Enigma Medjugorje
Tutti i giorni, da venticinque anni, la Madonna si manifesterebbe a sei veggenti di uno sperduto villaggio della Bosnia-Erzegovina. Il condizionale è d’obbligo, l’eco mondiale suscitata intorno alla notizia e tuttora ben viva è senza precedenti. Per indagare su questo evento, raccoglierne le prove e avvicinare i protagonisti, il giornalista Antonio Socci ha compiuto nel 2004 una rigorosa inchiesta e la racconta nel bel libro Mistero Medjugorje: l’autore si professa credente e i suoi dubbi sulla realtà dell’accaduto appaiono apertamente retorici. La Chiesa dal canto suo tarda a pronunciarsi ufficialmente, mentre il più noto mariologo vivente, l’ottantaseienne padre René Laurentin, ha già dedicato al caso venti saggi e sta lavorando a un dizionario delle apparizioni della Madonna in tutto il mondo. Ne ha censite 1.800, ma precisa: «Quelle riconosciute come veridiche non sono più di dodici. Per le altre sono in corso approfondite indagini, ma nella maggioranza dei casi si può parlare di congettura. Su Medjugorje sono tenuto al riserbo per alcune disposizioni che mi sono state date. Non ho mai detto che la Madonna sia realmente apparsa, ho invece avallato una serie di segni positivi e negativi».
Ma se la cautela delle autorità ecclesiastiche alimenta forme di scetticismo, resta difficile dopo tanti anni sostenere la tesi di una colossale montatura. Sapendo, a maggior ragione, che i veggenti hanno resistito da giovanissimi alla persecuzione psichica e fisica dell’ex regime jugoslavo, che test clinici condotti da équipe internazionali hanno più volte accertato l’autenticità delle loro estasi durante le presunte apparizioni, e che ogni giorno di più si allunga la lista ad esse collegata delle guarigioni e di altri fatti inspiegabili.
Certo, per accondiscendere senza riserve ai disegni divini ci vuole fede, e chi ce l’ha è fortunato («darei la vita per averla» confidava Indro Montanelli). A Medjugorje, tuttavia, neppure il più disincantato degli agnostici può rimanere impassibile di fronte al trasporto umanissimo delle migliaia di pellegrini di ogni provenienza che popolano incessantemente quell’oasi di pace: e non è un modo di dire. La guerra serbo-bosniaca che ha inferto laceranti ferite in tutta la regione, molte ancora aperte, nella cittadina e per un raggio di più chilometri intorno alla chiesa madre non ha causato alcuna vittima né fatto cadere o esplodere alcuna bomba (altro mistero documentato). Un’oasi remota, per giunta, che come tanti luoghi non facili da raggiungere ha finito per tramutarsi in miraggio sia per i devoti credenti che per i viaggiatori smarriti in cerca di approdo. Perciò la proposta di un viaggio della pace in camper a Medjugorje durante la scorsa Pasqua ha intrigato anche noi che, lo confessiamo, ci riconosciamo di più tra i viaggiatori smarriti: cosicché abbiamo letto e ascoltato testimonianze, fatto scorta di interrogativi, ci siamo lasciati contagiare dall’affabulare ispirato di Sebastiano Gioviale, l’organizzatore, e alla fine abbiamo deciso: si va!
Sacre presenze
L’appuntamento è per il pomeriggio del Giovedì Santo con altri ventuno equipaggi, sul molo della compagnia di navigazione Blu Line nel Porto di Ancona. Dopo la traversata notturna, sbarcati a Spalato, si prosegue via terra per gli ultimi 200 chilometri fino a Medjugorje (sarà l’inverso per il ritorno). E’ una formula collaudata per le permanenze brevi come la nostra, cinque giorni in tutto, mentre se si ha più tempo a disposizione il percorso di avvicinamento si svolge interamente su strada.
Ma cosa avviene una volta giunti a destinazione? A parte le immancabili occasioni di convivialità, pranzo di Pasqua incluso, il programma è quello tipico dei pellegrinaggi. Chi ne ha compiuti altri, a Lourdes o a Santiago de Compostela per citare due classici, sa bene di non doversi attendere serate danzanti né tavoli verdi ma momenti di meditazione, di ritualità e di comunione spirituale. In più, e a differenza di ogni altro luogo di pellegrinaggio, a Medjugorje si va per vivere la contemporaneità di un fenomeno soprannaturale, magari per pregare accanto a uno dei veggenti che si trasfigura durante l’incontro quotidiano con la Madonna. Senza contare la sconcertante contiguità con altri misteri irrisolti quali le lacrime umane, come tali analizzate e certificate, che stillano da una fessura del crocefisso della Resurrezione, bronzo recente dello scultore croato Andrej Ajdic. O come l’acqua dalle provate qualità terapeutiche che sgorga dalla fontana del sagrato; o ancora la serenità e l’impulso a ritornare che la maggioranza dei fedeli esprime dopo aver salito – talvolta a piedi nudi e persino in ginocchio – i sentieri acciottolati del colle delle apparizioni e del vicino monte della Croce. E a proposito di lacrime, uno dei misteri riguarda anche l’Italia: ricordate la Madonnina di Civitavecchia, quella che anni fa pianse sangue e riempì pagine di cronaca? Ebbene, si tratta di una statuetta in gesso acquistata come souvenir proprio a Medjugorje.
Insomma, cos’è che rende speciale questo luogo e dà un credito di religiosità anche alla semplice visita? Col senno di poi diremmo che è la sensazione di avvertirvi una presenza, nonostante il poco mistico bailamme che si accompagna ai pellegrinaggi. La Medjugorje di oggi, difatti, non è più lo sparuto insediamento rurale di vent’anni fa: l’economia irriverente del turismo ha soppiantato la pastorizia e la coltura del tabacco, mentre case, alberghi e negozi vi crescono a ritmo incalzante insieme al benessere materiale.
Ma ad esaltare e proteggere la sacralità dell’ambiente provvedono ancora l’aspro paesaggio e le isole trascendenti che affiorano nei dintorni come altrettanti miracoli della natura e della storia. Due in particolare rendono complementare al pellegrinaggio una ricognizione del corpo e dello spirito: la cosiddetta Laguna Blu, un eden primordiale di acqua e vegetazione che ricorda il parco di Plitvice, raggiungibile a pochi chilometri dal campeggio che ci ospita; e Mostar, il capoluogo del distretto dove convivono cattolici, ortodossi e musulmani, distante più o meno mezz’ora di guida. Soprattutto questa seconda escursione va raccomandata, capace com’è di marcare a fondo le emozioni: si passeggia di nuovo liberamente per il centro storico d’impronta turca – dal 2005 inserito nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità – e lo si può ammirare anche dall’alto salendo sul minareto della moschea. Ma l’ottimismo dei restauri appena terminati non riesce a cancellare i segni ancora dolenti delle “pulizie” etniche: il ponte antico del XVI secolo ora totalmente ricostruito, lo Stari Most sulla Neretva, simbolo dell’unione tra Oriente e Occidente, non è il solo monumento alla stupidità di chi lo ha bombardato. Intorno occhieggiano pareti traforate di abitazioni senza più vita e, per colmo, militari si mescolano ai turisti rammentando uno stato di belligeranza latente. Per contrasto la città tutta chiede un rilancio internazionale e ovunque si avverte palpabile il bisogno della gente di ritrovare un’incondizionata fratellanza. La stessa, ci viene subito in mente, che la Regina della Pace invoca da sempre. E per tutti.
PleinAir 414 – gennaio 2007