Fiato alle canne

Arrivano in Molise da mezzo mondo per dare voce e suono alla cultura dei pastori: sono i partecipanti al Festival Internazionale della Zampogna, che per tre giorni trasforma Scapoli in un grande laboratorio musicale a cielo aperto.

Indice dell'itinerario

Dal grande mansardato escono suoni profondi, note e accordi dall’atmosfera vagamente natalizia che ricordano i freddi altopiani scozzesi o i verdi monti della Galizia. E invece, in una calda giornata di luglio, siamo in Molise al Festival Internazionale della Zampogna di Scapoli, per scoprire che l’Italia possiede un’antica tradizione di strumenti a otre. Cornamuse, pive, ciaramelle, sorduline e zampogne (insieme a gaite spagnole, smallpipe bretoni e tulum turchi) sono tutti strumenti della grande famiglia degli aerofoni a sacco, costituiti cioè da una bisaccia di pelle per la riserva d’aria che rifornisce una o più canne sonore dette chanter. E i pastori dell’Appennino centro-meridionale sono rinomati in tutta Europa per la sapiente arte di costruirli.
Incuriositi dalla musica bussiamo alla porta del veicolo di Augusto Vaccari, camperista e zampognaro amatoriale che con la sua molisana di Gerardo Guatieri, famoso costruttore di Scapoli, è sceso dal Veneto per partecipare ai convegni e alle sfilate e per migliorare la sua tecnica. Con l’occasione, insieme ad alcuni amici ha trasformato il suo camper in uno studio musicale improvvisato: è venerdì, il primo giorno della manifestazione, e il paese è tutto un risuonare di canti e melodie.
Lorenzo Chiara, anche lui ospite di Augusto, è un giovane costruttore di Cavaso del Tomba. «La zampogna si accorda tutta a orecchio, senza l’aiuto di alcuno strumento, ed è costituita da materiali naturali che risentono degli agenti atmosferici, dell’umidità e dell’altitudine, per cui di volta in volta ha bisogno di adattarsi al luogo in cui si suona. Quelle palline di grasso che vedete attaccate alle canne di ogni strumento sono di cera d’api e vengono usate per tappare o allargare i fori delle chanter, modulando lo sfiato e quindi il suono».
«Ogni strumento – aggiunge il signor Raffone, uscendo dal mansardato con un vassoio di salsicce e pecorino – va adattato al musicista. Io, per esempio, vengo dalla Sardegna e sono un suonatore di launeddas, abituato a gonfiare molto le guance per rilasciare il fiato in maniera prolungata, quindi la mia musica, il mio otre e i miei chanter devono essere accordati diversamente».
Nel camper, così come in tutta Scapoli, è insomma riunita un po’ tutta l’Italia, giunta sin qui per imparare a suonare e a costruire strumenti dai più famosi artigiani e musicisti, per seguire seminari tecnici e anche per divertirsi arricchendo le file delle parate dove la zampogna è protagonista della festa. Ne approfittiamo per farci accompagnare in giro, e scopriamo un universo inaspettato: in questo minuscolo paese della provincia di Isernia si sono riunite bande dalle Highland scozzesi con tanto di kilt, tamburi e stendardi, giovani musicisti indipendenti dalla Romania che suonano una musica in stile arabo con uno strumento dalla melodia dolce e incantatrice e, naturalmente, tantissimi originali zampognari italiani. Nella piazzetta dove la scalinata barocca sale verso la chiesa arroccata sul piccolo colle ci sono i Bufù Kalena di Casacalenda, un gruppo folkloristico veramente coinvolgente con al seguito grandi caccavelle costruite con le botti del vino mediante le quali ripropongono i generi musicali più disparati, dalla classica tarantella al Bolero di Ravel. Poco più in là, una giovane promettente fisarmonicista arrivata come turista improvvisa una pizzica con un tamburello di passaggio e visitatori, musicisti, negozianti iniziano a ballare.
Per tre giorni tutta Scapoli sarà un tripudio di musica e di movimento: danzano i proprietari delle bancarelle di oggetti d’artigianato, cantano i costruttori di tammorre o nacchere con gli strumenti appena creati, e persino i più attempati zampognari della Surdulina del Pollino, della Piva romagnola o i flemmatici scozzesi della City of Rome Pipe Band, travolti dal ritmo, si lanciano in giravolte e virtuosismi vocali nella pausa tra una rappresentazione l’altra, con una birra o un bicchiere di vino in mano. Le normali regole del vivere sociale sembrano sospese e, ai momenti di studio e informazione tecnico-professionale delle conferenze, si alternano suoni in libertà e pause di buona tavola: il fumo profumato e succulento degli arrosticini di pecora la fa da padrone, senza riuscire però a nascondere l’aroma dei peperoni e delle cipolle alla brace, dei ravioli scapolesi al sugo d’agnello e della salsa di zucchine. Anche le spietate norme anticampeggio del Codice della Strada sono addolcite dalla previdenza e lungimiranza del Comune che, consapevole dell’insufficienza numerica delle strutture ricettive per la massiccia mole dei visitatori, permette di sostare in camper, roulotte e tenda nei parcheggi, nelle piazzole e addirittura nei campi sportivi.
Mentre continuiamo l’istruttivo percorso, la nostra attenzione viene catturata da Saretto Bambara con la sua zampogna a paro messinese: splendido strumento decorato e dipinto d’oro di cui restano solo quattro esemplari, un altro dei quali custodito alla mostra del Circolo che visiteremo tra poco. Accompagnati dai nostri maestri entriamo intanto nel Museo della Zampogna del centro storico, e poi alla Mostra Permanente di Cornamuse del Centro Italiano Zampogna all’ingresso del paese: qui impariamo che si fa risalire al I secolo la prima notizia certa sulla costruzione e sull’uso di questi strumenti, importati probabilmente dall’Asia e diffusi nella Roma imperiale con il nome di utriculus riferendosi all’otre che permetteva il suono continuo delle tibiae, i flauti. In realtà c’è chi ha riconosciuto una zampogna in alcune raffigurazioni su un vaso etrusco o in un affresco greco, ma le incisioni sono troppo equivoche per averne la certezza. Scopriamo poi che ebbero grande diffusione nelle campagne belliche perché si potevano suonare in marcia e si udivano da lontano e che si diffusero tra i popoli di pastori poiché questi disponevano dei migliori materiali per produrle: innanzitutto pelle e stomaco animale per il sacco (oggi sostituiti in alcuni esemplari “da studio” con le camere d’aria delle auto) oltre al legno per le canne acustiche, i bordoni e i chanter ancora adesso in ulivo o in ciliegio, ma anche il corno per l’ancia e per le decorazioni che sempre più spesso, purtroppo, vengono realizzate in volgare plastica. Infine esploriamo l’universo degli aerofoni a otre studiando le caratteristiche dei vari esemplari conservati nei musei: ci sono la piccola e cortissima Surdulina del Pollino e la zampogna calabra alta ben 6 palmi, il decoratissimo strumento siciliano già visto in azione, le classiche zampogne con chiave o zoppe molisane, le pive e le baghet, muse dell’Appennino del nord molto più simili alle cornamuse. E poi l’oltralpe con la Galizia spagnola, la Catalogna dal sacco a fiori, la Guascogna francese, le isole Baleari, le moderne cornamuse scozzesi dall’otre a scacchi, la Repubblica Ceca, Russia, Armenia, Turchia, Tunisia…
Usciamo che si è fatto buio, tra la ressa. In piazza hanno allestito i palchi per i concerti gratuiti dei grandi maestri e dei gruppi folkloristici più famosi. Ovunque si canta e si balla, accompagnati dal profumo delle specialità preparate per l’occasione che adesso si è fatto ancora più forte e invitante. E il nostro camper ci aspetterà sino a notte fonda.

PleinAir 384/385 – luglio/agosto 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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