Eureka!

Siracusa, la città cara ad Archimede, è una meta assoluta del turismo in Sicilia. Un compendio di arte, storia e costume che rappresenta tutta l’isola. E, movente in più per i visitatori pleinair, una strategica area di sosta.

Indice dell'itinerario

E’ buona norma che un reportage di viaggio inizi da brevi cenni di storia. Ma cenni su Siracusa, per giunta brevi, servirebbero solo a confondere le idee; meglio cominciare dal presente. E, per quel che ci riguarda, dalla migliore sistemazione possibile volendo visitare la città con il camper o la caravan al seguito. Noi l’abbiamo individuata nell’area di sosta attrezzata Von Platen, lungo l’omonima via a confine tra gli insediamenti più antichi e le nuove espansioni sviluppatesi nell’entroterra. Si tratta di un ex campo di Marte parzialmente verde, situato proprio di fronte al Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi e a pochi minuti a piedi da alcune delle altre maggiori attrattive di questo viaggio: il Parco Archeologico Greco-romano, le Latomie del Paradiso, le catacombe di San Giovanni. Vicinissimo è anche il moderno santuario della Madonna delle Lacrime, che dagli anni ’90 domina lo skyline urbano con un’imponente cupola conica di cemento armato.

Guida in mano, gambe in spalla
Risolta così facilmente gran parte dell’agenda, non resta che organizzarsi per le mete più lontane, in particolare per l’isola di Ortigia che è il vero centro storico, cuore monumentale e nucleo originario di Siracusa. La collegano alcuni mezzi del servizio pubblico che fermano accanto all’area attrezzata, ma il consiglio per un primo approccio è di arrivarci passeggiando attraverso i quartieri intermedi e di utilizzare l’autobus solo al ritorno. Sono meno di 2 chilometri, peraltro in discesa, che riservano interessanti occasioni: la prima è il citato e assai venerato santuario dalla pur discutibile mole architettonica, che invade subito la scena non privo però di qualche suggestione. La seconda tappa, al margine di una grande piazza alberata, è ancora dovuta a un edificio di culto popolare, dai tratti seicenteschi ma di origine bizantina: la chiesa di Santa Lucia con l’adiacente cappella ipogea del Santo Sepolcro, edificate sul luogo del martirio della vergine siracusana. La piazza, che copre un reticolo di catacombe solo in parte esplorate e attrezzate per la visita, si apre tra le maglie di un tessuto residenziale compatto tipicamente mediterraneo. Case basse, vie ortogonali, forte contrasto di luce e ombra svelano a curiosi (e golosi) altri motivi per tirarla in lungo: piccoli laboratori artigiani, ristori volanti – speciali le zeppole –, banchi di frutta fresca e di simenze, cioè semi tostati, legumi secchi e quant’altro. Finché si sbuca in vista del mare nell’area dell’Arsenale vecchio e della ferrovia, urbanizzata con ampie prospettive tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 dopo la demolizione delle fortificazioni spagnole. Qui, a partire dai giardini del Foro siracusano con resti dell’agorà greca e monumento ai Caduti, si percorre Corso Umberto I, l’elegante via commerciale che si prolunga sul Ponte Nuovo unendo Ortigia alla terraferma.

L’isola che ancora c’è
Il benvenuto lo danno le imbarcazioni ormeggiate lungo la darsena, in special modo quelle delle agenzie che offrono gite in mare intorno all’isola e sotto costa, dove si aprono molte grotte: l’itinerario di base impegna poco più di un’ora (ma si può optare anche per il pranzo a bordo) e tutto sommato è un’esperienza da farsi, se non altro per godere lo spettacolo da diverse angolazioni e per poter ammirare dall’acqua il possente Castello Maniace, fatto costruire da Federico II intorno al 1240. Concluso il giro in barca, se si è ancora in tempo, da non perdere il coloratissimo mercato tutto siciliano che si svolge ogni mattina nelle vie adiacenti al Palazzo delle Poste, a poca distanza dal Ponte Nuovo. E’ il giusto viatico per dare inizio alla ricognizione a piedi della città storica.
Ortigia occupa appena un chilometro quadrato di superficie, ma con una tale mistura di scorci pittoreschi e monumenti da doverle concedere quantomeno una giornata. Il primo impatto, appena attraversato Largo XXV Luglio, è proprio con le tracce della più antica colonizzazione greca del VI secolo a.C.: gli avanzi di poderose mura e di un grande tempio di Apollo, presenza quasi aliena in un contesto architettonico prevalentemente barocco e ottocentesco: il terremoto che nel 1693 devastò la Sicilia orientale ha infatti minimizzato anche qui le testimonianze delle epoche precedenti. Delle mura che nel Medioevo cingevano l’isola resta ad esempio soltanto la quattrocentesca Porta Marina, sul Porto Grande.
La visita continua senza una precisa scaletta, piuttosto obbedendo ai richiami del momento: uno scampolo di mare ritagliato tra le case, un cortile fiorito, una facciata di pietra indorata dalla luce radente, un flusso più intenso di persone.. Tanto prima o poi si finisce per sbucare nei luoghi più rappresentativi. Anzitutto in Piazza Duomo, il salotto buono dei siracusani, contornato da pregevoli edifici civili e religiosi: Palazzo Beneventano, il Municipio, il Vescovado, la chiesa di Santa Lucia alla Badia… Ma su tutti spicca la cattedrale, fondata nel VII secolo inglobando il preesistente tempio dorico di Atena, rimaneggiata più volte e infine adornata d’una maestosa facciata settecentesca. A pochi passi ci si affaccia sullo specchio cristallino della Fonte Aretusa, dal nome della sfortunata ninfa cantata da Virgilio: una leggendaria sorgente d’acqua dolce in riva al mare, dove crescono papiri e nuotano anatre. Punto panoramico e di ritrovo molto amato, è ben servito per una pausa: e così, sfogliando la guida davanti a una granita, non c’è rischio di dimenticare che nella vicina Galleria Regionale di Palazzo Bellomo sono in mostra due celeberrimi capolavori, l’Annunciazione di Antonello da Messina e la Sepoltura di Santa Lucia del Caravaggio.
In ogni caso c’è ancora tanto altro di cui riempirsi gli occhi e la mente: i lungomare, i bastioni superstiti delle mura spagnole, le curiosità impreviste, le gemme architettoniche incastonate nell’edilizia minore. Almeno per queste ultime, indicate su tutte le mappe, un piccolo elenco è doveroso: la basilica paleocristiana di San Pietro, le chiese del Carmine, di San Filippo Neri (pianta ellittica), di San Francesco (facciata convessa), di San Martino, di Santa Maria dei Miracoli, i palazzi Montalto e Bianco, la fontana di Artemide in Piazza Archimede… A loro modo istruttivi sono anche gli innumerevoli cantieri di ristrutturazione: il fascino dell’antica città, dichiarata patrimonio universale, ha indotto un fiorente mercato immobiliare.

I giorni degli antenati
Conosciuta la città vivente, occorre dedicarsi alla memoria delle origini, vale a dire al Parco Archeologico, al Museo Orsi e al complesso protocristiano di San Giovanni che, come detto, sono a distanza pedonale dall’area di sosta. Se il primo sito di colonizzazione fu l’isola di Ortigia, in realtà la Siracusa greca occupò un’estensione ben maggiore, includendo via via cinque diversi agglomerati (da cui l’appellativo di pentapolis) dal livello del mare ai rilievi delle cave di pietra, le cosiddette Latomie comprese nell’attuale area di scavi. Nel momento di massima espansione, le mura difensive si spingevano di qualche chilometro perfino sull’altopiano dell’Epipoli, raggiungendo l’acrocoro che intorno al 400 a.C. il tiranno Dionigi il Vecchio fortificò con il Castello Eurialo (lo visiteremo più avanti). Né le mura, né il castello, né le invenzioni belliche di Archimede – che qui era nato intorno al 287 a.C. – valsero però a frenare la caduta della città sotto Roma e il suo conseguente declino, tanto rapido che già nell’Alto Medioevo i siracusani erano di nuovo tutti insediati sull’isola. Il racconto di questa parabola inizia nel Parco Archeologico dove, insieme ad altri modesti rinvenimenti, sorgono uno dei più spettacolari teatri della Magna Grecia e un grande anfiteatro romano secondo soltanto al Colosseo.
Delle Latomie, depressioni intagliate dai cavatori nel massiccio calcareo e ora trasformate in lussureggianti giardini, si visita soltanto quella del Paradiso, la più grande di una serie intuibile a lato del teatro. Sulle sue pareti del resto si aprono due altissime fenditure, anch’esse artificiali, che stuzzicano la fantasia del pubblico: la Grotta dei Cordari, dalla chiara destinazione, e l’Orecchio di Dionisio, dalla proverbiale eco.

E al fin della licenza…
L’escursione nella Siracusa che fu trova l’indispensabile epilogo nel citato Museo Paolo Orsi, da poco ristrutturato, intitolato all’archeologo cui si devono le più rilevanti campagne di scavi in Sicilia. La ricchissima collezione di reperti, tra le maggiori d’Europa, e le stazioni didascaliche forniscono i necessari collegamenti e le chiavi di lettura delle vicende cittadine: ma la visita richiede mente fresca e una mezza giornata di tempo, tenendo conto che nel recinto del museo si toccano anche la settecentesca Villa Landolina e un piccolo cimitero dei Protestanti ricavato in una latomia (vi è sepolto il poeta tedesco August Von Platen, morto a Siracusa nel 1835). Prima, però, è utile e sorprendente aprire un’altra pagina di storia poco nota, connessa alle persecuzioni dei primi cristiani e alla decadenza di Roma: basta visitare, sulla via di ritorno dal Parco Archeologico, le Catacombe di San Giovanni, nel complesso che include la cripta di San Martino e i resti della primitiva piccola basilica dedicata all’Evangelista, visibili dalla strada.
In conclusione, per farsi un’idea appena sufficiente di Siracusa occorre programmare quattro o cinque giorni di permanenza, tenendo da parte la ciliegina sulla torta che si gusta dopo aver lasciato l’area di sosta in direzione della superstrada. Seguendo la segnaletica per la località Belvedere e le pur rare indicazioni gialle, dopo circa 6 chilometri si trova a destra il bivio per Castello Eurialo. Subito si accede a un parcheggio sterrato e all’ingresso del sito, dal quale si domina tutta la pentapoli con un vasto braccio di mare. La fortezza si annuncia con modesti brandelli di mura e conci sparsi, ma ben presto rivela una complessa e stupefacente ingegneria: tra bastioni, camminamenti, piazze d’armi, fossati e gallerie, la costruzione raggiunge dimensioni inusitate e cattura soprattutto i bambini per un paio d’ore. Intanto, dagli spalti, i genitori vanno riconoscendo in lontananza i luoghi cha hanno appena visitato. Ed è già nostalgia.

Testo e foto di Alberto Galassetti

PleinAir 458 – settembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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