sole in camper

Ci sono turisti che attraversano l’Oceano Atlantico solo per passare qualche giornata al Walt Disney World di Orlando. Noi invece vi proponiamo di visitare la Florida dai confini con la Georgia alla punta più meridionale degli Stati Uniti. In pieno stile pleinair

Indice dell'itinerario

La Florida è generalmente descritta come uno degli stati dell’Unione più atipici e fuori dalle regole. Ciò è dovuto senz’altro a una posizione geografica favorevole al turismo e all’immigrazione, che dagli anni ‘60 ha letteralmente invaso e arricchito questo lembo estremo degli Stati Uniti d’America. Ma la Florida è anche lo stato delle arance e dei pensionati, a seconda che si faccia riferimento alla grande produzione di agrumi o all’abitudine di molti anziani di venire da queste parti per godere un bel clima durante gli anni del ritiro dal lavoro. In ogni modo, il soprannome più calzante è scritto sulle targhe automobilistiche: Sunshine State, lo Stato del Sole.

Atterriamo a Miami, che visiteremo solo alla fine del nostro viaggio. Vogliamo prima entrare in contatto con la grande provincia americana e le sue leggendarie strade: il mattino seguente sono al volante di un camper a noleggio lungo la Interstate 95. Guidare negli Stati Uniti è un’esperienza emozionante per chi ha abbracciato il mito americano, ma l’entusiasmo viene presto smorzato dall’andatura sonnifera a cui ci costringono i limiti di velocità permettendoci per contro di ammirare gli splendidi paesaggi che si succedono allontanandoci dalla costa, intensamente urbanizzata. Percorriamo 200 miglia (circa 320 chilometri) per raggiungere il lungo litorale denominato Space Coast, da dove per cinquant’anni sono stati lanciati razzi e navette di programmi spaziali come Mercury, Gemini e Apollo.

Sull’isola di Merritt, a Cape Canaveral, il Kennedy Space Center è la principale struttura della NASA aperta al pubblico. Il costo della visita è piuttosto alto, ma anche il percorso più breve – della durata di più di quattro ore – ci soddisfa appieno. Un bus ci conduce intorno ai launch pad da dove partirono grandi imprese spaziali, inclusa la missione Apollo 11 che il 20 luglio 1969 portò l’uomo sulla Luna. Visitiamo a bocca aperta questa enorme area estesa su un’isola tutelata da una riserva naturale dove è facile incontrare alligatori e lamantini che si riparano dalla calura nelle acque paludose intorno alle rampe di lancio. Durante il tour ammiriamo il grande Vehicle Assembly Building, quindi il bus ci lascia davanti a un hangar con un iMax Theatre.

Gli spettacoli cambiano di continuo; noi assistiamo alla ricostruzione degli ultimi minuti dello storico lancio dell’Apollo 8 (il primo con equipaggio umano), con filmati e voci originali. Davanti a noi c’è una piccola sezione autentica della sala comandi dell’epoca, e il momento del decollo della navicella è sottolineato da un movimento sussultorio dei sedili che ci emoziona. Due grandi porte in metallo introducono nell’Apollo/Saturn V Center, dove si ammirano i diversi stadi del razzo, veicoli lunari, tute spaziali e altri oggetti originali.

Kennedy Space Center
Kennedy Space Center

Conclusa la visita, attraversiamo la cittadina di Cape Canaveral e percorriamo la sottile striscia di terra che si allunga fra il Banana River e l’oceano fino a Cocoa Beach. Sappiamo che da queste parti convengono surfisti di tutto il mondo in cerca dell’onda perfetta. E qui si trova anche il Ron Jon Surf Shop, uno dei negozi dedicati alla tavola da mare più grandi del mondo: migliaia di metri quadrati di esposizione in un edificio a quattro piani che include perfino una finta cascata tropicale. All’esterno alcune statue di resina ricordano i surfisti più celebri, e lungo tutta la North Atlantic Avenue si allineano negozi di souvenir, tatuaggi, agenzie di crociere organizzate e soprattutto accessi liberi alla spiaggia.

Il Ron Jon Surf Shop a Cocoa Beach
Il Ron Jon Surf Shop a Cocoa Beach

Ci godiamo il tramonto con i piedi nell’acqua prima di scegliere uno fra gli innumerevoli ristoranti nei pressi: al Captain J’s ceniamo su una terrazza affacciata sul mare. Il locale è semplice e la cena – a base di coda di alligatore fritta con salsa piccante, che qui è una specialità, e insalata di gamberoni arrosto con patate fritte – è gustosa ed economica. Arrivata la sera riprendiamo il veicolo e ci spostiamo a Orlando, dove faremo base per la notte.

Go west, young man

Un classico motorhome all’americana sulla Overseas Highway
Un classico motorhome all’americana sulla Overseas Highway

Costeggiando il Lake Apopka saliamo verso nord e con la Interstate 75 raggiungiamo Gainesville. Visitiamo il centro di questa dinamica città fondata nel 1869, la cui giovane popolazione – l’età media è 26 anni – nei mesi estivi affolla la piazza centrale e le vie adiacenti, dando vita a un colorato movimento che ha il fulcro nel grande campus universitario. Non ci facciamo mancare una vera colazione statunitense al Peach Valley Café: pancetta, pancake, macedonia di frutta e il grits, una tipica polenta di farina d’avena macinata che è il completamento perfetto per due uova alla Benedict. E non finisce qui: prima di lasciare la città proviamo i doughnuts, le ciambelle fritte farcite di cioccolato o glassa e ripiene di crema o marmellata.

Percorriamo la Road 26 arrivando a Old Town e dirigendoci verso Perry, dove mi fermo a fotografare una vecchia Chevrolet El Camino parcheggiata davanti al locale Bbq Bar. La mia presenza suscita la curiosità di un anziano che siede sui gradini sotto il portico di legno: mi chiede da dove venga e dove sia diretto, e mi racconta di sé. Bobby ha combattuto per tre anni in Vietnam, che dice essere un paese bellissimo, ed è stato di stanza in Europa con i marines, in Svezia e in Italia. Ma confessa di preferire il Belpaese, perché in Scandinavia fa troppo freddo e lui è abituato al caldo della Florida. Dopo avergli scattato una fotografia lo saluto, e ricevo l’invito a tornare per provare la carne alla brace del ristorante. Ci auguriamo fortuna a vicenda, e stringendoci la mano ci diamo l’addio.

Lungo la US Route 27
Lungo la US Route 27

Questo incontro è la nostra chiave d’accesso al panhandle, la striscia di terra che si prolunga a sud dell’Alabama togliendo alla Georgia lo sbocco al Golfo del Messico. Attraversiamo foreste di conifere e vari creek – fiumiciattoli placidi e nebbiosi – fino alla grande Apalachee Bay, con spiagge di sabbia bianchissima ed enormi tronchi che giacciono sull’acqua immobile rendendo l’atmosfera quasi spettrale.

Molte case sono abbandonate, interi villaggi sembrano disabitati e le case in legno dei pescatori si appoggiano sulla sabbia mediante incerte palafitte: la riviera è conosciuta come Forgotten Coast, la costa dimenticata. In realtà questo litorale è adatto alle vacanze familiari, economiche e tranquille: vi si respira l’aria della vecchia Florida, degli insediamenti ottocenteschi che strapparono il dominio territoriale ai Nativi Seminole. Continuiamo a guidare immersi in un paesaggio a metà fra laguna e foresta, sempre a stretto contatto con il mare, e ci fermiamo sulla spiaggia di Carrabelle, frequentata da pochi bagnanti, dove ci tuffiamo nel punto in cui alcuni battaglioni di marines si esercitarono per lo Sbarco in Normandia.

Superiamo Eastpoint e percorriamo il John Gorrie Memorial Bridge, un ponte di sei chilometri che attraverso le acque del Golfo del Messico ci porta ad Apalachicola, i cui edifici storici perfettamente conservati introducono in un’atmosfera particolare. La pesca delle ostriche e il turismo sono le voci principali del bilancio di questa comunità di appena duemila persone. All’ingresso del paese troviamo il Gibson Inn, un albergo risalente al 1907 in stile cracker: si tratta di costruzioni lignee con tetti di metallo e ampi portici che corrono su più lati dell’edificio. Un linguaggio architettonico ricorrente sulle strade del centro, che sembra uscito da un film western. Al Seafood Grill mangiamo ostriche gratinate e fritte, coda di alligatore fritta e crab pie, una gustosa omelette al granchio; usciti per una passeggiata, veniamo sorpresi da un temporale che ci fa rifugiare presso un rigattiere, e finito il piovasco ci spingiamo a piedi sino al porto.

Di fronte alla baia, mentre in cielo torna il sereno e noi camminiamo sulle banchine di legno tra le barche, ci godiamo il tramonto prima di visitare il Tin Shed, un grande negozio di antiquariato a tema marinaresco, e riprendere l’auto per tuffarci di nuovo sulla Interstate 98. Il sole è tramontato, e gli animali della laguna circostante emettono suoni potenti che ci fanno da colonna sonora. Deviamo sulla Highway 30 e costeggiamo il Saint Vincent Sound: ci fermiamo poco prima di Port St. Joe presso un ristorante unico nel suo genere, l’Indian Pass Raw Bar, il cui parcheggio è invaso da pick-up e giganteschi fuoristrada.

L’ambiente è chiassoso e allegro; una ragazza ci invita a gran voce a prendere due birre dal frigo in fondo alla sala e aspettare il nostro turno accomodandoci a un tavolo comune, tra una coppia di giovani e una famiglia del Tennessee con cui facciamo subito amicizia. Dopo un aperitivo a base di cracker e salse piccanti ordiniamo granchio lessato, ostriche, gamberi stufati e una pannocchia bollita; non ci sono le posate, e per pulirsi le mani si ricorre a grossi rotoli di carta assorbente. L’atmosfera è genuina e le persone si rivelano assai accoglienti; il cibo è buono, i prezzi abbordabili, e sul portico una string band tiene un concerto di musica country. Una serata davvero a stelle e strisce.

Dalle paludi alle isole

Key West, Mallory Square, dove si radunano artisti di strada e funamboli
Key West, Mallory Square, dove si radunano artisti di strada e funamboli

Il mattino dopo, di buon’ora, ci rimettiamo al volante: abbiamo intenzione di dirigerci verso sud, attraversando la Florida in tutta la lunghezza per giungere prima di sera alla meta agognata. Percorriamo la Old US27 Highway, che seguiremo per qualche centinaio di chilometri. Il percorso ci lascia letteralmente a bocca aperta: mano a mano che procediamo verso sud gli insediamenti abitativi si diradano per dar luogo a vere e proprie distese di aranceti.

Ecco l’immensa provincia americana: strade lunghissime punteggiate da tavole calde e stazioni di servizio dove si vende di tutto, villaggi allineati lungo la loro Main Street che spesso coincide con il tracciato della highway. Sorseggiando caffè nero e addentando carne salata ogni volta che ne abbiamo la possibilità, continuiamo a scendere attraversando Lake Placid e costeggiando il lago Okeechobee nei pressi di South Bay, quindi deviamo verso est per raggiungere Palm Beach. Una breve passeggiata è sufficiente per scoprire questo abitato di recentissima costruzione, con piccole corti che si aprono all’interno degli edifici per accogliere ristoranti e boutique dai prezzi inaccessibili.

Abbandonato il centro percorriamo la Royal Palm Way, sulla quale si allineano palme di dimensioni colossali: la strada ci porta direttamente sul lungomare, il South Ocean Boulevard, ma presto decidiamo di lasciare questo mondo patinato per tornare – non a malincuore – verso Lake Placid. Percorriamo strade dritte a quattro corsie, costeggiate da canali e da coltivazioni di mais e grano; osserviamo la swamp, la grande distesa paludosa popolata di alligatori, lamantini e numerose altre specie protette, fino al limite orientale del parco nazionale delle Everglades, il cosiddetto mare d’erba. Nonostante sia stato ridotto del 50% a causa delle coltivazioni, questo enorme ecosistema subtropicale di 6.000 chilometri quadrati è uno straordinario polmone verde per la Florida.

un vecchio hippy a zonzo con la sua cruiser bike
un vecchio hippy a zonzo con la sua cruiser bike

Noi continuiamo a viaggiare verso sud e attraversando Homestead e Florida City con la US1 arriviamo al lungo ponte che ci permette d’imboccare la Overseas Highway, una strada di 200 chilometri che corre in mezzo al mare, letteralmente sospesa tra le acque del Golfo del Messico. Costruita seguendo il tracciato ferroviario distrutto da un uragano nel 1935 (sono ancora visibili diversi tratti dei ponti), questa grande opera di ingegneria civile collega la maggior parte delle Florida Keys, le isole che formano un arcipelago ad arco di terre sabbiose immerse in un mare blu cobalto. Passiamo Key Largo, il Fossil Reef Geological Park di Windley Key e l’Historic State Park di Indian Key, e ci fermiamo a Marathon, in posizione centrale rispetto allo sviluppo dell’arcipelago: sono le 22.30, e la giornata passata al volante è stata stupenda ma faticosa.

Il giorno dopo ci svegliamo di buon’ora e dopo una ricca colazione a base di uova, bacon e pancake riprendiamo la marcia di isola in isola in un susseguirsi di vivaci paesini; ma basta discostarsi di poco dalla direttrice principale per scoprire case di legno, porticcioli e aree naturali protette da piccole riserve dove la quiete regna sovrana: subito dopo Marathon si attraversa il Seven Miles Bridge, il cui nome dice tutto di sé, e si raggiunge il National Key Deer Refuge, dove sono accolti cervi allo stato brado.

Proseguiamo ancora e circondati da un mare turchese arriviamo alla nostra agognata meta, il punto più meridionale degli Stati Uniti, in linea d’aria più vicini all’Avana che a Miami: siamo a Key West. Per anni gli hippy e in generale coloro che non condividevano il lifestyle americano potevano trovare asilo su quest’isola, in un’atmosfera quasi caraibica. L’espansione dell’offerta turistica ha distrutto l’atmosfera di quegli anni, ma a Key West si respira ancora un’aria assolutamente unica, che nulla ha da spartire con il resto della Florida. Il motto stesso dell’isola, One Human Family (una sola famiglia umana), lascia comprendere il clima di apertura e tolleranza che vi si respira.

Nella Old Town ammiriamo le vecchie case il cui legno era ricavato dalle navi naufragate; passeggiamo lungo Duval Street, la strada più nota, dove si susseguono negozi di souvenir e locali. Tra questi c’è Sloppy Joe’s, il bar frequentato da Ernest Hemingway, oggi uno specchietto per allodole dedicato ai turisti. Continuiamo a vagare per Key West, le cui strade vengono attraversate da numerosi galli da combattimento che vanno a razzolare liberi nelle aiuole. Ma i veri protagonisti dell’isola sono i discendenti dei gatti a sei dita di Hemingway, che popolano il giardino della casa dello scrittore, oggi adibita a museo.

Museum of Art and History
Museum of Art and History

Hippy, senzatetto, anziani barbuti e ubriaconi ci fermano per strada chiedendoci difotografarli a pagamento; e tra un sandwich all’aragosta e una frittella di strombo (un mollusco caraibico) arriviamo al vero must di Key West: il tramonto a Mallory Square. È qui che autoctoni e turisti s’incontrano per ammirare il sole che cala nelle acque del Golfo del Messico, alle spalle di Sunset Key. Lo spettacolo è ravvivato dalla presenza di saltimbanchi, giocolieri di strada, mangiafuoco, indovini e artigiani che vendono i loro oggetti proprio sul limitare del molo. Scesa l’oscurità torniamo verso Duval Street per assaggiare la tipica Key lime pie: attenzione però, la vera torta al lime delle Keys è gialla, mentre quelle verdi sono solitamente colorate con additivi.

La capitale delle Americhe e di nuovo nella natura

Lo skyline di Miami dalla Biscayne Bay
Lo skyline di Miami dalla Biscayne Bay

Prua a nord-est, risaliamo l’Overseas Highway e una bella strada immersa nel Crocodile Lake National Wildlife Refuge – poco frequentata dagli umani ma assai battuta dai grossi rettili e da altri animali allo stato brado – mentre puntiamo finalmente su Miami. La città è detta la capitale delle Americhe a causa della forte immigrazione che dagli anni Sessanta ha fatto affluire decine di migliaia di persone dai Caraibi e dalla parte meridionale del continente: oggi i cittadini di origine ispanica e latinoamericana costituiscono la maggior parte della popolazione nell’area metropolitana, che conta cinque milioni di abitanti.

Fondata nel 1896, Miami è un agglomerato urbano contraddittorio e in alcuni quartieri pericoloso (ma limitando la propria visita alle zone prettamente turistiche il rischio di fare brutti incontri si riduce praticamente a zero); fra gli svariati appellativi il più noto è Vice City, la città del vizio, che ha origine nell’enorme afflusso di droga degli anni Ottanta, a cui fa riferimento Scarface di Brian De Palma. La differenza tra l’atmosfera rarefatta e tranquilla delle Keys e la convulsa vita cittadina è evidente. Siamo accolti da una miriade di grattacieli, che segnano in modo eloquente il centro finanziario: una volta divincolati dal groviglio di strade, ponti e sopraelevate, raggiungiamo Miami Beach e il Déco District, dove si contano decine di edifici costruiti agli inizi del XX secolo.

Ocean Drive, il lungomare, mette in fila un numero impressionante di bar e ristoranti pronti ad accogliere i bagnanti in costume, canottiera e infradito: l’accesso al litorale è gratuito, quindi si può fare il bagno e andare a mangiare portando il telo da mare senza che nessuno si scandalizzi. Dopo una passeggiata su Collins Avenue – dove si trovano negozi di souvenir e grandi firme – ci spostiamo verso il centro di Miami al Bayside Marketplace, un grande centro commerciale dal quale si gode una bella vista della Biscayne Bay.

Miami Beach
Miami Beach

Ben diversa è l’atmosfera a Little Havana, il quartiere cubano: le finestre sono sbarrate, e molti anziani sono seduti ai lati della strada a fumare sigari e osservare il passeggio. Ci fermiamo al Máximo Gómez Park, uno storico circolo del domino, gioco da tavolo assai amato da queste parti; su Calle Ocho – dove c’è la star walk di attori e cantanti cubani – si allineano negozi di souvenir e rivendite di sigari fatti a mano in loco, ma anche barbieri, negozi di alimentari e bar. Per entrare in contatto con la vita del quartiere addentiamo un Cuban sandwich, un panino alla piastra ripieno di tacchino, prosciutto cotto, formaggio, mostarda e cetriolini, che divoriamo in men che non si dica.

Avendo in programma di tornare a Miami Beach per la cena, per restare in un’atmosfera caraibica decidiamo dunque di recarci al Puerto Sagua Restaurant su Collins Avenue, un affollatissimo ristorante cubano aperto 24 ore su 24. Ci sediamo al bancone affiancati da clienti vocianti e allegri, e ordiniamo una zuppa di fagioli neri e una porzione di pollo fritto, anche se la lista dei piatti di mare è sterminata; e benché ci troviamo in una delle località turistiche più famose del mondo, il conto è accettabile.

Parco nazionale delle Everglades
Parco nazionale delle Everglades

Di nuovo nella natura

In ogni caso, Miami può annoiare ben presto il viaggiatore che non ama il turismo di massa. Proprio la sensazione di trovarsi in un’enorme macchina mangiasoldi ci fa decidere di abbandonare la città per il nostro ultimo giorno di permanenza in Florida. Da South Beach imbocchiamo quindi la US41, nota anche come Tamiami Trail, una bellissima strada che ci porta dritti nelle Everglades tagliando la penisola in senso trasversale: siamo di nuovo immersi nel mare d’erba, e al lato della carreggiata ci sono i canali sui quali è possibile fare escursioni a bordo degli airboat, zattere tipiche del sud degli Stati Uniti spinte da grossi motori a elica.

Facciamo una sosta alla Big Cypress Gallery, dedicata all’eccezionale lavoro di Clyde Butcher, un anziano fotografo naturalista: oltre ad acquistare stampe originali e riproduzioni, presso la struttura si possono prenotare visite guidate all’interno della palude, accompagnati da un fotografo professionista. Dopo pochi chilometri siamo a Ochopee, il minuscolo centro abitato dove si trova il più piccolo ufficio postale d’America.

Il più piccolo ufficio postale degli Stati Uniti è l’attrattiva principale di Ochopee
Il più piccolo ufficio postale degli Stati Uniti è l’attrattiva principale di Ochopee

Continuiamo ad attraversare villaggi prospicienti il mare, e a Carnestown – un incrocio di strade – svoltiamo in direzione di Everglades, sulla costa occidentale della Florida.

La cittadina è uno dei punti d’ingresso all’omonima regione paludosa, protetta da un parco nazionale. Tra le case dei pescatori ci fermiamo al City Seafood, una tavola calda dove ci vengono servite code d’alligatore, ostriche, patate e cipolle fritte, il tutto annaffiato da birra locale; mangiamo su panche di legno rivolte verso la palude fra tucani che ammiccano ai nostri piatti e turisti che ci salutano dai kayak. Per entrare a piedi nell’area protetta e percepire appieno la natura che ci circonda vale la pena spostarsi poco più a nord con la US41: all’interno del Fakahatchee Strand Preserve State Park si trova la Big Cypress Bend Boardwalk, una passerella di legno lunga un chilometro che permette al visitatore di introdursi nello straordinario ambiente umido per conoscerne la foltissima vegetazione e incrociare con lo sguardo gli animali che la popolano.

Parco nazionale delle Everglades
Parco nazionale delle Everglades

Qui le zanzare la fanno da padrone, ma con uno spray antipuntura e un po’ di spirito di sopportazione si può affrontare agevolmente il cammino all’ombra di mangrovie altissime. Il sole sta per calare, ed è tempo di far ritorno a Miami attraversando le Everglades per l’ultima volta: abbiamo appena concluso un viaggio di 3.000 chilometri che, già sappiamo, non sarà facile dimenticare. 

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