Fari nella manica

Guidano la navigazione tra gli insidiosi fondali e le coste frastagliate della Bretagna: i fari, in particolare quelli dell'isola di Ouessant all'imbocco del Canale della Manica, hanno fatto la storia della marineria moderna.

Indice dell'itinerario

Presidiano l’ingresso della Manica le tre isole che compongono l’arcipelago del parco d’Armorique: Sein, Molène e Ouessant. Le raggiunge da Le Conquet, porticciolo turistico della costa bretone a ovest di Brest, un piccolo e veloce traghetto – sempre ingombro di zaini e biciclette – che in un’ora e mezzo di navigazione, con una sola sosta intermedia a Molène, fa scalo nell’isola di Ouessant.
Piccole case di pietra emergono dalla bassa vegetazione appiattita dal vento: nelle giornate di sole, il contrasto con il blu intenso del mare disegna paesaggi che sono un vero invito alla scoperta. All’orizzonte spunta la torre radar che controlla il traffico nel canale, tra le insidiose acque bretoni: la carta nautica evidenzia oltre cinquanta relitti affondati intorno all’isola, a riprova della pericolosità dei fondali.
Nominate per la prima volta circa 2000 anni fa dal geografo greco Strabone ma abitate e frequentate già intorno al VI secolo a.C. (come testimoniano alcuni reperti archeologici), queste piccole terre emerse attorniate da una miriade di scogli semisommersi, spesso nascosti dalla nebbia, hanno da sempre costituito un serio rischio per i naviganti. Per questo motivo e per la loro posizione strategica furono scelte dalla Francia come base di ricerche sulla sicurezza in mare, sperimentandovi sistemi di avvertimento ottici e acustici che hanno fatto la storia della marineria moderna.
Appena sbarcati conviene rivolgersi, poco distante dal porto, a uno dei numerosi noleggiatori di biciclette, che sono il modo migliore per visitare l’isola. In breve si raggiunge l’unico centro abitato, Lampaul, dove non si può mancare una visita al museo dei fari e del salvataggio in mare situato nelle sale del faro di Créac’h, che ha la lanterna più potente d’Europa. Una mappa a tutta parete riporta i nomi dei relitti tra i quali un cargo italiano, il Volontà, affondato nel 1955; più nota la petroliera Olympic Bravery che nel 1976 andò a incagliarsi e si spaccò in due tronconi, rovesciando in mare migliaia di tonnellate di greggio e provocando così il primo disastroso inquinamento delle coste bretoni.
L’isola di Ouessant è però conosciuta ai naviganti soprattutto grazie alle ricerche di un giovane ingegnere parigino, Augustin Fresnel, che nel 1819 fu incaricato dalla commissione dei fari francesi di studiare il modo per ridurre il consumo di olio di balena e di colza, allora utilizzato per alimentare le lampade di segnalazione. Fresnel ebbe, è il caso di dire, la brillante idea di abbinare ai riflettori posti dietro le lampade un sistema di lenti di grandi dimensioni e di forma particolare, in modo da raccogliere tutta la luce proveniente dalla sorgente. Nel 1831 l’ultima sua realizzazione venne impiegata sul faro di Stiff e, da quel momento, nacque il prototipo moderno. In pochi anni le lampade a olio furono sostituite da altre, seppur rudimentali, di tipo elettrico e poi, durante l’Esposizione Universale di Parigi del 1937, l’installazione di una rivoluzionaria sorgente luminosa ad arco voltaico rese visibile il faro di Créac’h sin dalle coste occidentali della Cornovaglia.
Ma i monitor del museo offrono anche storie molto particolari, come quella del faro della Jument, costruito su uno scoglio che affiora solo per poche ore durante la bassa marea, o i filmati degli interventi della François Morin, la storica barca di soccorso che, poggiata su un carrello posizionato in cima a uno scivolo, entrava in mare con le eliche già in movimento per superare onde di tempesta alte anche 12 metri.
Usciti dal museo, si riprende la bici per seguire i sentieri lungocosta che conducono alle ciottolose spiagge della punta ovest, da dove si osserva il faro di Nividik con la piattaforma di atterraggio per l’elicottero, unico mezzo di collegamento durante le mareggiate. Escursionisti di tutte le nazionalità transitano a piedi o su due ruote lungo le numerose piste in terra battuta e verso l’ora di pranzo vanno a popolare le baie e le calette della costa nord, riparate dal vento e riscaldate dal sole. Una sosta per un bagno rinfrescante se la stagione invita, un veloce pranzo al sacco e poi si riprende a pedalare verso il faro di Stiff (il più antico in Europa ancora funzionante) che, con la sua grande lanterna rossa, domina le alte scogliere della costa est. Prima di rientrare in paese, l’ecomuseo di Niou Uhella, un paio di chilometri a est di Lampaul, mostra alcune tipiche abitazioni dell’isola e aspetti della tradizione rurale dell’arcipelago.
Con il sole che tramonta all’orizzonte i locali si animano di musiche celtiche, mentre ai tavoli vengono serviti grandi vassoi di ostriche, crostacei e molluschi appena pescati dalle barche rientrate da poco in porto. E’ ormai buio quando restituiamo le biciclette al noleggiatore e ci incamminiamo sul lungo molo per salire sul traghetto che ci riporterà in continente. Lentamente la nave riprende il viaggio in direzione di Le Conquet finché l’isola diviene solo una sagoma incerta sulle acque, mentre il potente fascio di luce di Créac’h continua a spazzare l’orizzonte.

PleinAir 380 – marzo 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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