Finalmente lunedì

L'isola del weekend: così è chiamata Kea, che durante i finesettimana della bella stagione si riempie di ateniesi. Ma negli altri giorni la più vicina delle Cicladi (che si raggiunge solo in traghetto dal porto attico del Lavrio e non ha nemmeno uno scalo aereo) ridiventa una deliziosa palestra di vita e vacanza all'aria aperta, in cui alternare i bagni di sole e di mare alle escursioni nell'entroterra e verso le coste.

Indice dell'itinerario

La prima delle perle che formano la straordinaria collana delle Cicladi trasuda acqua da ogni suo poro. Se ne erano accorte già le Naiadi, ninfe belle e astute, che nell’isola di Kea decisero di andare ad abitare e la chiamarono appunto Hydroussa, terra ricca d’acqua. Ma un feroce leone, giunto chissà da dove, mandò all’aria i loro piani e le ninfe dovettero fuggire. Per Hydroussa fu un disastro: le fonti si asciugarono, i boschi si seccarono, i castagni e le querce avvizzirono. Finché non sbarcò sulle sue coste l’eroe Keos, che fece giustizia scacciando la belva e restituendo a quel paradiso terrestre la sua lussureggiante vegetazione. Per questo oggi l’isola si chiama con il suo nome, e per questo un enorme leone di pietra troneggia nei pressi di un antico sepolcreto ricordando un mitologico passato che molto di più non ha lasciato in eredità.
Alle visite indesiderate, d’altronde, i keoti dovettero fare subito il callo. Essendo infatti tra le Cicladi la più vicina al continente, Kea ha subito nel corso della sua storia millenaria un’invasione dopo l’altra: Micenei, Cretesi, Ateniesi, Romani, Franchi, Turchi, Veneziani si sono succeduti nella dominazione senza però riuscire a piegare alla loro causa il popolo keota, solido nel reclamare la propria autonomia e deciso a rispettare usi e costumi ormai consolidati. Ma da queste parti si respira anche un saper vivere che già Simonide, il grande poeta greco nato qui nel VI secolo a.C., esprimeva con queste parole: “Non voglio in una speranza vuota e inane sciupare la mia parte di vita bramando l’impossibile”.
Dev’essere anche per questo che gli abitanti hanno accettato con filosofia la più recente conquista, poiché nell’ultimo decennio sempre più ateniesi sono sbarcati a Korissia, sulla costa occidentale dell’isola, con l’intenzione di ritagliarsi un eden personale in cui trascorrere il weekend in assoluto relax (dalla capitale greca si arriva a Kea in due ore, traghetto compreso). Un piccolo lusso di cui hanno voluto godere in tanti, e che oggi si è concretizzato nella nascita di numerosi insediamenti distribuiti lungo l’intero perimetro dell’isola, senza che però ne abbiano risentito l’ambiente e i panorami: solo casette e villini, molti dei quali architettonicamente gradevoli, a punteggiare un territorio che ancora quindici anni fa era pressoché identico a quello frequentato dalle Naiadi. Il turismo di massa, per fortuna, non è ancora arrivato e perciò niente aeroporto, niente maxitraghetti provenienti dal Pireo, niente hotel per i gruppi organizzati dei torpedoni. Non a caso chi ci vive oggi l’ha definita l’isola dei weekend: pressoché deserta per tutta la settimana, anche in alta stagione, Kea si riempie il venerdì sera per svuotarsi nuovamente la domenica pomeriggio.
E’ un vero paradosso, specialmente in questo arcipelago tanto frequentato, che va però a tutto vantaggio di chi vuole liberamente apprezzare le bellezze di Kea e impadronirsi dei suoi segreti. Un ottimo sistema è quello di percorrere i nove sentieri attrezzati che si intrecciano da nord a sud e da est a ovest in un reticolo che collega fra loro tutti i punti più importanti dell’isola: nessuna concessione alle tendenze turistiche dell’ultima ora, ma la semplice riproposizione – seppure ristrutturata – dei percorsi seguiti dai primi abitatori. E’ camminando lungo quei sentieri che si possono scoprire le chiesette più suggestive e caratteristiche (a Kea sono centotrenta fra piccole cappelle votive e più grandi edifici di culto), è a piedi che si possono raggiungere i siti archeologici più importanti come Karthea e Aghia Irini, è un passo dopo l’altro che si può ammirare un paesaggio che muta in continuazione, sensibile com’è alla presenza di fonti e corsi d’acqua. E se non si ama camminare, c’è comunque una rete stradale sufficiente a garantire la copertura dell’intero territorio, comunque facile da esplorare anche a motivo delle dimensioni: la superficie è di circa 130 chilometri quadrati, poco più della metà dell’isola d’Elba, e il perimetro costiero non raggiunge i 90 chilometri. Sulle strade di Kea, in ogni caso, i camper voluminosi faranno bene a prestare una certa attenzione poiché la larghezza delle carreggiate è generalmente ridotta, molti tratti non sono ancora stati asfaltati e raggiungere alcune spiagge può comportare qualche sforzo supplementare. Ma una volta arrivati a destinazione, ci si renderà conto che ne è valsa davvero la pena.

La parte nord
Il punto di riferimento del nostro primo itinerario, Ioulida, è una cittadina incantevole, inerpicata com’è sulle pendici dei monti che a suo tempo attirarono i primi abitatori grazie all’abbondanza dell’acqua che sgorgava – e ancora oggi sgorga – dalle viscere della terra. Essendo chiusa al traffico automobilistico (i mezzi particolarmente ingombranti sosteranno preferibilmente nel parcheggio a nord, sulla strada per Hellinikà, piuttosto che in quello a sud, meno ampio) si lascia ammirare fin nei minimi dettagli, vicolo dopo vicolo, viuzza dopo viuzza. Oltre al museo archeologico, che conserva i più importanti reperti del passato keota, meritano una visita il leone di pietra, colossale scultura risalente al VI secolo a.C. raggiungibile tramite uno dei tanti sentieri che solcano l’isola in lungo e in largo (probabilmente la decorazione funeraria apposta sulla tomba di qualche importante personaggio dell’epoca), e le vestigia pur poco appariscenti dell’antico kastro, da cui si gode una vista mozzafiato sul golfo sottostante. Quattro passi nella zona alta ed ecco i resti di antichi mulini a vento, l’agglomerato più consistente di tutte le Cicladi: pochi, a dire il vero, rivelano ancora la loro antica funzione, ma alcuni di essi sono stati ristrutturati con esiti davvero interessanti.
Ioulida si trova in posizione centrale e ad essa si raccordano tutti gli assi stradali principali, il che ne fa una base ideale di molte esplorazioni. Ci muoviamo allora in direzione del porto in cui noi stessi siamo sbarcati, Korissia: un manipolo di casette bianche e basse accalcate sulle colline intorno all’unico molo che garantisce ai traghetti provenienti dal Lavrio un comodo approdo, nonostante le manovre di attracco richiedano una notevole perizia. E’ qui che si può fare la spesa e sempre qui sono concentrati tutti i servizi, dunque una tappa di valore essenzialmente logistico. Un paio di chilometri prima, all’altezza di Mylopotamos, non fatevi sfuggire la deviazione a sinistra per Flea, la sorgente più ricca dell’isola, dove sono visibili i resti di una decina di mulini ad acqua e delle antiche canalizzazioni scavate nella roccia per servirli.
Da Korissia si prende in senso orario per Vourkari, pittoresco villaggio di pescatori adagiato su una baia dalle acque immobili come quelle di un lago e per questo trasformatasi col tempo in porto turistico. Poco lontano è il sito archeologico di Aghia Irini, insieme labirintico formato dalle tracce degli insediamenti succedutisi nelle diverse epoche fino al suo abbandono: ad accoglierci i resti delle poderose mura difensive e le piante di decine di abitazioni private, nonché quella di un tempio probabilmente consacrato a Dioniso.
Dopo 5 chilometri, all’estremità settentrionale, la costa è incisa dal golfo di Otziàs, 700 metri di spiaggia ombreggiata intorno a una profonda insenatura quasi perfettamente ellittica, luogo ideale per un tuffo ristoratore. I resti di una struttura portuale probabilmente di epoca ellenistica, individuati di recente, fanno pensare che in quel periodo Otziàs fosse diventato il porto di Ioulida, anche perché nelle vicinanze era presente una cava da cui si ricavava l’ocra rossa poi esportata in tutto il continente. La strada asfaltata si spinge fino all’estremità nord-orientale dell’isola, dominata dall’austera mole del monastero di Kastriani: la chiesa, molto frequentata dai devoti del posto e non solo, conserva un’icona della Madonna che apparve miracolosamente ad alcuni pastori nel XVIII secolo ed è venerata il 15 agosto di ogni anno con feste e processioni. Una strada sterrata che si stacca sulla destra un paio di chilometri prima conduce invece alla bella baia di Spathì, ideale per chi cerca qualche ora di pace in riva al mare. Anche quaggiù, nei tempi antichi, si estraeva l’ocra rossa, come testimoniano numerose vestigia ritrovate nei pressi delle vecchie cave.

La parte sud
E’ sempre Ioulida il punto da cui partiamo per esplorare la parte meridionale. Prendiamo subito per Poisses, in direzione della costa di sud-ovest, ma la discesa verso il mare viene subito interrotta da una deviazione sulla destra per il monastero abbandonato di Aghia Marina, realizzato durante l’occupazione turca nei pressi di una torre di difesa eretta nel IV secolo a.C. della quale restano solo le rovine (minacciosi cartelli vietano l’accesso per ragioni di sicurezza): in questa suggestiva cornice, il 17 luglio di ogni anno si svolge un’altra grande festa religiosa capace di richiamare i keoti da tutta l’isola.
Imboccata nuovamente la strada asfaltata, 5 chilometri dopo si apre davanti a noi l’amena vallata di Poisses, una delle più fertili di Kea grazie alla straordinaria abbondanza delle sue falde acquifere: le basse colline digradano con dolcezza verso il mare e finiscono in una lunga spiaggia di sabbia, nei pressi della quale si trova l’unico campeggio dell’isola. L’abitato è dominato dai resti dell’acropoli dell’antica Piiessa, ricavata sulla sommità del monte che chiude la baia a sud, e dalla cappella dedicata a Nostra Signora Salvatrice. Dopo Poisses l’asfalto lascia posto allo sterrato, comunque agevole da percorrere anche dai camper più ingombranti: a 4 chilometri si apre la splendida baia di Koundouros, che scopriamo essere l’oggetto delle aspirazioni professionali di molti architetti ateniesi di grido. Anche qui tuttavia niente costruzioni invasive, ma piccole case rivestite di pietra che orlano le numerose calette e le tante spiaggette che si aprono fra le rocce. Tre chilometri più avanti ci invita a un bagno rigenerante un’altra meravigliosa insenatura, quella di Kambi, che è invece il luogo ideale per una sosta in libertà a due passi dalla spiaggia.Lo sterrato, che a questo punto si fa più aspro, si inerpica nuovamente verso le alture centrali fino a raggiungere la strada asfaltata che porta alla chiesetta di Aghios Nikolaos: da qui parte l’accidentato sentiero che in un’ora e mezzo di cammino, a tratti anche impegnativo, permette di scendere verso la costa sud-orientale alle rovine di Karthea, raggiungibili solo a piedi o in barca. E’ questo il sito archeologico più importante e suggestivo dell’isola, appollaiato com’è su un terrapieno a picco sul mare: dominato dai resti del tempio di Apollo Pizio, del V-IV secolo a.C., e da quelli del pressoché coevo tempio di Atena, ci ha colpito soprattutto per la spettacolarità delle vedute sulla vicina isola di Kythnos. Le sculture decorative dei due edifici maggiormente degne di attenzione sono state trasferite al museo archeologico di Ioulida, mentre sul campo restano gli elementi architettonici sui quali gli archeologi stanno compiendo lavori di ristrutturazione. Il complesso, traccia significativa di una delle quattro antiche città di Kea, annovera inoltre i basamenti di alcune abitazioni private e le confuse vestigia del teatro, appoggiato a una collina protetta da mura ciclopiche di cui restano alcuni frammenti. Nella piccola baia antistante i ricercatori hanno infine recuperato testimonianze di quello che in epoca classica doveva essere il porto orientale di Kea, anche se ancora tutto rimane a livello di ipotesi.
Continuando lungo la strada verso Ioulida, un’altra interessante deviazione si trova dopo circa 8 chilometri: un impegnativo sterrato conduce alla chiesa di Aghios Simeon, mentre sulla sinistra si stacca un sentiero che in meno di un’ora di cammino permette di raggiungere la cappella di Aghios Philippos, splendida e solitaria sentinella della spiaggia su cui fu edificata tre secoli or sono. La variante è faticosa, ma la visione del bucolico insieme è una delle immagini che rimangono indelebilmente impresse nella memoria.
Ripresa la strada principale, si prosegue fino alla località detta Hellinikà, dalla quale si stacca l’ennesimo viottolo che suggeriamo di percorrere fino al piccolo convento di Aghios Pandelemonas, con chiesa cruciforme in stile post-bizantino e gli immancabili resti di una torre difensiva dell’epoca veneziana. Pezzo forte del complesso è però il synthronon di Aghios Timoteos, una piccola costruzione apparentemente diroccata che cela un’autentica sorpresa: una serie di splendidi affreschi cronologicamente collocabili nel XIII secolo, segnale inequivocabile che la struttura era parte integrante dell’antico convento bizantino di Timios Prodromos a cui fanno cenno le antiche cronache. Uno straordinario bagno di cultura prima di rientrare a Ioulida e, se si ha ancora qualche giorno, continuare nella scoperta dell’isola delle Naiadi.

PleinAir 430 – maggio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio