Ecologia domestica

Con un quinto del territorio nazionale tutelato da parchi e riserve, la Costa Rica è un paradiso di natura protetta, e che natura: foreste tropicali abitate da migliaia di specie di piante e animali, spiagge frequentate dalle tartarughe marine, vulcani assopiti ma non spenti... Un viaggio tutto da vivere nel cuore dell'America Centrale, dove l'ecoturismo (da praticare anche in camper o in tenda) non è una moda ma una realtà consolidata

Indice dell'itinerario

Le verdi pendici della Cordillera de Tilarán s’innalzano avvolte da una nebbia misteriosa e perenne che sembra voler proteggere il Bosque Nuboso de Monteverde, una lussureggiante foresta pluviale che cela tesori di biodiversità. Sugli alberi, alti e robusti, le piante aeree crescono rigogliose formando giardini pensili che si gettano a cascata verso il suolo: ognuna di esse è un fragile microcosmo in cui vivono alghe, insetti, piccoli anfibi. Tra i rami si nascondono il simpatico bradipo e varie specie di scimmie, e più in basso, nell’umido sottobosco bagnato con regolarità da tenui pioggerelle e rinfrescato da leggeri colpi di vento, pullulano muschi e piante dalle grandi foglie lucide. I serpenti strisciano silenziosi, ignorando il verso a rintocchi dell’uccello campana e l’agitazione dei velocissimi colibrì, mentre turisti e fotografi scrutano le fronde nella speranza di riuscire a distinguere le penne colorate del quetzal splendente, il mitico volatile centroamericano ormai in pericolo di estinzione.

La natura della Costa Rica è un inno alla varietà della vita. In un paese di soli 50.000 chilometri quadrati, pari a un sesto dell’Italia, si trovano ben dodici biotopi differenti. Oltre un milione di ettari di territorio è posto sotto tutela con ben venti parchi, otto riserve biologiche – una delle quali è proprio il Bosque de Monteverde – e un’area di interesse nazionale. Non è dunque un caso che l’ecoturismo venga promosso fin dagli anni ’60, al punto che il motto dell’Instituto Costarricense de Turismo è “No Artificial Ingredients”.
Fra gli esempi di tanta ricchezza naturalistica, sul versante del Pacifico in prossimità della frontiera con il Nicaragua si estende la foresta tropicale secca più vasta di tutto il Centro America, in buona parte protetta dal Parque Nacional Santa Rosa. Anche qui troviamo uno strato superiore a circa 30 metri di altezza, popolato da mimosacee e altre piante decidue che formano un vero e proprio tetto naturale a protezione del livello più basso; la fascia costiera del parco è invece rinomata per la presenza di tartarughe marine che vi vengono a deporre le uova. Non sono da meno le spiagge del sud, che testimoniano a propria volta l’attenzione a preservare l’ambiente: sulla grande Península de Osa, che si protende verso il confine con Panama, il Parque Nacional Corcovado include un’altra splendida foresta pluviale abitata da una vasta colonia di variopinti pappagalli e dalle alouatta, le innocue scimmie urlatrici che si spostano di notte da un ramo all’altro in cerca di cibo emettendo versi terrificanti. Le spiagge più belle della sponda atlantica si trovano invece a Puerto Viejo e a Manzanillo, affacciate sul Mar dei Caraibi, e offrono piccoli alloggi immersi nel verde anziché gli ecomostri che in molti altri luoghi hanno sfigurato le coste in nome del turismo di consumo. Gli enormi alberghi-grattacielo non sono riusciti a deturpare nemmeno i litorali più frequentati dai giovani patiti del surf, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, che cavalcano le onde con destrezza per poi sciamare tra negozi, bar e ristoranti.
La Costa Rica è nota anche per i vulcani, presenza assai caratteristica di molti dei suoi paesaggi. Il Poás e il Rincón de la Vieja sono temibili giganti assopiti le cui cime battute dal vento sprigionano vapori sulfurei, mentre sulle pendici i ticos (come vengono indicati in lingua locale i nativi del paese) hanno impiantato fattorie in cui allevano bovini e coltivano fragole e alberi da frutta o pregiate varietà di caffè. Il vulcano Arenál è certamente il più temibile: negli ultimi decenni ha eruttato lava a più riprese e le sue emissioni di gas velenosi hanno ucciso più di un escursionista imprudente. Il Miravalles è invece un’autentica centrale energetica naturale, alle cui falde è stato costruito il più grande impianto geotermico di tutta l’America Centrale. Non è però un vulcano la vetta più alta, il Cerro Chirripó, che supera i 3.800 metri e dalla cui sommità si può godere di uno strabiliante panorama che spazia su entrambi gli oceani.

Un popolo, tanti popoli
Oltre alle meraviglie della natura, le foreste che tappezzano le montagne costaricensi nascondono riserve indigene sconosciute ai più. I Guaymí, detti anche Ngäbe, sono una tribù seminomade che si sposta tra Panama e Costa Rica, mentre altri gruppi indigeni come i BriBri sono contadini che spesso lavorano nelle piantagioni di banane gestite dalle multinazionali statunitensi. Anche i Brunca o Boruca, che vivono sulla Cordillera meridionale, sono indios stanziali la cui economia è di matrice prevalentemente agricola: pur avendo perso il loro idioma tradizionale, sostituito completamente dallo spagnolo dopo la Conquista, hanno conservato numerose tradizioni fra le quali l’arte della tessitura. Il cotone viene lavorato a mano su vecchi telai e quindi colorato con tinte naturali di origine vegetale o animale, come ad esempio la porpora estratta dalle conchiglie Murex. I Brunca inoltre scolpiscono nel legno di balsa spaventose maschere che vendono ai turisti o che usano nel Baile de los Diablitos, il ballo dei piccoli diavoli che viene celebrato ogni anno il 31 dicembre per rievocare lo scontro avvenuto secoli fa tra l’invasore spagnolo e la loro comunità.
Se ci si sposta nelle aree collinari e nella savana, il quadro è ancora diverso. Qui le grandi mandrie di bovini da carne sono governate lazo alla mano dai sabaneros, cowboy dai volti rugosi e abbronzati che indossano cappelli a tesa larga e calzano alti stivali: nei giorni di festa saltano in groppa ai tori in occasione delle montaderas, dove vince chi resiste più a lungo senza cadere. Poi si scatenano le danze al suono della marimba, l’aria si riempie delle musiche tipiche di queste terre – calypso, soca, salsa, cumbia, musica tradizionale di origine messicana – e i gruppi folkloristici sfilano nei loro variopinti costumi accompagnati dalla cimarrona, (la banda musicale comunale. La birra scorre a fiumi così come il guaro, un’acquavite di origine locale, i cui effetti si cerca di stemperare mangiando saporite tortillas fatte in casa.
Nonostante la presenza delle tante etnie autoctone, alle quali si affianca la comunità giamaicana della costa orientale, la maggioranza della popolazione è di discendenza ispanica o comunque europea e vive principalmente nella capitale San José e nella sua Gran Area Metropolitana. La città, fondata nel XVIII secolo dai colonizzatori spagnoli e ingranditasi soprattutto a partire dal 1823, quando venne dichiarata l’indipendenza del paese, si presenta in una veste sostanzialmente moderna e non ha particolari attrattive turistiche se si eccettua il Teatro Nacional de Costa Rica, un bell’edificio in stile neoclassico; ma è qui che si trovano le principali istituzioni dello stato, le università e l’aeroporto internazionale, in cui arrivano i voli provenienti dall’Europa e dove si può prendere a noleggio il veicolo preferito (oltre a vetture d’ogni tipo e fuoristrada, alcune compagnie dispongono anche di grossi mansardati di produzione nordamericana). E’ perciò da San José che inizia la scoperta della Costa Rica, per la quale si possono individuare tre direttrici fondamentali.

Da San José a Manzanillo
A questo primo percorso, ambientato sul versante atlantico, si accede dalla Ruta 1 – la celebre Carretera Panamericana – andando ad incrociare un altro dei principali assi stradali del paese, la Ruta 32. Seguendola verso nord-est si taglia la foresta pluviale montana del Parque Nacional Braulio Carrillo, dove si può ascendere al vulcano Barva.
Continuando sulla statale, percorsi all’incirca 150 chilometri da San José si giunge sulla costa caraibica nei pressi di Puerto Limón. Di fronte alla città si trova l’Isla Uvita, sulla quale sbarcò Cristoforo Colombo nel suo quarto e ultimo viaggio verso le Americhe. Come San José, neanche Limón (così la chiamano tutti) offre grandi motivi d’interesse, essendo stata pesantemente danneggiata da un terremoto che l’ha colpita nel 1991: tuttavia il centro offre un piacevole spaccato della vita locale – è qui che si concentra la comunità afroamericana costaricense – e le strutture alberghiere ne fanno una buona base per compiere escursioni nel Parque Nacional Tortuguero, dove depongono le uova sei specie di tartarughe marine tra cui la splendida tartaruga verde, ormai a rischio di scomparire.
Da Limón ci si rimette in marcia sulla Ruta 36 in direzione sud-est e in poco meno di 50 chilometri si arriva a Cahuita, un villaggio i cui abitanti di provenienza giamaicana parlano un dialetto creolo-inglese assai curioso. Oltre alle belle spiagge, il paesino dà il nome a un piccolo parco nazionale che include un tratto di foresta litoranea e una ricca barriera corallina. Da tener presente che a Playa Vargas, a un chilometro dalla stazione del guardaparco, è possibile campeggiare.
Ancora una ventina di chilometri per il villaggio di Puerto Viejo de Talamanca, meta di numerosi surfisti, popolato dai discendenti degli schiavi giamaicani e da alcuni indios della riserva BriBri-Cabécar (oltre a una piccola comunità di europei espatriati). Da non perdere in questa zona la riviera bordata di palme da cocco e, una dozzina di chilometri più a sud, le spiagge da sogno di Manzanillo e la riserva naturale che si estende fino al confine con il Panama.

Da San José a San Vito
Il sud-ovest del paese si può raggiungere percorrendo la tortuosa Ruta 2 che passa per il Cerro de la Muerte, massiccio della Cordillera de Talamanca il cui nome inquietante è dovuto al fatto che in passato era molto difficile attraversarlo a piedi e più di un viaggiatore soccombeva al freddo e alla pioggia. In alternativa, la statale 239 conduce sulle rive del Pacifico nelle vicinanze di Parrita, e qui la statale 34 scende parallela alla costa dove la foresta si allunga fino alla sabbia dorata. Ogni guida invita a visitare il Parque Nacional Manuel Antonio: di piccola estensione ma assai frequentato (150.000 visitatori l’anno), è oggi interessato da una massiccia affluenza turistica e perfino gli animali sono stressati dalla presenza umana. Meglio allora spostarsi più a sud per provare il divertimento dello snorkeling al Parque Nacional Ballena, la prima riserva marina del paese: creata per difendere la barriera corallina e l’isoletta omonima, l’area protetta salvaguarda numerosi uccelli marini, iguana verdi e cetacei che si trovano a passare in queste acque durante le loro migrazioni stagionali.
Con una deviazione sulla 245 si raggiunge la Península de Osa e la si aggira fino a Carate, dove parte l’escursione nel Parque Nacional Corcovado, uno dei più importanti delle Americhe, composto da ben otto differenti habitat naturali. Qui si trova la più grande popolazione di ara macao o ara scarlatta, i pappagalli noti per il brillante piumaggio rosso, giallo e blu, mentre in cielo vola la rara aquila arpia.
L’ultima tappa si raggiunge percorrendo la Ruta 2 in direzione della frontiera con il Panama e svoltando all’incrocio con la 237. San Vito è un quieto paesino fondato da emigranti italiani negli anni ’50; a soli 6 chilometri dall’abitato, ecco il meraviglioso Wilson Botanical Garden, 300 ettari di foresta umida con una collezione di oltre settecento palme, una delle più importanti e ricche del mondo, oltre a un numero imprecisato di bambù, bromeliacee, felci e orchidee. Percorrere i suoi sentieri nel silenzio interrotto dal rumore delle gocce di pioggia è una delle esperienze più preziose che si possano fare in Costa Rica: un paese che regala al turismo secondo natura un ambiente incontaminato, ben protetto… e senza ingredienti artificiali.

Testo e foto di Andrea Alborno

PleinAir 462 – gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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