Dove si tocca

La maggior parte della vita marina ferve intorno alle coste, dove i raggi del sole riescono ad attraversare lo strato liquido favorendo la crescita delle alghe, habitat e nutrimento di innumerevoli specie. E perfino chi non sa nuotare può scoprire, con una semplice maschera, i segreti di questo mondo affascinante a pochi passi da spiagge e scogliere.

Indice dell'itinerario

Vi è mai capitato di entrare in acqua e trovarvi circondati da un nugolo di pesciolini, o magari di scoprire una palpitante stella marina su uno scoglio? Sono esperienze capaci di rendere emozionante anche la più banale delle giornate di vacanza, ma non dobbiamo limitarci a viverle solo per caso. Esplorare le acque basse, infatti, è molto più facile di quel che si creda: è sufficiente dotarsi di una maschera e non c’è neppure bisogno di saper nuotare, perché molte osservazioni si possono compiere nel raggio di pochi metri.
Che i pesci siano spaventati dalla presenza dei bagnanti, tanto per cominciare, è solo un luogo comune. La distanza di fuga è generalmente proporzionale alle dimensioni: una leccia di qualche chilo, per esempio, non si farà avvicinare a più di 5 metri (ne sanno qualcosa i sub che tentano la cattura in acque libere) e un sarago di mezzo chilo comincerà a fuggire a un paio di metri; ma lo stesso sarago, quando è piccolo, accetterà una vicinanza inferiore al mezzo metro, e questo vuol dire trovarselo di fronte come se fosse in un acquario, quasi disponibile a farsi toccare. Del resto i pesci piccoli, proverbialmente mangiati dai pesci grossi, tendono a rintanarsi sotto costa anche in pochi centimetri d’acqua, sapendo istintivamente di correre meno rischi dove il fondale è basso e i grandi predatori si sentono insicuri. E allora, approfittiamone. Per quanto in miniatura, in mezzo metro d’acqua c’è un universo da scoprire, davvero a disposizione di tutti.
Intanto è bene distinguere fra ambiente sabbioso e roccioso. Il primo è il più povero, poiché le specie di pesci che lo frequentano sono confidenti ma veloci. I più classici sono le mormore, riconoscibili per le striature verticali: di solito cercano il cibo sul fondo, come le triglie, e insieme a queste ultime approfittano dei nostri movimenti per venirci intorno ai piedi e frugare nella sabbia che abbiamo appena smosso. Più timidi i rombi e le sogliole: nella fase giovanile cercano rifugio in acque basse, ma è difficile vederli perché si mimetizzano alla perfezione con il fondale dove addirittura si seppelliscono, lasciando fuori solo gli occhietti. Ben più complessa la scogliera, vera oasi di salvezza che offre decine e decine di minuscole tane in cui i piccoli pesci possono trovare rifugio dai predatori. Non cerchiamoli però a caso ma, conoscendo le caratteristiche e le abitudini di ognuno, andiamo a scovarli a colpo sicuro.
Cominciamo dalle piante: le più comuni sono la posidonia e la caulerpa che formano distese verdi sui fondali, anche molto bassi; la prima ha foglie lunghe e sottili, la seconda foglie di una decina di centimetri o poco più. Lo spettacolo è quello di praterie sottomarine ma, per quanto vi possa sembrare strano, non vale la pena frugarci dentro, e non perché non ci sia vita ma perché è troppo nascosta per vederla. Al massimo può capitare di scorgere qualche lumaca di mare che si mimetizza sulle foglie, sperando di passare inosservata.
Le rocce circostanti, invece, saranno coperte da piccole alghe rossicce oppure da pallidi imbutini, ed è qui che si concentra la maggior parte della vita marina. Sollevare una pietra, anche in pochi centimetri d’acqua, significa spesso provocare un fuggi fuggi di piccoli gamberetti, lunghi 4 o 5 centimetri al massimo e completamente trasparenti, che si sistemano in acque bassissime poiché sanno di essere appetibili per molti pesci (fatto noto, purtroppo per loro, anche ai pescatori). Addirittura fuori dall’acqua si può trovare il granchio marito, che si concede qualche passeggiatina trattenendo un po’ di liquido nelle branchie in una sorta di apnea al contrario: il suo habitat d’elezione è però a pochi centimetri sotto il pelo dell’acqua, dove tiene d’occhio i due elementi fuggendo all’asciutto o immergendosi a seconda che a cacciarlo siano un polpo o un gabbiano.
In questa fascia si trovano anche le cozze, che spesso si accontentano dell’acqua portata dall’onda pur di rimanere fuori portata delle stelle marine, loro principali predatrici. Ma quando c’è l’alta marea i mitili non hanno scampo, e in questa circostanza è facile appunto vedere le stelle subito sotto la superficie, pronte a fuggire prima che il livello scenda di nuovo. Ce ne sono di due tipi: la comune stella rossa, riconoscibilissima, e la stella spinosa, altrettanto caratteristica ma di colore meno sfacciato, per cui passa generalmente inosservata.
Ad almeno mezzo metro di profondità può capitare di incontrare uno spirografo, un verme che vive in un tubicino rigido da cui estroflette una serie di tentacoli disposti a spirale. Poiché filtra l’acqua per mangiare si colloca nei punti di corrente, come una strettoia fra due massi, ben ancorato al fondo. Evitiamo però di toccarlo, è delicatissimo e ne soffrirebbe, così come non bisogna allungare le dita verso l’anemone di mare, composto da numerosi tentacoli grigio-marroni con la punta violetta: in questo caso saremmo noi a rimetterci, poiché sono leggermente urticanti.
E i pesci? I più comuni sono le bavose, con i loro tipici ciuffetti sulla testa: vivono anche in pochi centimetri d’acqua, sotto il sole cocente, e non sembrano risentirne. Simile d’aspetto ma ben più pericoloso è lo scorfano: facilissimo calpestarlo se ci si muove con poca accortezza sugli scogli, e il dolore provocato dal veleno che inietta con le spine dorsali è fortissimo (ma lo si allevia rapidamente immergendo la parte in acqua calda, poiché si tratta di una tossina termolabile). Fa parte dello stesso gruppo, cioè dei pesci che stazionano immobili sulle rocce, il peperoncino: rosso scarlatto o grigio a seconda del sesso, deve il suo nome al modo di muoversi, decisamente nervoso, ma è del tutto innocuo.
Piccoli banchi di occhiate, riconoscibili dalla macchia nera in prossimità della coda, oppure di salpe, dalle eleganti linee dorate longitudinali, non concederanno troppa confidenza; sono esemplari giovani che rimangono sotto costa solo finché hanno piccole dimensioni. Specie di tana sono invece lo sciarrano dalle linee rossicce, con una vistosa macchia bianca sull’addome, e la perchia, anch’essa dal dorso rigato: se ne stanno immobili in qualche anfratto, anche in mezzo metro d’acqua, ad aspettare qualche pesciolino di passaggio, e sono talmente voraci che è facile indurli ad avvicinarsi perfino con un anello di calamaro o un gamberetto sgusciato. Ancora più fiduciose sono le donzelle, in alcune regioni dette anche carabinieri per via della vistosa striscia rossa sul fianco dei maschi (in realtà si tratta di una specie ermafrodita): provate a nutrirle con frammenti di pesce, calamaro o gambero e, in capo a qualche giorno, arriveranno perfino a prendervi il cibo dalle mani. La donzella pavonia, forse il pesce più bello dei nostri mari, divide lo stesso ambiente della donzella comune ma è molto più timida e vive ad almeno un metro di profondità, cosicché non è facile vederla.
Dai colori smaglianti ma di aspetto assai buffo è invece il tordo, con la struttura tozza e i labbroni sporgenti, che fa molta assegnazione sul proprio scarso mimetismo: lo si nota senza troppa difficoltà, striato di verde, mentre si appoggia fra le alghe e si appiattisce contro la roccia, anche in pochi centimetri d’acqua. E’ talmente convinto di essere invisibile che a volte si arriva perfino a toccarlo prima che capisca che non l’ha data a bere a nessuno.
Occasionalmente è possibile incontrare piccole murene, di solito troppo giovani per essere pericolose, e polpi. Il polpo, anche di grosse dimensioni, tende in alcuni periodi dell’anno a portarsi sotto riva anche in poche decine di centimetri d’acqua, e trovarne uno è un divertimento assicurato: vi basterà avvicinarlo con lentezza e accarezzarlo sotto il mantello, all’attaccatura dei tentacoli, per farlo letteralmente giocare con voi. E tutto questo, non dimentichiamolo, senza nemmeno staccare i piedi dal fondo.

PleinAir 432-433 – luglio-agosto 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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