Fatta ad arte

Le opere di Imre Makovecz, padre della moderna architettura organica ungherese, offrono lo spunto a un originale itinerario che ne segue le tracce fra il Balaton e le regioni meridionali del paese. Senza trascurare piacevoli fuorirotta all'insegna della cultura e delle tradizioni popolari.

Indice dell'itinerario

Nei precedenti viaggi che abbiamo compiuto in Ungheria, alcune singolari architetture incontrate casualmente lungo il percorso – enormi ali spiegate come a spiccare il volo, campanili lacerati – avevano richiamato la nostra attenzione. Le spiegazioni ricevute sul posto circa il significato allegorico di quelle opere risultarono frammentarie, se non contraddittorie; unico punto sul quale tutti concordavano fu che i lavori erano stati realizzati da Imre Makovecz, padre della moderna architettura organica ungherese. E così, in questo nostro terzo viaggio nell’Est europeo, ecco trovato un originale filo conduttore dell’itinerario.

Intorno alla capitale
Circa 30 chilometri a nord di Budapest, sulla superstrada 10, inauguriamo questo viaggio recandoci al campus dell’Università Cattolica di Piliscsaba, realizzato nell’area occupata da un’ex caserma militare sovietica. Gli studenti gremiscono l’ampia piazza, abbellita da statue e obelischi, racchiusa sulla sinistra dalla vecchia sede universitaria mentre il lato opposto è occupato dall’Auditorium Stephaneum, datato 1995, opera del nostro Makovecz. Le due grandi e scenografiche cupole che lo compongono sono inclinate l’una verso l’altra per ottenere all’interno una diffusione del suono più uniforme, mentre all’esterno le svettanti torri alate ricordano i campanili di legno della pianura ungherese; superato l’ingresso principale, una bianca foresta di alberi ramificati – tra i soggetti preferiti dall’architetto – regge la volta.
A sud della capitale un’altra realizzazione di Makovecz si trova a Százhalombatta, che raggiungiamo tramite la statale 7 in direzione del Balaton per deviare, dopo circa 25 chilometri, sulla statale 6. L’impatto con la città, lambita dal Danubio, non è dei più favorevoli a causa della grigia atmosfera creata dalle incombenti ciminiere che sputano fumo: siamo infatti nel principale centro ungherese della produzione di energia elettrica. Ci incuriosisce la traduzione del toponimo, che significa “città dai cento tumuli” per la presenza di oltre 120 sepolture di forma tronco-conica con un diametro da 30 a 60 metri e un’altezza di 5 o 6 metri, risalenti all’Età del Ferro. Nel locale museo Matrica, che prende il nome dal campo militare realizzato in quel luogo dagli antichi Romani, sono esposti i reperti provenienti da scavi archeologici che raccontano 4.000 anni di storia del territorio. Al museo sono anche in vendita i biglietti per la visita al parco archeologico posto in collina, a 2 chilometri dal centro cittadino, con la ricostruzione di dieci capanni dell’Età del Bronzo e del Ferro ma, soprattutto, uno dei quattro tumuli trovati sul posto, con un interessante spettacolo multimediale che ne illustra l’uso.
Bisognerà tornare nella piazza principale della città per trovare, dinanzi alla fontana detta del Cervo Miracoloso, la chiesa cattolica del re Santo Stefano. Una sottoscrizione cittadina nel 1996 ne permise la costruzione affidata a Makovecz che, ancora una volta, lega la simbologia del suo progetto al territorio circostante. Infatti, mentre l’interno presenta a sostegno della volta gli alberi a lui tanto cari, la bassa cupola poggiata su una verde collinetta fa riferimento ai tumuli e lo svettante campanile triangolare richiama la jurta, la tenda dei magiari.

Da una sponda all’altra
Imparata l’arte, la mettiamo momentaneamente da parte poiché il nostro viaggio inizia a prendere un’impronta più vacanziera visto che ci dirigiamo verso il celebre lago Balaton. Diamo per scontato che, visitandone le località balneari fuori stagione, non troveremo aperte tutte le strutture, ma in compenso potremo usufruire di maggior libertà di movimento. Seguiamo quindi le indicazioni per l’autostrada M7 e, poiché abbiamo deciso di visitare dapprima la sponda settentrionale, in prossimità del bacino deviamo sulla statale 71 seguendo le indicazioni per Balatonfüred. La città, oltre che per la posizione, è rinomata per la bontà delle sue acque termali già conosciute dai Romani. Nel ‘700 divenne un’importante località di ritrovo dell’intellighenzia ungherese per assumere, nel secolo successivo, l’aspetto odierno caratterizzato da una maggiore urbanizzazione turistica: il lungolago è attrezzato con numerose aree di parcheggio, mentre sul lato opposto si allineano alberghi e bar. In questa città esiste inoltre il più grande campeggio di tutto il Balaton anche se, lungo l’intero perimetro lacustre, sono presenti ben sedici camping distanti in media una decina di chilometri l’uno dall’altro.
Risalendo la Júkal Múr ci inoltriamo verso il centro antico, preannunciato dai due alti campanili della parrocchiale. In qualche stradina laterale spuntano tetti di paglia, ultime testimonianze dell’antica architettura urbana. Continuando la salita sulla Kossuth, prolungamento della via precedente, si giunge alle panoramiche rovine della chiesa di Papsoka, edificata nel XII secolo sui resti di una villa rustica romana e circondata da un cimitero ebraico.
Costeggiando il lago verso sud e oltrepassata la penisola di Tihany, percorriamo ancora una decina di chilometri fino ad Orvényes per visitare il più vecchio mulino ad acqua d’Ungheria, con l’enorme ruota tuttora funzionante e un piccolo museo, poi a Balatonudvari, dove il curioso cimitero ospita una cinquantina di pietre tombali a forma di cuore, risalenti alla metà del XVIII secolo.
Ritorniamo sui nostri passi per addentrarci nel promontorio di Tihany, la prima area protetta istituita in Ungheria. Dai parcheggi del centro bisogna raggiungere a piedi il monumento più celebre di questo borgo arroccato, l’abbazia benedettina che si staglia contro il cielo con i suoi bianchi campanili. La chiesa fu voluta dal re Andrea I nel 1055, come risulta da un documento dell’epoca scritto in latino, contenente anche le prime parole in lingua ungherese: una copia è custodita nella cripta, unica testimonianza del monastero originale più volte distrutto, che custodisce anche la tomba del sovrano. L’attuale chiesa, risalente al 1750, presenta un organo e preziosi altari scolpiti in legno da un artigiano locale; nell’annesso museo vi è la ricostruzione degli ambienti nei quali soggiornò l’ultimo re d’Ungheria, Carlo IV d’Asburgo, prima di andare in esilio nell’isola di Madeira con la moglie, la regina Zita. Dai giardini che circondano il complesso monastico si gode una splendida vista sui due laghi interni alla penisola, di origine vulcanica. Dai viali del parco si accede al vicino museo contadino, con le case di inizio ‘800 dai tetti in paglia, e ai negozi di souvenir nei quali l’acquisto più tipico è rappresentato dal miskakancsó, la baffuta brocca di San Michele utilizzata per il vino.Per evitare di compiere il giro del lago, da Tihany traghettiamo rapidamente verso Siófok, capoluogo del Balaton posto sulla sponda meridionale (il ferry, con frequenti corse giornaliere, trasporta anche i camper a un costo equivalente a circa 20 euro). In questa città, la più grande intorno al bacino e importante stazione balneare con i suoi 15 chilometri di spiaggia e le acque molto basse, ci attende un’altra opera di Makovecz: la chiesa evangelica nell’Oulu Park. Oulu è un paese della Finlandia, gemellato con Siófok, la cui comunità di correligionari ha donato il legname di abete rosso occorrente alla costruzione dell’edificio. Il prospetto frontale sembra come interrogare l’osservatore, presentando tutti i caratteri di un volto: la grande porta d’ingresso ricorda una bocca, due finestre tonde gli occhi, sormontati dalle sopracciglia in legno e da un alto e rosso copricapo, il campanile. Le quattro grandi porte d’accesso sono disposte su ogni lato, a testimonianza della disponibilità ad accogliere tutti, e l’ingresso principale, contrariamente alla tradizione cattolica, è rivolto a nord, verso il Balaton. Gli occhi simboleggiano inoltre un punto di contatto diretto con Dio rappresentato dal bastone pastorale, mentre la croce al culmine della torre campanaria rappresenta l’albero della vita. La volta interna, completamente in legno, sembra lo scheletro rovesciato di una barca: un voluto omaggio alla vita dei pescatori del Balaton.

Scontri e incontri
La tappa successiva ci porta a sud sulla statale 7 fino a Balaton-Lelle in un piacevole tragitto che permette ogni tanto di ammirare, da varie angolazioni, la vasta distesa lacustre. Proseguiamo sulla statale 67 verso Kaposvár e, dopo 7 chilometri, prendiamo a sinistra per Visz e poi verso Andoc-Bonnyapustza fino a Bonnya, percorrendo in tutto una quarantina di chilometri su strade in gran parte provinciali. Ci accoglie il Somogy Garden Village Resort, prima esperienza ungherese di offerta agrituristica allargata: oltre a camere e bungalow con giardini e piscine private, il turista itinerante può infatti scegliere di fermarsi presso un maneggio, un bosco o anche un’abitazione. Sul posto c’è di tutto per svagarsi, rilassarsi, praticare sport: tennis, tiro con l’arco, ponti sospesi, ciclopasseggiate ed escursioni a cavallo, oltre a sauna, idromassaggi e, per chi non volesse utilizzare i barbecue a disposizione, la gastronomia dell’azienda a base di prodotti tipici locali.
Attraversata rapidamente Kaposvár ci rechiamo nella vicina Szenna, sede di un museo contadino all’aria aperta con sei abitazioni, invero piuttosto modeste, e una chiesa riformata del ‘700 che possiede originali decori sui pannelli in legno del soffitto e della galleria. Il ritorno a Kaposvár e la statale 67 ci portano ancora più a sud verso la storica cittadina di Szigetvár, famosa per la strenua difesa che l’8 settembre 1566 il comandante della fortezza Zrinyi Miklos oppose a Solimano il Magnifico. Durante la cruenta battaglia si scontrarono 200.000 turchi e i 2.300 abitanti di Szigetvár, che dopo un mese di assedio decisero un disperato attacco suicida. Sotto le mura della città rimase il corpo senza vita del feudatario Zrinyi, mentre la morte di Solimano, avvenuta il giorno prima, fu tenuta nascosta. Si racconta che gli organi interni del sultano siano stati inumati nella chiesa posta alla periferia dell’abitato sulla strada per Kaposvár: intorno all’edificio, tuttora meta di pellegrinaggio da parte delle popolazioni turche, è stato allestito un parco dell’amicizia turco-ungherese. A ricordo di quegli avvenimenti restano le mura del castello, ora circondato da un’ampia area di verde pubblico, e due moschee delle quali una, la Ali Pasha, in pieno centro. Qui troviamo anche il complesso del Vigadó, che attualmente ospita vari uffici pubblici ma mostra un evidente bisogno di restauro; ne fa parte anche un teatro, opera incompiuta di Makovecz del 1985.
Più avanti, nel tornare verso Budapest lungo la statale 6, incontreremo altre due realizzazioni dell’architetto. A Kakasd si trova la Casa del Villaggio, del 1994, nella quale sono ubicati gli uffici pubblici e gli spazi comuni utilizzati dai cittadini. La torre campanaria di sinistra imita lo stile barocco degli svevi, qui giunti nel XVIII secolo, quella di sinistra coperta di scandole richiama l’architettura sacra della Transilvania (oggi in Romania), da dove provengono gli abitanti magiari. A Paks la chiesa dello Spirito Santo, del 1987, presenta tre slanciate guglie: quella centrale è sormontata dalla croce mentre le altre due sono ornate, in cima, dalle forme stilizzate della luna e del sole, rispettivamente simbolo dei pastori e dei contadini. All’interno un grande lucernario colorato a forma di cuore dà luce alle grandi sculture di legno di un Cristo affiancato da due angeli. Ma prima di raggiungere queste due località, ci aspetta una piacevole digressione intorno a una delle più belle e animate città dell’Ungheria.

Bella e cosmopolita
Il titolo di capitale europea della cultura sarà conferito nel 2010 alle città di Essen in Germania, di Istanbul in Turchia e di Pécs in Ungheria. Quest’ultima, distante circa 200 chilometri da Budapest e a una trentina dalla frontiera con la Croazia, ha sempre rappresentato un cruciale punto di passaggio. Le testimonianze della sua storia di oltre duemila anni sono in gran parte racchiuse nel centro cittadino che visitiamo partendo da Széchenyi Tér, la piazza principale, crocevia del movimento cittadino. Annunciata dall’alta torre dell’orologio del palazzo municipale, è occupata centralmente dalla grande moschea, ora chiesa cattolica, dinanzi alla quale si ergono la colonna della Trinità e il monumento equestre a Jánas Hunyadi, eroe antiturco.
Scendendo sulla Irgalmasok Út, una delle arterie commerciali, si raggiunge la chiesa dei Cappuccini con una fontana decorata da lucide teste di toro smaltate. Sulla sinistra della piazza si diparte invece la pedonale Király Út, con il teatro nazionale, mentre risalendo la Hunyadi Út si giunge nella parte più antica dominata dalla turrita cattedrale di San Pietro, circondata da ippocastani e introdotta da un’ampia scalinata, cui fanno da contraltare i quattro campanili posti agli angoli. Dal grande portale con bassorilievi in bronzo si accede (a pagamento) all’interno dell’unica, ampia navata e di qui alla cripta, posta sotto il coro. Nel costo del biglietto sono comprese la visita al Lapidarium, che espone frammenti della cattedrale demolita, e una degustazione di vini per gli amanti del genere. La piazza è fiancheggiata, sulla sinistra, dal palazzo arcivescovile sul cui balcone d’angolo è affacciata la figura del musicista Liszt che guarda verso la cattedrale: una curiosa opera del più famoso scultore ungherese, Imre Varga.
Sulla piazza di Szent István, nel parco che circonda il duomo, all’inizio del XX secolo fu scoperta un’importante necropoli della romana Sopianae, come si chiamava Pécs all’epoca: si accede così alla cella septichora, il cui nome deriva dalla presenza di sette absidi che circondavano il fabbricato principale. Scendendo lungo moderne scale agli altri livelli di escavazione si visitano le tombe che hanno conservato affreschi policromi, anche se le vetrate protettive e la scarsa illuminazione rendono difficoltoso coglierne i dettagli.Pécs, anche per essere un’importante sede universitaria, ha un’intensa vita culturale testimoniata dalla presenza di ben venti musei. A pochi metri dal sito archeologico appena visitato troviamo, su Via Pannonius, il museo Csontváry che raccoglie le gigantesche opere di questo pittore, un ex farmacista autodidatta, ritenuto il paesaggista più originale del ‘900. Spostandoci invece sulla Kaptálan, che corre poco più in alto, non possiamo mancare di visitare il museo Zsolnay, allestito in un palazzo trecentesco, con esposizione di ceramiche per l’architettura realizzate fino a metà ‘900 e che ancora oggi abbelliscono i tetti di Budapest.
Altri luoghi notevoli sono sparsi nel tessuto cittadino e, girovagando alla loro ricerca, ci siamo imbattuti in una cancellata (ma ce ne sono altre) letteralmente sommersa da lucchetti: una tradizione, ci raccontano, risalente a molto tempo prima che divenisse costume italiano a seguito del noto romanzo di Federico Moccia. A concludere la visita, una vivace serata in uno dei tanti bar e ristoranti dove la gente si affolla sino a tarda ora in una piacevole atmosfera di sapore cosmopolita.

Sulla strada del vino
Circa 10 chilometri a nord-ovest di Pécs, il parco di Mecsextrém (che può essere anche scelto come base per la visita della città) è meta obbligata per quanti hanno bambini al seguito o vogliono cimentarsi in attività sportive estreme e non, calibrate a vari livelli di difficoltà per essere accessibili anche ai più piccoli o a chi presenta disabilità.
Torniamo a Pécs per imboccare la statale 58 che ci porta a sud verso Harkány. Dopo appena 20 chilometri deviamo a sinistra verso Máriagyüd per una breve visita alla chiesa dedicata a Maria Vergine. Due campanili ornano quest’edificio del XIII secolo, dagli interni barocchi ma con affreschi moderni, meta di pellegrinaggi e processioni settimanali.
Da qui raggiungiamo la vicina Siklós, situata ai piedi dei monti Villány e nota per la sua fortezza medioevale, mai conquistata ma continuamente rimaneggiata a partire dal XIV secolo. Dal ponte levatoio l’accesso avviene tramite un portone fortificato che immette nell’ampio cortile sul quale si aprono gli unici ambienti visitabili: le carceri, la sala della tortura con strumenti originali dell’epoca e la cappella gotica. Dall’ala nord si accede invece a un bel museo dei guanti, una singolare collezione privata risalente al XIX secolo; proprio accanto è il Bormúzeum, il museo dei vini del territorio, con possibilità di degustazione e acquisto. Tale è l’importanza assunta dalla produzione del vino che, nel 1994, è stata creata la prima strada a tema d’Ungheria da Siklós a Palkonya, un percorso di 25 chilometri che tocca undici località. Prima di seguire parte di questo itinerario, ci fermiamo lungo la strada per Villány a Nagyharsány visitando lo Szoborpark, un museo all’aria aperta in cui sono presenti oltre cento statue di artisti nazionali ed esteri che dal 1968 abbelliscono quest’area con le loro sculture.
Giungiamo così a Villány, capoluogo del commercio vinicolo. Lungo l’unica via che attraversa il grazioso paesino si allineano su entrambi i lati le cantine in cui si effettua la mescita di Cabernet, Merlot, Portugieser e Kadarka. Nei giorni di festa, in special modo durante il primo finesettimana di ottobre, davanti ad ogni locale vengono allestite lunghe tavolate dove turisti e altri avventori possono degustare in tranquillità il prezioso nettare.
Prendiamo ora la strada verso nord seguendo le indicazioni per Villánykovesd, un piccolo villaggio classificato monumento storico per la presenza di cento cantine risalenti all’inizio del IX secolo: dal classico tetto a due spioventi, le piccole costruzioni sono poste su tre file sovrastanti.
Ultima tappa dedicata al vino è la vicina Palkonya, preannunciata dalla rossa cupola della chiesa cattolica a pianta circolare. Con 370 abitanti e 53 cantine, poste perpendicolarmente all’asse stradale, il paese ha conservato nella tipologia abitativa le forme architettoniche originarie qui importate dai viticultori di lingua tedesca, giunti in queste terre nel XVIII secolo.

Colori d’Ungheria
Dobbiamo ritornare sui nostri passi verso Villány per prendere la provinciale in direzione Bóly e da qui scendere verso sud-est per 5 chilometri fino a Nagynyárád. Vogliamo incontrare Auth Andor, un giovane maestro specializzato nell’arte della colorazione di tessuti secondo antiche tecniche artigianali importate dalle popolazioni germaniche. Il procedimento, interamente manuale, ha inizio con l’apporre i motivi ornamentali su stoffe bianche di cotone o lino mediante un timbro di legno, la cui superficie viene impregnata con una soluzione composta da sostanze segrete: ne risulterà una serie di disegni affiancati di colore blu. Dopo la successiva immersione in vasche profonde 3 metri colme d’inchiostro, il tessuto verrà ritirato presentando a questo punto la classica colorazione blu scuro, mentre le aree precedentemente timbrate risulteranno bianche. In definitiva, la prima parte del procedimento era servita a creare il negativo del prodotto finale. L’artista-artigiano nell’attiguo negozio vende tovaglie di varie misure, tovaglioli e grembiuli, ma anche stoffe da utilizzare per il confezionamento di camicie. Ormai è tempo di riprendere la via del ritorno, ma l’ultima tappa la riserviamo a riscoprire uno degli aspetti più tradizionali di questa nazione: le uova dipinte. Bisognerà quindi tornare a Bóly e seguire la provinciale per Pécs-Varad dove le indicazioni ci porteranno a Zengóvárkony, per visitare il locale museo tematico. Nelle vetrine sono esposte ben 2.230 uova realizzate da una novantina di autori provenienti da oltre venti paesi, fra i quali Israele, Cina e Indonesia, mentre la produzione nazionale, distinta per regione, occupa uno spazio a sé. Non si potrà non rimanere incantati dinanzi alla finezza dei disegni e degli intagli, evidente frutto di una grande perizia: un irrinunciabile souvenir da trasportare a casa con cura per ricordare i colori di questa terra.

PleinAir 439 – Febbraio 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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