Fettine di storia

Sulle basse colline intorno a San Daniele del Friuli si dipana un anello che tocca alcuni dei più interessanti castelli della regione, ma anche piccole aree naturalistiche di pregio e singolari testimonianze della cultura locale. Un itinerario che comincia e si conclude a tavola, per gustare l'eccellente prosciutto e altri prodotti tipici della fascia pedemontana udinese.

Indice dell'itinerario

A renderlo unico è l’aria. Sulle colline di San Daniele del Friuli, dove le miti correnti in arrivo dall’Adriatico incontrano quelle frizzanti delle Prealpi Carniche, c’è un microclima speciale, quanto di meglio si possa desiderare per la stagionatura. E qui nasce il prosciutto di San Daniele, un delizioso persùt crud le cui origini risalgono a non meno di duemilacinquecento anni fa. Già i Celti, infatti, adoperavano il sale per conservare le carni del maiale, e poi fu la volta dei Romani, che colonizzarono questi territori nel II secolo avanti Cristo. Conosciuto nel Medioevo come persitto di San Daniello, il pregiato salume fu apprezzato dai patriarchi di Aquileia e dai dogi della Serenissima prima di approdare sulle tavole di varie teste coronate negli ultimi secoli. Ma il San Daniele, oggi ricercato dai buongustai di tutto il mondo e premiato dalla Denominazione di Origine Protetta, ha conquistato gli onori della ribalta soprattutto in tempi recenti: basti pensare che nel 1980 si lavoravano circa 350.000 cosce all’anno, mentre oggi questa cifra è salita a circa 2.750.000, di cui un quinto destinato ai mercati esteri.
La bontà del prosciutto è legata al clima, ma anche alla qualità delle materie prime: maiale e sale marino, nient’altro. Un severo disciplinare regolamenta le fasi di produzione, vietando tassativamente l’aggiunta di conservanti o di additivi. Le carni impiegate provengono da animali che vengono nutriti con cereali e siero di latte, allevati e macellati esclusivamente in dieci regioni italiane. Dopo la rifilatura, con cui si asporta una parte della cotenna e del grasso, ogni coscia passa alla salatura che, nel rispetto della tradizione, dura un numero di giorni pari al suo peso (mai inferiore ai 12 chili). Rimosso il sale in eccesso è la volta della pressatura, che serve a conferire al prodotto la tipica forma a chitarra ma anche a favorire lo spurgo dell’umidità e la coesione fra le parti grasse e quelle magre. Passato un periodo di riposo di circa tre mesi, il prosciutto viene lavato e asciugato; poi, con un impasto di strutto, sale e farina di cereali si effettua la stuccatura delle porzioni non protette dalla cotenna, per passare finalmente alla stagionatura. Bisognerà attendere non meno di nove mesi prima che il prosciutto sia pronto per essere consumato.
Il crudo di San Daniele compare nelle ricette di piatti raffinati, ma il modo migliore per apprezzarlo è con un tozzo di pane o con dei grissini, e così viene servito nelle prosciutterie e nel corso di feste, sagre e appuntamenti enogastronomici che si svolgono nella cittadina friulana e nei dintorni. Partecipare a una di queste manifestazioni consente inoltre di scoprire che non è l’unica eccellenza del territorio: se infatti l’aria è l’ingrediente segreto del crudo di San Daniele, l’acqua pura del Tagliamento (che scorre pochi chilometri ad ovest dell’abitato) lo è per i prodotti dell’allevamento ittico. Dal 2000 la trota affumicata locale ha ottenuto il riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tradizionale, che identifica e tutela le specialità regionali. Una volta sfilettata, la regina di San Daniele viene sottoposta all’azione del fumo ottenuto bruciando legna non resinosa e bacche aromatiche, senza mai superare la temperatura di 30°C. Quasi superfluo aggiungere che non si usano conservanti né coloranti. E chi capita dalle parti di San Daniele il terzo sabato del mese può fare ottimi acquisti al Mercato della Terra: sotto la Loggia Guarneriana si vendono carni fresche e insaccate, formaggi, verdure e ortaggi di aziende agroalimentari che operano nel raggio di 40 chilometri.

Castelli e cicogne
Satolli di prosciutto e di trota, è il momento di rendersi conto che oltre alle ghiottonerie San Daniele del Friuli offre notevoli spunti d’interesse. Come la biblioteca voluta da Guarnerio d’Artegna, insigne umanista del ‘400: amata e frequentata da studiosi italiani e d’oltralpe, è la più antica della regione e ospita quasi 120.000 volumi, tra cui 700 cinquecentine e oltre 80 incunaboli. Fra le tante opere preziose spiccano alcune parti di una Divina Commedia del XIV secolo (tutto l’Inferno e tre canti del Purgatorio) con annotazioni di Graziolo de’ Bambaglioli e Jacopo Alighieri, il Canzoniere e i Trionfi del Petrarca trascritti da Bartolomeo Sanvito, una meravigliosa Bibbia bizantina e numerosi manoscritti. Oltre alla Biblioteca Guarneriana, meritano sicuramente una visita il settecentesco duomo intitolato a San Michele Arcangelo, con la facciata riccamente adorna di statue, e la chiesa di Sant’Antonio Abate, patrono di macellai, salumieri, contadini, allevatori e perfino degli animali domestici. All’interno di quest’ultima si può ammirare un notevole ciclo di affreschi rinascimentali realizzati perlopiù da Pellegrino da San Daniele (il cui vero nome era Martino da Udine) nel periodo compreso tra il 1497 e il 1522: raffigurano la Crocifissione, i Profeti, gli Evangelisti e alcune scene legate a episodi della vita del santo.
San Daniele è un ideale punto di partenza e di arrivo della Strada dei Castelli e del Prosciutto, itinerario tematico di un centinaio di chilometri che si sviluppa sulle amene colline della provincia di Udine, tra antichi manieri, mete naturalistiche e botteghe per gourmet. Imboccata la strada che collega il paese a Fagagna, in breve incontriamo la deviazione per il castello d’Arcano Superiore: la massiccia costruzione, eretta nel XIII secolo sulla sommità di un colle e protetta da una doppia cerchia di mura, ospita un’azienda agricola che produce vino con uve di certificata provenienza da colture biologiche.
Pochi chilometri ci separano da Fagagna e dall’Oasi dei Quadris, una stazione sperimentale per la reintroduzione della cicogna bianca in Italia. Il nome dell’area protetta è legato alla forma quadrangolare di alcuni stagni formatisi a seguito dell’estrazione dell’argilla e della torba, iniziata nei primi anni del ‘700. Attualmente il centro ospita circa trenta esemplari adulti e altrettanti giovani; i piccoli nati da coppie di cicogne stanziali sono liberi di seguire il loro istinto migratorio. L’Oasi di Fagagna rappresenta inoltre la prima area nazionale di nidificazione per l’ibis eremita, curioso uccello dal becco rosso e dal piumaggio nero che oggi è in serio pericolo di estinzione (si contano nell’ordine delle centinaia).
Quanto a Fagagna, la cui fondazione è testimoniata già prima del Mille, ecco un altro borgo conosciuto e apprezzato dai buongustai: è qui infatti che si può acquistare e gustare il Fagagna DOP, un formaggio prodotto in un paio di caseifici dove si lavora il latte di mucche (perlopiù pezzate rosse e frisone italiane) nutrite esclusivamente con fieno proveniente dai campi della zona. Di questo prodotto esistono tre varietà: il fresco, dal sapore più delicato, pronto per essere consumato dopo due mesi; il mezzano, dal sapore deciso, stagionato per sei mesi; e infine il vecchio, decisamente più piccante, lasciato a riposare per un anno.
A testimoniare che l’economia di Fagagna è ancora legata all’agricoltura c’è il Museo della Vita Contadina Cjase Cocèl, dal soprannome della famiglia che abitò l’edificio in cui si trova l’esposizione. Oltre a una cucina con arredi del XIX secolo sono in mostra gli arcolai e i telai per la lavorazione della lana, i graticci per l’allevamento dei bachi da seta, le attrezzature per la produzione di burro e formaggi. Una stanza è dedicata ai merletti a tombolo realizzati dalle allieve della scuola voluta dalla contessa Cora Slocomb Savorgnan di Brazzà che, tra il 1882 e il 1960, realizzò tovaglie, scarpette e pizzi destinati a nobili corredi.
Per trovare uno dei castelli medioevali più interessanti e meglio conservati della regione ci spostiamo nella vicina frazione di Villalta. Qui la storia ci riporta ad aspre battaglie combattute dai feudatari e all’antica leggenda dell’affascinante Ginevra di Strassoldo che, rapita dal pretendente Federico di Cucagna poco prima delle nozze con un altro uomo, si trasformò in statua pur di non subire violenza: solo il bacio del suo promesso sposo l’avrebbe fatta tornare in vita. Merita senz’altro una visita anche il castello di Colloredo di Monte Albano, residenza avita della famiglia materna di Ippolito Nievo il quale vi abitò nel periodo in cui scrisse Le confessioni d’un italiano. Oggi l’ala occidentale del complesso ospita la Comunità Collinare del Friuli, un consorzio di sedici comuni che rievoca analoghe forme associative diffuse soprattutto nell’Italia nord-orientale nei secoli passati.
Oltrepassato il nastro dell’autostrada che da Udine sale a Tarvisio, raggiungiamo ora Cassacco e il suo castello, le cui torri quadrangolari si ergono su un’altura dalla quale si potevano tenere sotto controllo importanti vie di comunicazione. Preceduto dalla chiesa dell’Assunta, il maniero si è conservato praticamente intatto non avendo mai subito assedi o invasioni, al contrario di molti altri presidi militari della regione. Continuando verso nord, in breve si raggiunge Buja: a San Lorenzo in Monte, com’è chiamata la collina più alta, il Museo d’Arte della Medaglia e della Città di Buja testimonia oltre un secolo di storia dell’incisione – e di storia italiana in genere – esponendo una vasta collezione di medaglie realizzate da maestri locali, con un’interessante sezione che illustra le diverse fasi di questa particolare attività. Di grande importanza gli oltre 120 pezzi dedicati al terremoto del 1976, donati al museo da una folta schiera di artisti che a quelle drammatiche vicende hanno voluto dedicare la propria opera.
Incrociata di nuovo l’autostrada, ci riportiamo in prossimità del Tagliamento ad Osoppo, la cui celebre Fortezza è stata dichiarata monumento nazionale nel 1923. Il poderoso complesso, che mostra un’intricata architettura composta da opere difensive, gallerie, casematte e fossati, fu un antico insediamento celtico e poi romano che venne nuovamente munito intorno alla metà del primo millennio e più volte conquistato e saccheggiato. Il territorio circostante i resti dell’edificio si presta anche a facili escursioni tra storia e natura, ad esempio i percorsi di Castel Novo, del Forte Sotterraneo e del Colle Napoleone, che richiedono tre quarti d’ora ciascuno.
Non ci resterebbe che tornare a San Daniele per chiudere il nostro anello pedemontano, ma da qui alla meta ci sono ancora molti buoni motivi per una sosta. Come nei pressi di Majano, a Susans, dove il castello siglato da quattro robuste torri ospita una foresteria e un centro culturale ed espositivo in cui si svolgono eventi e mostre di vario genere (al migliore amico dell’uomo era dedicata, lo scorso anno, una divertente rassegna “da Argo alla Pimpa”). Poco più avanti, dalla secondaria per Cimano, si svolta in direzione di Muris, da dove parte un itinerario turistico che risale i colli con una splendida vista sul Tagliamento. Merita infine una tappa il piccolo Lago di Ragogna, uno specchio d’acqua di circa 25 ettari frequentato da numerosi uccelli stanziali e migratori, con l’immancabile presenza dei birdwatcher che non vedono l’ora di fotografare germani, folaghe, gallinelle d’acqua, tarabusi e aironi che zampettano fra le cosiddette castagne d’acqua. I percorsi segnati consentono inoltre di raggiungere con una bella passeggiata un antico cimitero israelitico, risalente alla prima metà del XVIII secolo e tuttora utilizzato dalla piccola comunità ebraica locale (per entrarvi bisogna rivolgersi in anticipo al Comune di San Daniele). Tra i cippi seminascosti dall’erba si respira un’atmosfera di pace che rende la visita ancora più suggestiva: ma le riflessioni suscitate dal sacro luogo ci ricordano che la vita è breve… e che un altro spuntino a base di prosciutto e altre rinomate specialità locali è la miglior conclusione del nostro piccolo viaggio. l

Testo e foto di Alberto Campanile e Anna Brianese

PleinAir 455 – giugno 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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