E la chiamano magra

In contrapposizione alla ricca piemontese, la sponda lombarda del Lago Maggiore appare meno battuta dal grande turismo: e invece è densa di motivi di visita con i suoi tranquilli paesi rivieraschi, i borghi dell'interno circondati dai boschi, le mille storie di una terra che ha dato i natali a Piero Chiara, Dario Fo, Vittorio Sereni.

Indice dell'itinerario

To-po, to-po, to-po, to-po, to-po, recita Marco Paolini quando racconta dei barconi nella Laguna di Venezia. Cambiano le acque, ma il rumore sommesso e tranquillo è lo stesso: una leggera lancia di legno con un gavone a prua come ripostiglio per i cuscini, unico lusso insieme a un tendalino per tenere in fresco la borsa frigo, è il mezzo ideale per un’escursione sul Lago Maggiore. La velocità, fra i 6 e i 10 chilometri all’ora con un limitato dislocamento, crea un’onda che increspa appena la superficie dell’acqua, diversamente dai motoscafi veloci che generano onde fastidiose per gli altri natanti e per i paperi. Ci si avvale sempre di due remi, più che altro per una salutare vogata o per avvicinarsi silenziosamente a una spiaggetta, a un parco, a un canneto dove si nascondono gli uccelli acquatici. Nelle mattine di primavera e d’autunno si deve aspettare un paio d’ore prima che il sole si affermi sulla foschia; al contrario, d’estate nelle prime ore di luce la visibilità è migliore, perché i grandi laghi prealpini del nord sono circondati dai monti ma l’altimetria è quella della sottostante pianura (il che offre i vantaggi della vita da spiaggia ma anche lo svantaggio della nebbiolina).
La costa, verdeggiante di boschetti, con l’innalzarsi del sole e della temperatura perde l’intensità dei colori fino al grigio azzurrino, quando si evidenzia il grande squarcio biancastro delle cave di Baveno: è la sponda lombarda, che chiamano magra, mentre quella piemontese è detta ricca grazie a Stresa e Pallanza, centri mondani internazionali della Belle Époque. Chi vive qui conosce la dislocazione delle residenze miliardarie dei vip, nascoste dal lato terra ma panoramiche e quindi visibili dal lago; e le ville dei facoltosi imprenditori lombardi fanno bene all’economia dei comuni, dotati di buoni servizi anche per non perdere nel confronto con l’ordine e la pulizia della parte elvetica del bacino. Questo versante meritò anche appellativo di sponda operosa, in riferimento a coloro che lavoravano nelle diverse fabbriche oggi chiuse come il famoso cappellificio Panizza, i tre stabilimenti Richard Ginori e le ceramiche di Laveno, conservate in uno dei numerosi musei della zona. Adesso anche qui si vive di terziario, specialmente quello turistico, e di pendolarismo con Milano, il suo vasto hinterland, gli altri capoluoghi facili da raggiungere grazie agli efficienti trasporti.
La bellezza dei luoghi dà un senso di privilegio, con le coste a fare da salotto buono. Un tempo, quando c’era meno turismo, la situazione era diversa e anche sulle rive sorgevano fabbriche, cave, fornaci per lavorare calce e vetro. L’entroterra aveva una sua dignità agricola e paesistica, con qualche grande villa signorile e borghi molto frequenti ma piccoli. Il fondovalle coltivabile era una stretta striscia e non c’era terreno da disboscare perché i pendii alberati salivano così ripidi da sconsigliare i terrazzamenti, e poi togliendo la vegetazione si rischiava di far franare le montagne: così gli abitanti le hanno tenute a bosco generoso di nocciole, castagne, funghi, selvaggina. L’imprenditoria era antica virtù dei lombardi, un tempo svolta con metodi artigianali, ma quando s’impose l’industrializzazione l’ambiente conobbe inevitabili cambiamenti: e così, sulla costa i paesi si sono ingranditi in un compromesso tra sviluppo urbano e conservazione del paesaggio, mentre nei fondovalle dell’entroterra i prospetti stradali si sono affollati di bar, case, negozi, supermarket, capannoni che solo visti dall’alto rivelano le loro dimensioni. Eppure basta salire a mezzacosta per ritrovare i paesaggi e i ritmi di un tempo.

Da Laveno a Luino
Per chi arriva dall’autostrada, uscendo a Sesto Calende, il tragitto più rapido (ma attenzione al traffico nei giorni di maggiore affluenza) è la statale 394: in poco più di 25 chilometri si sfiorano i piccoli bacini di Comabbio e di Monate, si sale ancora fino a Besozzo e infine si giunge a Laveno. In fondo a due promontori, di cui quello settentrionale alto 80 metri senza considerare la torre del castello che fa da sentinella, questo è il miglior porto naturale del Lago Maggiore. Le sue origini, con insediamenti palafitticoli, risalgono al 3000 a.C.: più tardi i Romani gli diedero il nome, dal generale Labieno, insieme alla vicina Mombello ovvero mons belli, monte della battaglia, ma non lasciarono terme o teatri come d’abitudine. La posizione, con la piana e industriosa Valcuvia all’interno, ne ha favorito lo sviluppo; fra i motivi di attrazione turistica c’è il Sasso del Ferro, 1.062 metri di altezza a soli 2 chilometri dalla riva (soltanto la svizzera Locarno può vantare una simile posizione a metà tra acque e montagna). Dà un certo fastidio l’estesa presenza di ville sulle pendici del monte, ma non quanto una chiesa in falso stile antico la cui mole sovrasta fuori misura il delicato centro ottocentesco sul lungolago esposto a sud. L’imbarcadero è, con la dirimpettaia piemontese Intra, il più animato del lago, perché tra le due località il ferry corre ogni 20 minuti. Da Laveno la strada supera il promontorio e un vicolo porta al parco in cima al quale si leva il castello, dove nel 1859 si svolse una piccola battaglia persa da Garibaldi. La riva è alta e rocciosa, la strada a mezzacosta, talvolta rifatta in galleria per evitare faraglioni franosi. Quando ricominciano le ville si è in vista di Caldè con il suo porticciolo e, oltre il torrente, un ripido colle di pietra calcarea con la chiesetta santuario di Santa Veronica e i resti della rocca; sulla riva fornaci da calce e una di silice, del XVII secolo, per produrre vetro.
Siamo in comune di Castelveccana, dove ogni frazione ha la sua chiesa romanica: come San Pietro sulla costa, San Giorgio nell’interno. Il punto panoramico è Sant’Antonio sul Monte, che si raggiunge da Nasca percorrendo 4 chilometri di tornanti; altri 4 per la Strada Cadorna che sale da Arcumeggia e si è a San Michele, quota 822, da dove si scende in Val Travaglia. Dopo Porto Valtravaglia, che vanta la parrocchiale dell’Assunta dei secoli XII-XVI e l’oratorio di San Rocco, le strade sono due: una lungo la riva, più naturale, l’altra nell’interno, densa di abitati; nella località di Domo si osserva, tra i vari monumenti, un battistero ottagonale del IX secolo del quale si può auspicare il restauro.
La piccola metropoli della sponda lombarda è Luino, divisa da Germignaga dal fiume Tresa, breve e importante emissario del Lago di Lugano dove convergono dieci valli alpine. Per due terzi confine con la Svizzera, durante la Seconda Guerra Mondiale fu la via di fuga per ebrei ed altri esuli. A Germignaga il Tresa, superato da un bel ponte antico, riceve il Malgorabbia, che raccoglie a sua volta l’acqua di tre valli: la costa è dritta e a Luino il porto è creato da un’alta diga. Grandioso ma decadente il mercato del mercoledì, istituito da Carlo V nel 1541, tuttora frequentato dai ticinesi ma anche da clientela proveniente da più lontano. Altrettanto imponente la sottoutilizzata stazione ferroviaria del 1882 collocata su una linea derivata a Bellinzona da quella del Gottardo, che portava turisti sul lago, passeggeri e merci dall’Europa centrale e settentrionale fino al porto di Genova; ma le ferrovie svizzere e italiane insistettero su Milano, e qui ora transitano pochi treni regionali e merci ed è sorto il Museo Ferroviario del Verbano, con materiale rotabile, arredi e attrezzature a partire dagli anni ’30. Platani secolari si allineano in doppio filare sul lungolago; in quel tratto c’è la piccola chiesa quattrocentesca della Madonna del Carmine, dalla bella linea rinascimentale, ricca di affreschi coevi. La gloria pittorica locale, Bernardino Luini, ha lasciato un affresco nella vecchia parrocchiale di San Pietro, rifatta nel ‘600 mantenendo dipinti e campanile romanico del Mille. In centro bei palazzi del ‘700 e ‘800, la casa di Piero Chiara, il Municipio, il Museo Civico che espone minerali e materiali di scavo paleontologico e archeologico. Consigliabile prolungare la passeggiata salendo per le stradine dell’interno, ad esempio Via Manzoni.

Da Laveno in Valcuvia
Lasciando la costa il primo paese che si incontra è Cittiglio, patria del campione delle due ruote Alfredo Binda al quale è dedicato un piccolo museo.
Casalzuigno è noto per la Villa Della Porta Bozzolo (oggi di proprietà del FAI) costruita a cavallo tra ‘600 e ‘700, sontuosa per la decorazione del salone e il grande parco. La vista prospettica dalla strada – ora dentro il paese – riparte dal monumentale cancello; l’edificio è sulla sinistra, mentre sul fronte è stato creato un paesaggio di terrazze seguito da un pendio detto Il Teatro, con al culmine una fontana. Il viale sale dritto e ripido nel bosco: 120 metri più in alto le poche case di Aga e la chiesetta di San Bernardino del IX secolo, ampliata nel ‘500, con abside carolingia e un originale campaniletto triangolare, già torre di segnalazione romana e luogo celtico, con simboli del culto solare e menhir.All’inizio della strada per Arcumeggia, lungo il torrente Marianna dove si notano antichi mulini, si sale al primo “paese dipinto” d’Italia, che oggi ne conta una settantina. Qui si possono ammirare trentadue affreschi esterni, più la Via Crucis intorno alla chiesa protetta da teche; nella Casa del Pittore, altre ventidue opere ad olio e a tempera su tela, a carboncino e ad acquarello su cartone, firmate dai più bei nomi della pittura figurativa italiana della metà del XX secolo.
Il comune di Cuvio riempie il fondovalle con il Palazzo Litta Visconti del ‘600 e qualche fabbrica; Vergobbio, Canonica, Cuveglio sono le tre frazioni lungo la statale. A Canonica, l’alto campanile romanico della chiesa di San Lorenzo era un’altra torre di segnalazione romana. La valle ora torna verdeggiante e agricola: dopo un paio di chilometri si fronteggiano a sinistra le poche case di Cantevria e a destra Rancio, dove si trovano le opere dei pittori popolari della Valcuvia autori di motivi devozionali. Il paese, attraversato dal torrente Rancina che scende con cascatelle ed è scavalcato da piccoli ponti, ha conservato la struttura medioevale circolare, in pendio, e l’acciottolato delle stradine; i portici, i loggiati, qualche finestra mostrano gli archi acuti del gotico. Da Rancio si sale infine all’altopiano del Brinzio per una strada temuta dai ciclisti, che l’affrontano nel Giro di Lombardia e in altre gare di rilievo.

Da Laveno ad Angera
Due strade portano verso la sponda meridionale del lago: una costiera e una nell’interno, dove sorgono il piccolo centro di Mombello e qua e là borghi dall’aspetto dimesso, in contrasto con il benessere industriale e turistico; verso la costa si stende invece la torbiera, zona umida d’interesse naturalistico. Dal lago si nota uno dei forti austriaci sulla punta di Cerro quando il Lombardo-Veneto asburgico fronteggiava il Piemonte dei Savoia, culla dell’indipendenza italiana. Intorno il parco, la spiaggetta, il borgo con le case aggettanti sul lago, alberi fin sulla riva dove cresce il canneto. Il rinascimentale Palazzo Perabò, costruito nel ‘500 dai conti Guilizzoni e ingrandito un secolo dopo, presenta un grande cortile con portico e alto loggiato, archi a tutto sesto, volte a crociera, colonne e capitelli di ordine tuscanico (simile al dorico ma di derivazione etrusca); i saloni, dotati nel ‘700 di soffitti a cassettoni dipinti, ospitano la Civica Raccolta di Terraglia con la produzione delle varie fabbriche di Laveno dal 1856 al 1970, interessanti per lo studio del liberty e delle successive mode d’arte applicata. Sulla strada sorge un edificio in legno con due riquadri affrescati: è la Casa del Min, pescatore e traghettatore, noto personaggio del lago.
Sul borgo di Ceresolo si innalza un campanile romanico dell’XI secolo, raggiungibile con un viottolo che finisce sulla riva del lago in un ambiente silenzioso e suggestivo: è la chiesetta di San Defendente, originaria forse del IV secolo (di norma è chiusa, si deve cercare il parroco per ammirare gli affreschi del ‘400 e ‘500).
Si entra ora nel comune di Leggiuno, dove si erge la chiesa dei santi Primo e Feliciano del IX secolo, con robusto campanile dell’XI. Sulla facciata spicca l’ara funebre romana che Cesia Ortensia dedica all’amato coniuge Lucio Viro Viniciano; il portale gotico è incorniciato da due colonne con capitelli corinzi, mentre all’interno si ammirano la balaustra del presbiterio realizzata con un sarcofago romano, un affresco del 1488, una Natività con città turrita sullo sfondo e nell’abside un altro affresco del 1633 con Madonna e santi, opera di un allievo del pittore varesino Morazzone.L’eremo di Santa Caterina del Sasso Ballaro fu costruito a 18 metri sul livello del lago, ricavando spazio nella roccia e ampliandolo con ballatoi pensili. Il complesso, una suggestiva sequenza di ambienti aperti e chiusi, si raggiunge con 80 gradini dall’imbarcadero, dove d’estate fermano i battelli turistici; 267 sono invece gli scalini dalla spianata del parcheggio. Si scende in un ambiente naturale di verde rigoglioso e palme, che ricorda la Costiera Amalfitana, sino all’orticello dei frati: primo edificio è il convento meridionale, già alloggio dei pellegrini, con archi a tutto sesto leggeri e irregolari; nella sala capitolare una Crocifissione trecentesca di cui resta un gruppo di armigeri con corazze medioevali e maglie di ferro, insieme a un altro affresco del 1439 con Sant’Eligio vescovo e il beato eremita Alberto. Dopo un cortiletto, nel quale è installato un torchio da vino del 1759, segue il convento gotico del XIV secolo con cucina e forno, quindi il portico con resti di affreschi di una danza macabra del ‘600. Lo spazio si allarga davanti alla chiesa, che comprende un portico con affreschi del ‘500, affiancato dal basso e robusto campanile con bifore. La chiesa sembra unica, ma ha vari nomi e fasi di costruzione, di cui ci si rende conto solo guardandola dal lago: dall’ingresso si attraversano la chiesa di Santa Caterina del 1583 che conserva un bellissimo organo del ‘700 di scuola partenopea con cassa dorata e affreschi floreali, la trecentesca chiesa di San Nicolao e quella di Santa Maria, fino al sacello decorato di Santa Caterina.
Poco a sud di Arolo, tipico borgo lacustre con case alte e strade ripide, la costa torna piatta con spiagge sabbiose, canneti, boschetti fin sulla riva, campeggi (ma altri se ne trovano anche più a nord) e un cantiere navale. Nell’interno c’è Brebbia, capitale italiana della pipa, con la chiesa dei santi Pietro e Paolo la cui antichità romanica, nascosta dalla facciata seicentesca, si trova nella varietà cromatica della muratura dei fianchi e dell’abside; qui, come molto spesso in Lombardia, i campanili trasformati in epoca barocca hanno le tipiche ruote in ferro per agevolare lo scampanio.
Dopo la zona Le Sabbie d’Oro si alza ripido e boscoso, con i resti di un castello, il promontorio di Ispra, la città dell’Euratom. Da tempo l’impianto inquinante non è più in funzione: sono rimasti i centri di ricerca, mentre per il turista è interessante l’archeologia industriale. Sulla strada per Milano si trovano il mulino di Cassano, i resti di una cartiera e gli impianti per sfruttare il torrente Acqua Nera; lungo il lago è ancora attiva qualcuna delle fornaci che traevano la calce dalla roccia calcarea, inviata al capoluogo lombardo via Ticino e Naviglio.
In vista di Ranco, sulla spiaggia c’è l’enorme masso erratico chiamato Sasso Cavallaccio, mentre in paese sorge il Museo dei Trasporti Ogliari, la maggior raccolta privata del genere dai tram ai cavalli alle navicelle spaziali.
Il lago si protende ora verso la sponda piemontese con un ampio promontorio alla cui estremità si staglia la maestosa rocca di Angera, ultimo grande centro della sponda lombarda. Località romana con un antro dedicato a Mitra (ricchi reperti dell’epoca sono esposti nel Museo Civico), dal IX secolo fu base difensiva dell’Arcidiocesi di Milano con la grande torre di nord-est, nel ‘200 passò ai Visconti ed ebbe la palazzina residenziale e l’ala scaligera, nel 1449 passò infine ai Borromeo che in due secoli completarono lo schema a ferro di cavallo. Nella torre, la sala di giustizia con volte ogivali interessa per gli affreschi di inizio ‘300 con soggetti zodiacali, figure mostruose e bizzarre e la gloria dei Visconti; ma sono da visitare anche i due musei dedicati alla bambola e alla moda infantile, quest’ultimo una vera particolarità sul tema piuttosto insolito. La rocca guarda Angera parallela alla riva; al centro della profonda insenatura, l’Isolino Partegora offre un ambiente di canneti ideale per il birdwatching. In fondo al lago la corrente prende velocità nell’imbuto dell’estuario del Ticino, che scende verso il Po segnando fedelmente per un lungo tratto il confine tra Piemonte e Lombardia: ed è già Pianura Padana.

PleinAir 407 – giugno 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio