Feltre romana

Le tracce che si stanno valorizzando dell'antica Via Claudia Augusta ci invitano a scoprire in camper le bellezze di Feltre e del suo nobilissimo territorio.

Indice dell'itinerario

Nel 1786, durante certi lavori di ristrutturazione della chiesa, il parroco di Cesio (che sta per Cesiomaggiore) si accorse di una iscrizione sulla colonnina di pietra sotto l’altare, un pezzo di scavo riusato come tanti. Ma quella epigrafe era niente meno che la carta d’identità di una strada romana, una delle più importanti di collegamento transalpino: oltre cinquecento chilometri di un percorso realizzato per scopi militari. L’aveva infatti usato tra il 15 e il 16 a.C. il generale Druso Maggiore (figliastro di Augusto e a questi carissimo) per rompere la barriera delle Alpi orientali assoggettando i Reti e portando le legioni dal porto di Altinum sull’Adriatico fino al Danubio (presso il quale sarebbe nata in quegli anni Augusta Vindelicum, attuale Augsburg). Il percorso includeva il Feltrino, poi attraverso la Valsugana Trento, Merano, la Val Venosta e il passo di Resia a quota 1.500; in Austria e Germania continuava per le odierne Landeck, Füssen, Schongau, Augsburg.
Druso morì appena ventinovenne per una caduta da cavallo durante altre vittoriose campagne nella Germania centrale. Di aver tracciato la strada gli rende merito nell’epigrafe l’imperatore Claudio Augusto suo figlio che nel 47, completata l’opera, fece anche scolpire il cippo di Cesio (insieme a quello di Rablà, in Alto Adige, che riguarda un collegamento proveniente dal Po). Oggi la via romana, della quale restano sparse tracce, è oggetto di un’iniziativa comunitaria di largo respiro, intesa a proporre l’intero percorso come simbolo di unità e comunicazione tra differenti culture d’Europa e a far conoscere, sul filo conduttore della Claudia, un vasto patrimonio artistico e ambientale: una rivisitazione della storia attraverso siti non molto conosciuti da offrire a un turismo di buona qualità intellettuale. Questo itinerario alla scoperta del Feltrino si svolge appunto nel nome dell’antica strada, intersecandone spesso le tracce.

Città di cultura
La recente apertura di un’area attrezzata (vedi approfondimento I camper a Pra’ del Moro ) ha fatto di Feltre, ai piedi del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, la base per la scoperta di un territorio di grande interesse, tanto che durante la nostra permanenza (in bassa stagione) siamo stati regolarmente affiancati da camper di svariate provenienze, anche estere. La città stessa è un gioiello poco noto delle nostre Prealpi dove il Rinascimento si esprime compiutamente. Nel corso di una lunga storia che dai Reti e dalla Feltria romana passò per i Longobardi, per la signoria di principi vescovi e per il dominio di famiglie bellicose come gli Scaligeri e i Visconti, ai primi del ‘400 i feltrini scelsero di trovar pace sotto le ali protettrici di Venezia. Ma un secolo dopo, tra il 1509 e il 1510, Massimiliano d’Austria – coalizzato con mezza Europa nella Lega di Cambrai per contrastare l’espansione della Serenissima, allargatasi fino a Lombardia e Romagna – fra orribili stragi ridusse totalmente in cenere la città. Incredibile l’immediatezza e la qualità della ricostruzione, ben sostenuta dalla riconoscenza di Venezia. Potremmo dunque dire che fu per Feltre un nuovo nascimento, non più nelle forme medioevali ma in quelle ormai correnti, da cui deriva entro le mura ampliate nel ‘400 la chiara unità stilistica che oggi si ammira.
Entrando nella cittadella per Porta Imperiale, già riservata all’accoglienza di dignitari e sovrani, si lascia l’animazione (mai frenetica) del centro urbano per cambiar epoca. Dalla piazzetta in su, l’asse di Via Mezzaterra è una sequenza di facciate di palazzi gentilizi spesso adorne di affreschi che confermano il benessere di cui godette a lungo la città. Pitture simili, ma assai sbiadite e bisognose di restauro, troverete anche in varie parti del centro esterno alle mura e dei borghi adiacenti. Alla sommità di Via Mezzaterra, la Piazza Maggiore (qui il Foro, si ritiene, della romana Feltria) esalta silenzi e suggestioni di tutto il quartiere murato. Nobili edifici come lo svettante castello d’Alboino, l’alta chiesa di San Rocco, le fontane lombardesche (le cui iscrizioni veneziane vennero fatte scalpellare con livore da Napoleone), il Palazzo della Ragione con loggia riferita al Palladio, tutti su differenti livelli, conferiscono alla scenografia un’intensità degna di essere apprezzata anche in una riscoperta notturna. Palazzo della Ragione, che ospita oggi il Municipio e dal quale un leone alato di pietra vi osserva con sguardo particolarmente severo, contiene anche l’antico teatro nel quale un Goldoni giunto a Feltre poco più che ventenne presentò un paio di propri intermezzi. In piazza, sopra le statue di Panfilo Castaldi (il medico tipografo accreditato nel ‘600 dell’invenzione dei caratteri mobili) e del pedagogista Vittorino da Feltre, vedrete sventolare il vessillo di quello tra i quattro quartieri che ha vinto l’ultimo palio (l’annuale rievocazione in costume dell’unione con Venezia).Oltre la piazza, fino a Porta Oria (orientale), altri palazzi del Cinquecento tra cui quello che ospita la facoltà di Lettere Moderne e il raffinato Palazzo Villabruna dove il Museo Civico espone marmi romani e pinacoteca (tra le stanze più interessanti, quella che ospita un Cima da Conegliano e una minuscola tavola di Gentile Bellini). Ma tornati in Piazza Maggiore altre sorprese ci attendono a Via Paradiso. Nel Palazzo Bovio-Cumano è ospitata una collezione davvero unica, per eleganza, tecnica e fantasia, di ferri battuti realizzati nel primo terzo del Novecento dal grande feltrino Carlo Rizzarda, che prima di spegnersi ancor giovane nel 1931 acquistò coi propri guadagni l’antico palazzo e vi sistemò la splendida collezione lasciata alla città. Più avanti, nel Palazzo de Mezzan è stata riconosciuta la mano del Morto da Feltre negli affreschi apparsi rimuovendo vecchi intonaci. Il soprannome appartiene a Lorenzo Luzzo, vissuto tra ‘400 e ‘500 e ricordato con tale appellativo dal Vasari per il colorito terreo, causato dai lunghi lavori di riproduzione a lume di candela. Del Luzzo, che frequentò botteghe come quelle del Pinturicchio e di Giorgione, un altro capolavoro è in Borgo Ruga nella sagrestia della chiesa di Ognissanti: l’apparizione del Cristo a due santi. Restando ora fuori porta, un altro nucleo monumentale comprende il duomo, ricostruito anch’esso nel Cinquecento insieme all’elegante battistero, e i resti di edilizia e viabilità romana sepolti sotto il sagrato del duomo e che si estendono all’epoca medioevale. Resi accessibili con una brillante sistemazione sotterranea, fruiscono di visite guidate svolte dall’associazione culturale Il Fondaco per Feltre (tel.0439 83879), attiva insieme alle altre associazioni Auser e Fenice (rispondono entrambe allo 0439 80820) anche per la visita di ville e altri monumenti.

Due santi e una riserva
Una breve puntata dalla nostra base di Feltre ci conduce in pochi chilometri della nazionale verso Treviso al Santuario dei santi Vittore e Corona cui si sale per una deviazione percorribile solo da mezzi compatti, comunque obbligati dal primo tornante a una manovra di retromarcia. Noi abbiamo preferito parcheggiare al piano e salire in meno di un quarto d’ora attraverso il bosco, lungo un sentiero a scalini con cappelle votive. La fondazione del veneratissimo santuario dei patroni di Feltre, nel XII secolo, si deve a un nobiluomo che ne aveva fatto voto per tornar salvo dalle Crociate. Largamente affrescata da pittori anche di scuola giottesca, la chiesa, protetta in passato da mura e fortificazioni, fu nei secoli arricchita di un fabbricato conventuale e un chiostro. Oggi ospita convegni e altri eventi culturali.
Un altro santuario, questa volta della natura, è il Vincheto di Celarda, riserva biogenetica da raggiungere per una strada prossima alla deviazione per San Vittore. Si tratta di un’antica area golenale del Piave circondata da corsi d’acqua e ricca di stagni e risorgive, nella quale l’abbondanza di salici fece sviluppare in passato un artigianato basato sui loro flessibili rami (vinchi). I suoi 80 ettari, un’orgia di verde, sono ricchi di bosco e di vegetazione acquatica, ma anche di specie anfibie, mammiferi, di una folta avifauna che ha contribuito al riconoscimento di zona umida di interesse internazionale in base alla Convenzione di Ramsar. Appartenente al Demanio, la riserva è affidata alla Forestale che vi ospita in ampie zone recintate famiglie di daini, cervi, mufloni. Dispone di centro visite e di parcheggio esterno ed è liberamente visitabile nelle ore diurne.

Sulla via di Praderàdego
Non vi sorprenda che alla ricerca dei luoghi della Via Claudia la nostra prima tappa sia una sontuosa villa del Settecento. Cinque chilometri dopo aver lasciato l’area di sosta, sulla nazionale per Belluno imbocchiamo una deviazione obliqua sulla sinistra e dopo qualche chilometro di una via piuttosto stretta, con altri incerti bivi, arriviamo in vista di Villa Tauro alle Centenere. Complessi come questo, fioriti soprattutto tra Seicento e Settecento, aggiungono uno straordinario decoro al paesaggio. Ricordano le ville che i ceti abbienti di Venezia innalzavano nella pianura, lungo certe strade principali e in riva ai corsi d’acqua, ma qui fruiscono di una cornice montana che li caratterizza fortemente. E comunque erano già da tempo (a volte lo restano ancor oggi) delle vere aziende agricole, come mostrano gli adiacenti edifici delle barchesse e altre minori costruzioni destinate a depositi e a strumenti contadini. Ma la Centenere ha per noi un interesse particolare giacché è qui conservato il famoso cippo della Claudia Augusta, acquistato a fine Settecento appunto dal proprietario della villa. Va comunque ricordato che ben poche ville restano visitabili e che informazioni al riguardo vanno richieste alle associazioni culturali già citate.Poco dopo essere tornati alla nazionale, deviamo per il ponte che porta alla destra del Piave e, a Campo San Pietro, per il castello di Zumelle. E’ l’unico rimasto del Feltrino dopo la consegna del territorio a Venezia che usava prudentemente smantellare tutte le fortificazioni esistenti. Ciò che qui più importa è che l’impianto risale ai Romani; restano il taglio in roccia del fossato e il basamento della torre quadrata d’origine, da ritenere punto di controllo affidato a una guarnigione in grado di comunicare a vista su tutta la valle del Piave, e fino a Cesio, dove appunto il transito della Via Claudia è autenticato dal famoso cippo. E’ giunto anche il momento di dire che delle differenti teorie sul tracciato della strada formulate da validi studiosi, a noi è sembrata la più degna di credito quella descritta dall’architetto feltrino Alberto Alpago Novello nell’accurato volume pubblicato in mille copie nel 1972. Ad un attento studio delle fonti (cospicua la bibliografia), egli affiancò le motivazioni delle sue scelte ma soprattutto una minuziosa ricerca sul campo che ne fece l’instancabile frugatore di valli e colline da Altino fino a Merano. I nostri riferimenti riguarderanno sempre il tracciato da lui indicato.
Per visitare il castello suggeriamo di fermare il mezzo nel punto in cui, dopo essersi molto ristretta, la stradina rasenta a fondo della valletta uno sterrato adatto anche all’inversione. Appena oltre si trova un percorso pedonale al fortilizio che faceva probabilmente parte del tracciato romano. Ma eccoci dunque ritornare alla provinciale per poi salire attraverso la località di Carve al passo di Praderàdego. Sono dieci chilometri di salita anche dura ma asfaltata che a un certo punto mostra sulla destra una deviazione per Zumelle, corrispondente alla strada romana ma non certo adatta a un camper. Continuando, a metà strada gli aperti paesaggi si trasformano in una stradina stretta dal bosco ma per fortuna provvista di scansatoi. La sella di Praderàdego è un amabile, solitario sito di prati e abetaie, con qualche vecchia costruzione e un bar ristorante. Al di là del passo l’asfalto diventa uno sterrato su cui consigliamo, dopo averlo sperimentato, di proseguire a piedi. Occorre andare avanti per circa un chilometro fin dove si incontra un guardrail sulla sinistra, seguito da uno sulla destra. Dove quest’ultimo termina, si nota sempre a destra un sentiero. Inoltrandosi su di esso, non si tarderà a incontrare zone di antico selciato. E’ quanto rimane qui della Via Claudia che, percorsa in linea retta la pianura tra l’Adriatico e il monte, sta lentamente avvicinandosi al passo. Scendendo di quota, circa 200 metri, si può arrivare a tratti scavati nella roccia di inequivocabile fattura romana.
Se non avete fretta, potreste anche godervi fino all’indomani i prati di Praderàdego; altrimenti, ridiscesi alla provinciale, chiedete del villaggio di Nave. Raggiunto di qui il tiro a volo, dove si può lasciare il mezzo, c’è solo qualche centinaio di metri per raggiungere la probabile zona della sponda del Piave in cui i legionari venivano traghettati all’altra riva. Tra le candide ghiaie del fiume l’acqua è trasparente e azzurra. Il nostro autore ricorda vari esempi in cui il toponimo “nave” indicava un traghetto su antiche strade romane. D’altra parte il villaggio di Nave si trova sull’approssimativa linea che unisce Praderàdego a Zumelle e a Cesio. Se infine avete ancora del tempo, prima di rientrare a Feltre potreste fare qualche chilometro fino alla necropoli paleoveneta di Mel, cui far seguire, nella bella piazza circondata da vecchi palazzi signorili, la visita al museo che la riguarda (informarsi in anticipo sugli orari telefonando allo 0437 540321).

Nel sole della Pedemontana
Il viale di Cart, poco sopra Feltre, merita per la bellezza paesistica della sua sfilata di carpini una passeggiata in bici. Ci muoveremo invece in camper per un più ambizioso itinerario tra i soleggiati centri della fascia pedemontana (su cui si sviluppava a mezza costa la Via Claudia tra Cesio e le colline sovrastanti Feltre). A Villabruna, una prima deviazione dalla provinciale per Cesio permette di ammirare in località Grum la seicentesca Villa de Mezzan, con monumentale barchessa del secolo successivo, il tutto circondato da una magnifica cancellata, quasi tridimensionale, di Carlo Rizzarda. Di fronte, una ben conservata abitazione agricola con scale esterne e tipici ballatoi in legno. Poco oltre, il mulino Moretto continua a macinare cereali con l’acqua di caduta del torrente.
Questi siti a mezza costa, oggi in comune di Feltre, erano attraversati dalla Via Claudia, che doveva qui essere collegata da una bretella che scendeva al municipio romano. Sfiorato il villaggio di Lasen, converrà continuare fino a Castel Lusa, trasformato in villa quando Venezia decise di eliminare i castelli dai suoi territori. Dopo aver parcheggiato il mezzo nello sterrato avanti al portone d’ingresso, chiedete per l’interessante visita al proprietario, che dopo aver accuratamente ripristinato l’edificio ne ha fatto un centro di restauro.Si potrebbe ora tornare alla provinciale, ma una strettoia nel villaggio di Arson obbliga a invertire il cammino. La deviazione per la Val Canzoi penetra profondamente tra erti speroni montani toccando nell’ultima parte il territorio del parco. E’ un bellissimo pezzo di natura percorso da un limpido torrente, con varie possibilità di sosta fino a poco prima dell’albergo ristorante. Di qui si può salire a piedi al verde lago della Stua, intorno al quale si sviluppano un paio di percorsi ad anello. Nella parte iniziale la stretta valle è tagliata dal tracciato della Via Claudia, della quale diamo due segnalazioni. Al bivio per il piccolissimo villaggio di Montagne lasciate giù il mezzo (curve troppo strette) per fare una passeggiata al villaggio. Il percorso sterrato oltre il fontanile e l’antico lavatoio – in uso fino a qualche anno fa – appartiene al percorso della strada romana. Ripreso il mezzo in direzione Stua, fate un’altra sosta al prato (sulla destra) in cui si trova una minuscola chiesa dedicata a Sant’Eurosia, invocata per la mancanza o l’eccesso di pioggia. Cercando alle sue spalle, troverete alcuni resti del basolato romano.
A Cesio abbiamo scoperto il più favoloso museo della bici (visite, sabato e domenica; negli altri giorni preannunciando allo 0439 43009) che ci sia capitato di vedere. La raccolta si deve alla passione di un maestro artigiano, Sergio Sanvido, che fu a suo tempo corridore dilettante. Fra i tanti pezzi ci si imbatte nelle ingegnose bici adattate a svariati mestieri ambulanti, nelle bici di Bartali o Coppi, in quelle di corpi militari di molti paesi – dalle pieghevoli dei bersaglieri del 1918 alle BSA dei paracadutisti britannici – nella Michaud del 1870, prima bici a pedali, fino a un modello belga a trasmissione cardanica. Ma una regina dalla quale abbiamo avuto difficoltà a staccarci è stata la superba Columbia Singer a gomme piene del 1889, un concentrato di design e tecnologia, con sospensioni a molla, fanale con candela e una stupenda sella. Sanvido ha fatto da solo quel che ha potuto esponendo in poco spazio un centinaio di pezzi, senza alcuna forma di pubblicità e lasciando il resto nello scantinato. Appoggi per creare un vero museo, da nessuna parte. Abbiamo qualche dubbio, signor sindaco di Cesiomaggiore, che questo sia il modo giusto per incrementare il turismo.
Ed ecco a forse un chilometro dal paese, in una vecchia villa ristrutturata, il Museo Etnografico della provincia di Belluno, ampia raccolta integrata da notevoli mostre temporanee. Portandosi alla facciata sud, lo sguardo sfiora i campi sottostanti per soffermarsi su un pronunciato insellamento della catena, sull’altro lato della valle, e il pensiero corre subito al passo di Praderàdego. Continuiamo a mezza costa per la strada che sale alla frazione Roncoi di San Gregorio nelle Alpi dove ci attende la festa della smonticazione, evocazione del ritorno a valle di mandrie e greggi dagli alti pascoli. Più tardi, nello scendere a Paderno non potremo non dedicare attenzione a due ville abbastanza insolite nel panorama feltrino. Villa Sandi fa pensare con le sue rudi forme turrite a un precedente castello, mentre Villa Beghin presenta un’originale facciata dai marcati chiaroscuri.

Tra Ignui e Pedavena
Un’interessante passeggiata anche su due ruote (circa 200 metri di dislivello) non lontano da Feltre richiede di passare per Pren, dove don Gianfranco (tel. 0439 300840) ha la chiave della chiesetta pedemontana di San Martino in Valle, della fine del ‘500 come i suoi affreschi, considerata nel tracciato della Via Claudia. Per andarvi passerete per Ignui, nei cui paraggi merita d’esser vista la fastosa e decaduta Villa Bellati, con l’adiacente torre in legno dalla quale sembra che la contessa tenesse d’occhio i coloni al lavoro nella tenuta.
Ripassati per Pren, oltre Lamen osiamo imboccare l’angusta stradina in salita che introduce d’un tratto alla piccola affascinante valle di Lamen. Arrestato il camper nel parcheggio di fronte a un agriturismo (ristoro), continuiamo a piedi, ancora una volta sul tracciato della Via Claudia che si trasformerà più oltre in uno sterrato diretto ai 1.000 metri dell’odierno passo di Croce d’Aune. Dove la valle ha termine inizia anche un sentiero che tocca una serie di ripari preistorici detti covoli. Il tema dei covoli, non tutti agevolmente raggiungibili, è uno di quelli trattati nelle pratiche pubblicazioni del Parco delle Dolomiti Bellunesi in vendita presso il bel centro visite installato a Pedavena, che può anche fornire servizio di guide. Questo paese è certo da visitare per la seicentesca Villa Pasole dove si riuniva l’Accademia degli Erranti, ma possiede anche un’altra attrattiva: le sale della birreria adiacente alla fabbrica fondata poco più di cent’anni fa dai fratelli Luciani, provenienti dallo stesso Canale d’Agordo di cui era originario Papa Luciani.La famiglia passò la mano nel 1974, ma già dalla fine degli anni Trenta la vecchia mescita si era trasformata in una grande birreria con adiacente parco, fino a diventare, con lo sviluppo del turismo in automobile, una destinazione dall’intero Veneto. Vanta oggi il maggior smercio in Italia, quasi 2800 ettolitri. Meta praticamente obbligata per il turismo in camper, per i club che celebrano qui la loro Oktoberfest italiana con area di sosta riservata a disposizione, la birreria Pedavena è un valido scalo anche per i camperisti isolati che dopo cena possono tranquillamente restare nel grande parcheggio illuminato. Se vi fidate dei nostri gusti, provate senz’altro la Centenario, possente birra non filtrata né pastorizzata, ottima con le specialità della valle.
Pedavena è transito obbligato per il passo di Croce d’Aune, da raggiungere per una larga strada tra i boschi. Da questo gruppo di case a mille metri, fornito di un bel parcheggio ultimato sotto i nostri occhi, parte il più agevole sentiero ai piani alti del parco, due ore e mezzo di cammino per toccare i 2.000 al passo delle Vette Alte, presso il rifugio Dal Piaz aperto tutto l’anno.
Già dal passo delle Vette Alte lo sguardo scopre la splendida Busa delle Vette, primo degli ex ghiacciai che è possibile visitare su questi monti. E’ un vastissimo anfiteatro di erbe, rocce, candide colate detritiche, di più lontane cime. Straordinaria in giugno e luglio la ricchezza floristica del parco, prodigo di endemismi come la violacea campanula morettiana, suo simbolo. Affonda nei prati la malga delle Vette, dove d’estate soggiornano un’ottantina di vacche da latte e di manze, oltre a un gregge di 600 pecore. Vi si può comprare direttamente un ottimo formaggio. Insieme a un’altra malga che sta ai Piani Eterni, è rimasto il solo bestiame di questi monti che faccia transumanza sulle proprie zampe. Delle più immediate escursioni che si compiono dal rifugio (possibilità di pernottamento), richiede un’ora e mezza Monte Pavione (2.535 m), altrettanto Cima Dodici (2.265 m), passando per il passo di Piètena.
Di ritorno a Croce d’Aune discendiamo il nuovo versante tra qualche strettoia e le sparse frazioni di Sovramonte, ancora sulle tracce della Via Claudia. E al pari della strada romana anche noi, passando per Servo, raggiungiamo il fondovalle in cui scorre il Cismon per poi subito salire a Lamon. Quest’ultimo paese d’altopiano presenta qualche buona possibilità di sosta, passeggiate, grotte, un lago. Una sagra ogni anno festeggia i fagioli locali che dicono di particolare qualità. Nell’insolito Palazzo Comunale, del 1927, è esposto uno scheletro intatto di Ursus spelaeus trovato in una grotta della zona. E c’è anche il tracciato della strada romana. In verità l’Alpago Novelli usa un punto interrogativo per il “ponte romano” sul sentiero tra Lamon e Rugna; nessun dubbio invece sull’appartenenza alla Via Claudia del tratto successivo, fino al 1916 unico accesso alla frazione di San Donato. E’ un tratto interamente scavato per quattro chilometri nella roccia che il nostro autore definiva ‘il più lungo, noto e spettacoloso dei suoi resti’. Poi, proprio quando stiamo per lasciare il Feltrino, ci tocca la fortuna di incontrare presso l’Associazione Nazionale Alpini di Feltre l’ex alpino William Faccini che ci racconta come nel 1980, letto il libro di Alpago Novello e interpellato lo studioso già più che novantenne, sentì approvare la sua idea di usare il testo come guida per ripercorrere “romanamente” la Claudia Augusta da Altino a Merano. L’impresa fu portata felicemente a termine con altri sei alpini in 13 giorni, ovviamente a piedi come avrebbero fatto gli antichi e indossando tuniche pazientemente cucite dalle mogli. Nell’attraversamento dei paesi (si dormiva all’addiaccio) li prendevano per matti. Si era anche deciso di eliminare cibi sconosciuti ai Romani, come patate, caffè e così via, e sigarette. Ma non durò molto: finché uno dei sei, stanco di dover rinunciare al più classico alimento della Val Belluna, esplose con la frase: «Basta, vorrà dire che sarò stato il primo degli antichi romani a mangiar polenta!».

Se merito ci sarà in questo servizio, in gran parte va a Gian Vittorio Zucco, camperista feltrino membro del comitato direttivo del Camper Club Belluno, prezioso accompagnatore di più d’uno dei nostri vagabondaggi e persona entusiasta cui molto deve anche la nascita dell’area attrezzata. A lui e a quanti ci hanno mostrato naturale gentilezza e cordiale ospitalità il nostro vivo ringraziamento.

PleinAir 368 – marzo 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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