Energie rivoluzionarie

Divenuta famosa perché sopperisce completamente al proprio fabbisogno di elettricità e carburante con tecnologie sostenibili, l'isoletta di Samsø è anche la meta di un viaggio nell'ambiente della Danimarca più intatta. Da conoscere con il camper, la caravan, la tenda o, perché no, a bordo di un carrozzone trainato da un cavallo.

Indice dell'itinerario

La Citroën di Søren Hermansen sembra la macchinina di un autoscontro. Procede silenziosa lungo la strada che porta alla Samsø Energieakademi, il centro di ricerche per l’energia pulita situato in campagna, a due passi da Ballen. Dietro di sé l’auto non lascia gas di scarico, si vedrebbe subito nell’aria cristallina della Danimarca: sembra come voler spiccare il volo, e se avesse la carrozzeria a vivaci colori sarebbe del tutto simile a un aquilone. Non a caso va ad energia eolica, è cioè un’auto elettrica alimentata dal vento. «La ricarico di notte – dice Søren – quando il consumo di energia è minore. Per adesso nell’isola ce ne sono quattro, ma tra poco saranno molte di più. E poi diverse persone, soprattutto contadini, usano l’olio di semi di colza per far funzionare auto e trattori. Non è male come biocarburante – dice sorridendo – il suo indice di inquinamento si aggira intorno all’1%, senza considerare che la polpa di scarto viene utilizzata come mangime per le mucche». Søren Hermansen non è un visionario, ma un ingegnere gentile e sorridente. E ha una particolarità: nel 2008 il suo nome è apparso sulla copertina del Time come pioniere di una rivoluzione verde senza precedenti. E’ grazie a lui e a suoi collaboratori se Samsø, la minuscola isola danese nel Kattegat, l’ampio canale del Mare del Nord perennemente sferzato dal vento, è diventata modello e simbolo di una nuova battaglia ecologica.


Il quinto elemento
L’iniziativa ha mosso i primi passi nel 1997, quando il Ministero dell’Ambiente danese lanciò un bando rivolto ai ricercatori che riguardava l’abbandono dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili. Dice Søren davanti a un modellino di turbina eolica: «Nella mia isola c’erano tutti gli ingredienti giusti, cioè tanto vento, le biomasse e gente che consumava quello che produceva». Il suo progetto vinse il concorso e, fra l’incredulità generale, uno sconosciuto pezzetto di Danimarca circondato dal mare balzò agli onori delle cronache. «All’inizio non è stato facile – dice l’ingegnere mentre mi allunga un cestino profumato di fragole appena raccolte – bisognava convincere gli abitanti, una comunità agricola conservatrice, ad abbandonare gli stili di vita tradizionali». Sino ad allora, infatti, qui tutti si riscaldavano con il gasolio portato dalle navi cisterna, mentre l’elettricità arrivava via cavo dal continente. Ogni anno, ciascun abitante di Samsø immetteva nell’atmosfera 11 tonnellate di anidride carbonica.
Poi le cose cambiarono, e con esse il paesaggio. Alla fine degli anni ’90 furono installate gigantesche turbine eoliche per la produzione di energia dal vento: undici sull’isola, alte 50 metri, e dieci in mare aperto, alte 70. Il risultato fu che nel 2001 l’uso dei combustibili si era dimezzato, mentre tre anni dopo le undici turbine producevano energia sufficiente a coprire l’intero fabbisogno elettrico di Samsø e l’anno dopo ancora l’isola iniziò ad esportarla, poiché ne produceva il 10% in più di quanto ne servisse. Un definitivo affrancamento dalla schiavitù dei combustibili fossili: è vero che la maggior parte dei veicoli a motore nonché i traghetti usano tuttora derivati del petrolio, ma con le turbine offshore che producono 80 milioni di kilowattora all’anno si riesce a compensare l’inquinamento dovuto ai trasporti.
L’altro piccolo miracolo è il riscaldamento, pure questo ottenuto utilizzando energie rinnovabili. Nell’isola ci sono infatti tre inceneritori che, bruciando gli scarti del grano, riscaldano l’acqua poi convogliata alle abitazioni. Uno si trova non lontano dall’accademia. E’ qui, in un grande hangar, che vengono stoccate le balle di paglia: bruciandole si riscaldano ogni inverno due villaggi interi, Ballen e Brundby. Qualcuno però storce il naso: non a tutti piacciono quei pali sull’orizzonte delle colline. Altri invece le tollerano, in fondo sono solo innocui giganti che ormai fanno parte del paesaggio, e la fila delle undici turbine bianche che spuntano dal mare è diventata una visione familiare per chi arriva in traghetto da Kalundborg.
Una volta scesi al porticciolo di Kolby Kås, un grande benvenuto in lingua locale scritto sull’erba accoglie il viaggiatore. In particolare i cicloescursionisti sono tantissimi: le verdi, meravigliose strade di Samsø, semideserte e pianeggianti, esercitano un richiamo irresistibile. Tra una pedalata e l’altra, prima o poi si ritroveranno al cospetto della Samsø Energiakademi, mescolandosi forse a qualche troupe televisiva: da tutto il mondo, infatti, arrivano giornalisti per studiare il modello di sostenibilità dell’isola. Chiunque capiti al centro, d’altronde, viene accolto con cordialità, e due volte alla settimana ci sono visite guidate e un filmato (in danese e in inglese) che illustra la rivoluzione verde. La stessa architettura del centro è stata progettata da Søren, interamente in legno, con stanze ampie e luminose e materiale isolante organico: carta triturata, lana, sassolini di pomice e pannelli di fibre di mais. Niente ferro, niente plastica, nemmeno sul tetto, tappezzato da pannelli fotovoltaici. Lo stesso scenario in cui è inserito l’edificio appare rilassante e bucolico, circondato da una vasta distesa di campi incolti, completamente ricoperti nella bella stagione di fiori multicolori e voli d’insetti.
A due passi, dall’altra parte della strada, ci sono tre deliziose casette in legno e muratura. Si trovano proprio a ridosso di una spiaggia incontaminata, assediate dalla vegetazione costiera, ciascuna con una piccola veranda che guarda la distesa d’acqua. Per lunghi mesi c’è solo il vento che bussa alla porta. E in effetti nell’isola sono ben 120 i chilometri di coste dov’è difficile trovare folla: spazi incontaminati bagnati da un mare freddo ma cristallino, con sabbie bianche e arenili sassosi da cui emergono conchiglie e pietre dalle strane forme. Tra una spiaggia e l’altra ci sono i tre deliziosi porticcioli dell’isola: Ballen, affollato di barche, localini e ristoranti d’atmosfera, Mårup a nord e infine Langor, il più piccolo, nel fiordo di Stavns, non lontano dalla colonia di foche di Bosserne, insenatura nella quale si rifugiavano le imbarcazioni vichinghe. Nordby, delizioso villaggio all’estremità settentrionale dichiarato nel 1990 il più bel paese della Danimarca, è invece un grumo di secolari cottage assediati dai fiori, alcuni ancora con il tetto di paglia, sistemati intorno a un laghetto. E’ qui che vivono e lavorano diversi artisti: il pittore Frederick Olsen, l’estrosa ceramista Sigrid Hovmand e poi Ulla Fredsøe che realizza splendidi acquerelli.
Le chiese, bianchissime, sfoggiano maestosi campanili turriti e spesse mura, come a difendersi meglio dai profanatori della fede. Quella di Besser fu innalzata a debita distanza dal paese perché se fosse stata costruita vicino al villaggio sarebbe stata distrutta da un troll, mentre quella quattrocentesca di Tranebjerg, la più grande dell’isola, conserva l’altare del 1615 e un fonte battesimale del ‘500 donato da Steen Brahe, fratello del celebre astronomo cinquecentesco Tycho Brahe. Date un’occhiata al cimitero, che ospita le lapidi dei dieci piloti della RAF precipitati a Samsø durante la Seconda Guerra Mondiale, e anche al vecchio granaio nei pressi.
La chiesa di Onsbjerg, originaria del XII secolo, è la più antica e accoglie il prezioso crocifisso d’oro legato alla leggenda della sorgente di Ilse Made. Si racconta che tanto tempo fa, sulla costa della vicina Vesterlekken, fu ritrovato il cadavere di una donna che galleggiava in mare. Provarono invano, con uomini e cavalli, a trasportarla in tutte le chiese dell’isola, ma solo in quella di Onsbjerg fu possibile darle riposo. E’ in suo onore che fu posto il prezioso crocifisso d’oro, mentre sul luogo in cui era stato ritrovato il corpo oggi sgorga la sorgente di Ilse Made. La chiesa più settentrionale, a Nordby, col cimitero dalle antiche lapidi, è in ugual misura gigantesca, a metà strada fra i rossi tramonti e il Samsø Labyrinten, il più grande del mondo, 50.000 abeti che si sviluppano su 60.000 metri quadrati di superficie, l’equivalente di dodici campi da calcio. Ci vuole almeno un’ora e mezzo per percorrerne i 5 chilometri di sentieri, districandosi fra decine e decine di biforcazioni a T, ma è un ottimo posto in cui smarrire il senso del tempo e dello spazio, cosa che succede piuttosto spesso andando a zonzo per l’isola.
In effetti a Samsø non ci sono itinerari particolari da seguire, basta farsi guidare dall’ispirazione, dagli stati d’animo, e poi saranno una situazione o uno squarcio di luce a guidarvi. Percorrete i meravigliosi sentieri segnalati che attraversano le verdi colline di Nordby, non lontano dal paese, oppure esplorate l’isola al lento passo dei cavalli a bordo di un vecchio carrozzone o magari fate un salto alla fattoria di Jan Tranbeg, allevatore e proprietario di una turbina da un megawatt acquistata nel 2000, alta 50 metri, che produce 6 milioni di kilowattora di energia più del necessario, tanto da poterla vendere guadagnando ben 400.000 euro all’anno. Jan riesce perfino a riscaldare la casa raffreddando il latte prodotto ogni giorno dalle sue mucche: il processo avviene mediante un vecchio frigo che, con un inverter, funziona come una pompa di calore.
Se vi siete ripresi dallo stupore, potete andare a visitare il museo storico delle Austin, oppure camminare sui verdi sentieri della tenuta agricola che fu il parco di Brattingsborg, voluto da re Cristiano V nel 1677, con il castello ottocentesco in stile neogotico che si specchia in un laghetto, fra alberi monumentali e palizzate di rose multicolori, che fanno da cornice a un museo delle bambole. Magari vorrete dare un’occhiata ai vecchi mulini di Kolby e Brandby o scendere nell’estremo sud dell’isola al faro di Vesborg Fyr, costruito nel 1858 sul sito in cui si trovava uno dei tre castelli che un tempo difendevano Samsø. Aspettatevi che qualche archeologo venga a raccontarvi la storia degli scavi del vecchio maniero, come succede spesso in estate, o fermatevi per una pausa ristoratrice al caffè Fruen ved Fyret.
Nella bella stagione poi, davanti alle fattorie appaiono i caratteristici chioschetti di legno stipati di frutta e verdura. Intorno non c’è anima viva, solo un bilancino e una scatola in cui si mettono i soldi per pagare la spesa: cipolle, patate, mele, carote e poi le fragole, una distesa di fragole che giovani da tutta Europa vengono a raccogliere, per un paio di settimane all’anno, chini sui campi, quasi sempre sotto un sole radioso. Tutti questi prodotti della terra potete ammirarli e acquistarli anche durante il Samsø Raw Product Festival, che si tiene l’ultimo weekend d’agosto in un tripudio di odori e di colori, mentre i contadini declamano le virtù di frutta e verdura biologica dei loro campi. In alternativa si può fare scorta di aceto, confetture e sciroppi di bacche e fiori che i coniugi Annelise e Kim Rasmussen preparano nel loro laboratorio artigianale, dopo aver raccolto nei boschi la materia prima. E mentre state andando da loro potreste incontrare, nella solitudine dei campi, studiosi dell’ambiente che richiamano con un fischio gruppi di pecore dello Jutland. E’ grazie agli instancabili ruminanti se si è riusciti a debellare la rosa selvatica infestante che stava distruggendo la flora dell’isola.
Dovunque arriverete, in ogni caso, vi accorgerete che c’è qualcosa di magico a Samsø, anche se nessuno sa spiegarne il motivo. Tutti però sono d’accordo su una cosa: quando si giunge qui la prima volta è come se si ritrovassero le proprie radici. Sarà per il buio primordiale delle notti o perché al tramonto, dall’alto delle colline, si vede il disco rosso del sole che tramonta da una parte e dall’altra la luna che si specchia nell’acqua immobile. Sfogliando il Samsø Holiday Magazine, la rivista annuale che racconta luoghi e curiosità dell’isola, si leggono numerose storie riguardanti personaggi più o meno noti che sono rimasti stregati dal sito e hanno deciso di fermarsi qui per sempre. Il cantautore Lars Muhl, per esempio, dopo aver venduto milioni di dischi, si è ritirato a Samsø chiudendo fuori dalla porta gloria e successi. Frank Megabody, invece, arrivò qui vent’anni fa su un camion malridotto pieno di strumenti musicali con il suo eclettico gruppo, i Little Willy and the Wild Ones. Non se n’è più andato, e adesso gestisce il Brundby Hotel, celebre locale dove si tengono appassionanti serate rock, molto amato anche da famosi musicisti. Una volta, all’insaputa di tutti, si sedette ad allietare la serata Gary Brooker, l’organista dei Procol Harum, e un’altra volta ancora Frank fu svegliato da un terribile russare: era Bill Wyman, per trent’anni bassista dei Rolling Stones. «Ogni tanto mi chiedo se anche Elvis sia mai stato qui» dice Frank sorridendo.
Ma c’è anche tanta gente comune che ha deciso di fare il nido a Samsø. Il pedagogo Torben Bennetsen, per esempio, è fuggito dalla frenetica Copenhagen trasformando la sua vacanza nell’isola in un trasferimento definitivo, e adesso vive qui insieme alla moglie e ai due figli. «Passiamo molto più tempo insieme. Samsø è un luogo fantastico per i bambini, c’è spazio, una natura meravigliosa, assenza di criminalità, gente sempre allegra che si farebbe in quattro pur di aiutarti. Viviamo in una sorta di pace interiore che vale più di ogni ricchezza materiale». E infine c’è, o meglio c’era, il poeta Thorkild Bjørnvig, scomparso nel 2004, che tanti anni fa si costruì una casetta negli incontaminati scenari del nord. Per spiegare l’atmosfera dell’isola e la mitezza degli abitanti, più o meno 4.500 anime su una superficie di 120 chilometri quadrati, il buon Thorkild amava raccontare un episodio. Un giorno dovette partire all’improvviso per una conferenza a Stoccolma, ma all’ultimo momento si accorse che non aveva portato i vestiti in lavanderia e così chiese a una vicina se poteva lavarglieli. In realtà era vicina per modo di dire, la sua fattoria era a un paio di chilometri e lei non l’aveva mai visto prima. La donna accettò sorridendo. Il mattino dopo i vestiti erano puliti e stirati, con un rametto di lavanda a mo’ di decorazione. Thorkild naturalmente la ringraziò. «Non pensarci nemmeno – rispose la signora – ma ti dirò una cosa, se fosse stato per Rifbjerg (un altro famoso scrittore danese, ndr), non l’avrei mai fatto».

Testo e foto di Paolo Simoncelli


PleinAir 455 – giugno 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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