Enrico il camminatore

Metà in autunno, metà in primavera, un itinerario escursionistico alle porte dell'Urbe fra pascoli e vette della campagna romana sulle orme dei viaggiatori ottocenteschi.

Indice dell'itinerario

Se un tempo era normale camminare per giungere in un luogo, oggi è altrettanto normale servirsi di un veicolo a motore; spesso incuranti della distanza irrisoria, del traffico e soprattutto del fatto che affidandoci ai nostri piedi potremmo osservare e non solo guardare, scoprire e non solo attraversare. Per questo motivo il Grand Tour – il lungo viaggio attraverso l’Europa e l’Italia intrapreso dai giovani benestanti a partire dal XVIII secolo al fine di perfezionare la propria educazione – comprendeva sempre lunghi tratti di cammino attraverso campagne, montagne, borghi, città, a diretto contatto con i luoghi, la gente e la cultura popolare. Fra i tanti viaggiatori, una delle figure di spicco è quella di Enrico Coleman, valente paesaggista di padre inglese e madre sublacense, che nell’aprile del 1881, ormai al crepuscolo della moda del Grand Tour, intraprende una lunga camminata, con il suo blocco degli schizzi nel tascapane, attraverso i Monti Simbruini e Lucretili da Subiaco fino a Tivoli, appena a nord-est della Capitale. Oggi questo sentiero, in parte recuperato, rappresenta quanto di meglio per avvicinarsi allo spirito di quei viaggiatori ottocenteschi antesignani del moderno escursionismo; che magari con pochi soldi in tasca, ma con entusiasmo ed energia da pionieri, affrontavano con improvvisate guide locali luoghi allora – ma in gran parte anche oggi – lontani dagli itinerari più battuti. E noi, zaino e tenda in spalla, nello spirito degli antichi viandanti abbiamo percorso questa strada attraverso la natura e la storia, in due stagioni fra loro opposte per colori e sensazioni: l’autunno e la primavera.

 

Il Sentiero Coleman sui Simbruini

Natura autunnale verso Camerata Nuova, tappa finale del tragitto sui Simbruini
Natura autunnale verso Camerata Nuova, tappa finale del tragitto sui Simbruini

Distanza Circa 40 km
Dislivello 2.056 m
Tempo di percorrenza Circa 16 ore e mezzo in due giorni
Percorso Sentiero segnato con segnavia bianco-rosso, a volte giallo-rosso, a volte con simbolo SC
Non sappiamo con quale mezzo Coleman sia arrivato a Subiaco nella tarda primavera del 1881: sicuramente non con un’automobile. E inizia appena ad albeggiare quando, in una calda giornata autunnale, la corriera ci deposita nella cittadina. Una robusta colazione e alle 8 siamo in cammino verso i ruderi della villa di Nerone. Poco dopo abbandoniamo la strada asfaltata per una carrareccia sulla destra che costeggia lungamente l’Aniene in un solitario paesaggio ancora pienamente estivo, sorvolato appena da qualche pigro airone. Due ore di confortevole cammino e siamo alla Mola Vecchia dove iniziamo a salire agli 820 metri di Jenne, posta su uno sperone roccioso a picco sul fiume. Se è piacevole procedere fra valli e sentieri, particolarmente viva è l’emozione quando si giunge a piedi dalla campagna in un centro abitato: una sosta per rifocillarsi, quattro chiacchiere con gli abitanti e poi via, zaino in spalla e si è di nuovo soli nei boschi.
Lasciamo ancora l’asfalto al vicino bivio sulla sinistra e ci avviamo su un sentiero che ora si fa più stretto, attraversando una zona ricca di campi coltivati delimitati da antichissimi muretti a secco. Saliamo in un ambiente di aceri e faggi, arrossato dei colori dell’autunno; giunti a quota 1.054 e a due ore di cammino da Jenne, incontriamo la pozza dell’Arnaro, ricca d’acqua e di tracce di animali, e iniziamo una lunga discesa nel bosco. Scavalchiamo un torrente e finalmente riprendiamo una sterrata che in poco più di due ore ci fa transitare appena sotto il roccioso abitato di Vallepietra.

Bivaccoin tenda al Passo del Procoio
Bivaccoin tenda al Passo del Procoio

Poco dopo, alla fonte dell’Acqua delle Donne, attacchiamo l’ultima ripida salita per il santuario della Santissima Trinità. Siamo ora sulle tracce del percorso seguito in tempi remoti dai pellegrini che da Vallepietra raggiungevano la Trinità e da qui proseguivano per Campo della Pietra. Il sentiero è una sorta di Via Crucis montana, disseminata di croci e piccole cappelle votive. Raggiungiamo il passo e, alla luce dorata degli ultimi raggi del sole, si apre improvvisa la vista spettacolare del luogo sacro, abbarbicato su un balcone di roccia. Della moltitudine di fedeli che lo hanno affollato durante il giorno sono rimaste solo le innumerevoli candele, che con le ultime fiammelle donano suggestioni particolari al nostro passaggio.
Riprendiamo il cammino nel bosco e in un’ora siamo al Passo del Procoio dove finalmente, a notte fonda, piantiamo la tenda. Immersi nella bolla di luce della lanterna prepariamo la cena, mentre a valle si vedono brillare in distanza le luci di Vallepietra. In una notte tutt’altro che silenziosa per i versi di numerosi animali, ci ritiriamo presto nel nostro riparo di tela: marca Coleman, naturalmente!
Sono le sette del mattino quando riprendiamo la marcia, circondati dalle valli e dalle vette ieri sera inghiottite dal buio e oggi illuminate dal sole; il sentiero segue costantemente le orme dei pellegrini che per secoli da Subiaco si sono diretti verso il santuario. Non ci vuole molto per giungere alla fresca fonte della Fossagliola (o fonte Scifi, come è indicata in loco), a 1.687 metri di quota, e poi in breve, fra croci e lapidi votive, ai 1.855 metri del Monte Autore. Il punto più elevato della nostra traversata è un eccezionale sito panoramico sui boschi dei Monti Simbruini e sul vicino massiccio del Velino.

La Fossagliola è una delle fonti potabili che si incontrano
La Fossagliola è una delle fonti potabili che si incontrano

Scendiamo rapidamente verso Le Vedute, salutiamo l’ultima vista sulla Trinità e dal ponticello sulla destra iniziamo la lunga discesa nella valle dell’Autore: 5 chilometri di bosco in un ambiente particolarmente placido e sereno. L’ombrosa foresta lascia lentamente il posto a soleggiate praterie e improvvisamente si apre sulla sconfinata distesa di Campo Secco, sulla quale si muovono tranquille mandrie: un paesaggio dove certamente Coleman avrà piantato il suo cavalletto. Dagli ampi prati una serie di saliscendi attraversa una successione di valli e radure che ora si allargano e ora si stringono, dando riparo a innumerevoli mucche e cavalli; i crinali sono bordati di faggi già rossi e gialli per l’autunno incipiente.
Un pastore arriva in sella, scende, raccoglie dei funghi, ci saluta e, abbandonata la cavalcatura al pascolo, ci accompagna chiacchierando nella breve discesa verso Camerata Nuova, un borgo perso nel tempo. Una birra nell’unico bar del paese e siamo già sulla corriera per Roma.

 

Il Sentiero Coleman sui Lucretili

La discesa verso Tivoli nel tratto conclusivo del sentiero Coleman sui Lucretili
La discesa verso Tivoli nel tratto conclusivo del sentiero Coleman sui Lucretili

Distanza Circa 40 km
Dislivello 1.750 m
Tempo di percorrenza Circa 16 ore e mezzo in due giorni
Percorso Sentiero segnato poco e male con segnavia bianco-rosso, a volte giallo-rosso
Sono trascorsi sei mesi dalla nostra prima escursione autunnale sul Sentiero Coleman dei Simbruini quando ci apprestiamo a completare l’itinerario sui Monti Lucretili, in un paesaggio ormai primaverile. Ci affidiamo ancora ai pullman delle linee extraurbane romane per giungere all’inizio del percorso, all’incrocio fra la Via Tiburtina Valeria e la strada per Riofreddo, poco dopo Arsoli. Armati i bastoncini, iniziamo a camminare in direzione di quello che si rivela un delizioso abitato; poco oltre i segni del percorso, sbiaditi dal tempo e dall’incuria.
Ci allontaniamo dall’asfalto, in dolce salita su una carrareccia che presto si fa sentiero. Pascoli, fontanili, mandrie, in un assolato ambiente di macchia mediterranea profondamente diverso dagli ombrosi boschi del tratto autunnale. Splendida la sensazione di autosufficienza minima: sulla spalle tutto il necessario per vivere, muovendosi lentamente sul territorio con ritmi e velocità consone all’uomo, scandite dal movimento regolare delle gambe.

Improvvisamente il percorso si disperde in una miriade di tracce: a bassa quota la natura riprende rapidamente i suoi spazi, e questo tratto dev’essere stato abbandonato da tempo. Confidando nelle indicazioni del GPS scendiamo nel fitto del bosco giungendo in breve su una strada sterrata, la seguiamo verso destra e arriviamo a un bivio, dal quale una breve discesa ci porta ai laghetti (o lagustelli) di Percile, due splendidi sprofondamenti carsici che pullulano di gracidanti raganelle. Il tempo di una breve sosta e siamo di nuovo in cammino.

I laghetti carsici di Percile
I laghetti carsici di Percile

A questo punto il sentiero dovrebbe puntare direttamente verso Licenza, ma dall’alto nessuna traccia è visibile nella fitta macchia verde e optiamo per la più lunga ma agevole carrareccia che raggiunge il paese andando in direzione di Percile; sicuramente il tratto più monotono del percorso, ma durante il quale assaggiamo con piacere i molti asparagi selvatici e i dolcissimi fiori dell’acacia. Una birra rinfrescante a Licenza e poco dopo, in prossimità dei resti della villa di Orazio, iniziamo la salita lungo un sentiero sulla destra che presto si fa boscoso, con alberi dapprima giovani e man mano più antichi e monumentali. Un’allegra brigata di scout accompagna i nostri passi verso un raduno intersezionale: questa notte non dormiremo soli.

Si sale dolcemente e tre ore e mezzo dopo Licenza ci affacciamo ai 1.025 metri dello sconfinato pianoro di Campitello, tempestato di massi e boschetti e dove pascolano allo stato brado centinaia di cavalli, buoi, puledri e vitelli, rinfrancati da due grandi fontanili. In una ventina di minuti il campo è allestito, il fuoco scoppietta e stiamo già cucinando. La notte si riempie di stelle, mentre pattuglie di scout continuano a convergere da ogni direzione. Le voci di un centinaio di persone intonano il Padre Nostro e noi sprofondiamo nei sacchiletto.

Un abbeveratoio sul vasto pianoro di Campitello
Un abbeveratoio sul vasto pianoro di Campitello

Il sole è già alto quando ci svegliamo: prepariamo la colazione, smontiamo il bivacco e siamo pronti per la partenza, lasciandoci dietro nient’altro che le nostre orme. Questi boschi ad appena 30 chilometri da Roma sono ben noti anche per il numero di persone che vi si smarriscono ogni anno: alberi secolari, nessuna visibilità oltre le chiome e lunghi canaloni ombrosi sempre uguali a sé stessi fanno perdere l’orientamento anche ai più esperti camminatori. E’ quindi con attenzione che iniziamo la nostra discesa verso Tivoli, sempre contando sulle indicazioni del GPS.
Quando ci affacciamo su Prato Favale la vista dell’Urbe si stende vicina, poi ci rituffiamo nel bosco verso San Polo dei Cavalieri e ancora in una lunga discesa all’interno della Riserva Naturale di Monte Catillo. Ed eccoci in breve a Tivoli, dove riusciamo giusto in tempo a riprendere il pullman che ci riporterà a Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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