Dall'altra parte del mondo: Rarotonga, Aitutaki e Atiu

Un viaggio da sogno alla scoperta dell’arcipelago che deve il nome al navigatore britannico James Cook. Isole dove sentirsi ospiti e non turisti, stabilendo con i pochi abitanti e con la natura un rapporto davvero diretto. Come vuole lo spirito del pleinair

Indice dell'itinerario

«Cinque minuti e l’infezione se ne va». Non ha dubbi Doctor Pa, il medicine man di Rarotonga. Il rimedio per il mio bubbone è un peperoncino a scelta tra le varietà dell’isola – verde, rosso, giallo – spremuto sul polpaccio due volte al giorno. In realtà c’è voluta una settimana di antibiotici per debellare il problema. Ma che importa? Insieme a Pa, settantacinquenne scalzo e dai garretti d’acciaio, seminudo e con un buon numero di foglie di banana appese alla vita, ho attraversato l’isola a piedi per valli, boschi e colline. Mentre salivamo, con tutto quel verde di foreste intorno e il luccichio lontano del mare, Rarotonga sembrava un lembo di Jurassic Park alla deriva nel Pacifico. Il Cross Island Walk (due ore per chi è allenato, tre per chi se la prende comoda) taglia l’isola attraversando paesaggi primordiali. La prima parte procede in pianura tra prati e piantagioni, poi il sentiero sale ripido nel fitto della foresta fino a riemergere alla base del “Needle”, il Te Rua Manga (413 metri), la vetta più alta delle Cook da cui si domina un paesaggio spettacolare. La parte finale è una discesa nel folto della vegetazione fino alla Wigmore’s Waterfall, nella parte orientale dell’isola. Si tratta di una cascata con un salto di una ventina di metri; l’acqua si riversa con un suono sordo in una rinfrescante piscina naturale, un luogo ideale dove rilassarsi dopo il trekking tra i monti. Il Cross Island Walk si potrebbe anche percorrere da soli perché il sentiero è in gran parte visibile e il punto di inizio segnalato: da Avarua basta percorrere Ururau Drive per circa cinque chilometri fino alla partenza del trekking.

Rarotonga, un’abitazione dell’isola
Rarotonga, un’abitazione dell’isola

Ma occorre sapere che ci sono bivi dove il rischio di perdersi è alto: affidarsi a Pa è dunque la scelta migliore, anche perché s’imparano un sacco di cose interessanti. L’unico problema è stargli dietro. Nonostante l’età Pa procede agile come una scimmia. Sguscia tra palme e anfratti, sale con un minuscolo zainetto sulle spalle per il ripido sentiero che attraversa la foresta. È dura tenere il passo dell’uomo che usa erbe, piante e foglie per curare molte malattie. Per fortuna è buddista e ogni tanto si ferma per pregare e meditare. Altre volte invece si blocca all’improvviso per afferrare un fiore o una piantina decantandone le proprietà farmacologiche. «Questa serve contro il mal di stomaco, quest’altra è ottima contro le infezioni polmonari, quest’altra ancora è una barriera contro il cancro. Da me vengono anche gli astronauti» dice Pa una volta tornato a casa, intorno alla quale ha creato una sorta di ospedale formato da casette immerse nella vegetazione tropicale. Adesso se ne sta spaparanzato sul divano; insieme a lui c’è la moglie, ex cantante lirica e pittrice. I suoi grandi quadri ritraggono volti e paesaggi dell’isola e tappezzano le mura di un salotto ampio e luminoso. Non sono pochi gli studiosi o appassionati di farmacopea venuti qui a studiare i rimedi erboristici del medicine man che usa la foresta come una grande farmacia a cielo aperto.

Una delle vaste spiagge protette dalla barriera corallina sul lato sud-occidentale di Rarotonga
Una delle vaste spiagge protette dalla barriera corallina sul lato sud-occidentale di Rarotonga

Lontano, oltre i ciuffi di palme, luccica il mare delle Isole Cook, di un blu indaco sul filo dell’orizzonte, poi sempre più chiaro fino a divenire diafano come una piscina oltre la linea della barriera corallina. Oggi c’era un cagnolino che scodinzolava in mare tra due grandissime stelle marine blu. Bastano pochi giorni per capire che qui a Rarotonga i cortili di casa sono tranquille lagune dove le famiglie portano a passeggiare gli amici a quattro zampe. Sono rimasto per più di un’ora a crogiolarmi nell’acqua bassa e calda insieme, tra cetrioli di mare e pesci pappagallo, con il sole che galleggiava nel cielo terso, senza l’ombra di una nuvola. Non avevo tutta per me la striscia di sabbia bianca – della consistenza del borotalco – che s’allungava per chilometri, ma poco ci mancava: a un centinaio di metri da me c’era un gruppo di giovani e dalla parte opposta una donna che cercava alghe nella bassa marea. Nessun altro. Solo il rumore del mare e del vento fra le palme.

La fioritura di una pianta di Delonix Regia tra dicembre e gennaio
La fioritura di una pianta di Delonix Regia tra dicembre e gennaio

Un dicembre caldo e rilassante. La stagione in cui i lunghissimi rami dei grandi alberi di Delonix Regia vedono sbocciare cascate di fiori rossi. Se ne incontrano tanti in mezzo ai giardini o a gettare ombra sul ciglio della strada. E infatti una delle cose migliori da fare a Rarotonga è noleggiare un’auto o una moto e percorrere la bellissima strada asfaltata – 33 chilometri circa – che gira intorno all’isola. Incontrerete casette immerse in giardini tropicali, con il cimiterino di famiglia sepolto dai fiori a due passi dal mare, cosi vicino che ogni tanto persino le onde vengono a pregare sui defunti. E poi baie incontaminate e spiagge dalle acque trasparenti protette dal reef. È dura stilare una classifica delle più belle, ma non dovrei sbagliare di molto segnalando che dal Saltwater Cafe fino a poco prima del Rarotongan Beach Resort s’allunga un tratto di costa meravigliosa e poco frequentata. Da queste parti, una volta usciti dall’acqua, proprio sul ciglio della strada, avrete a disposizione anche una doccia per ripulirvi dalla salsedine.

Rarotonga, i colori dei fiori
Rarotonga, i colori dei fiori

Di nuovo on the road, incontrerete la vecchia chiesa cattolica di Arorangi, il campo di calcio dove fanno il tifo più palme che uomini e poi i resort costruiti nel rispetto della natura. Tutti, eccetto uno: l’immondo casermone che doveva diventare hotel di lusso e invece è rimasto una scatola vuota per la bancarotta fraudolenta di una cordata di italiani. È ancora al suo posto, nel sud dell’isola: una sorta di monumento all’idiozia.

Dalla strada costiera si dipartono le tsunami evacuation route. Sono le vie di fuga verso le colline in caso di allarme maremoto: stradine e sterrati che salgono per tranquilli paesaggi agresti, tra campi e piantagioni, soprattutto di taro e banane. Poi si torna sulla strada maestra, per fermarsi in una placida laguna a fissare gli orizzonti. Il luogo migliore dove rivolgere un pensiero agli uomini che per primi colonizzarono le Cook, sfidando l’oceano a bordo di piroghe poco più grandi di una vasca da bagno. Si può visitare una galleria d’arte, oziare in un chioschetto sorseggiando squisiti frullati di frutta tropicale o dedicarsi alle specialità culinarie in un ristorantino. Il Saltwater Cafe è stato distrutto da un incendio un anno fa ma è in ricostruzione e così potreste chiedere ai due gestori australiani, i coniugi Sue e Steve Walsh, com’è la vita di chi ha deciso di trasferirsi qui. La prima ha abbandonato un lavoro in banca mentre Steve, con la sicurezza di una pensione da ufficiale dell’aeronautica, deve aver letto sul Cook Island News l’annuncio del ministro dell’economia Mark Brown di raddoppiamento delle pensioni per gli isolani.

Rarotonga, l’artista Kay George all’opera nella sua bottega
Rarotonga, l’artista Kay George all’opera nella sua bottega

Lasciati Sue e Steve, riprendete a girare in tondo: finirete per tornare ad Avarua, sonnolenta capitale dell’arcipelago sulla costa nord, una fila di case, uffici e negozi tra il lungomare e le colline ricoperte di foreste. Oltre al National Museum di Victoria Road – che espone statue di divinità, vecchie foto in bianco e nero, canoe, utensili e oggetti di culto – in città troverete tutto ciò che serve all’uomo moderno, ammesso che qualcosa di materiale serva in un paradiso terreno: ufficio turistico, stazione degli autobus, punto internet con rivendita di carte telefoniche. Fate in modo di essere in città il sabato, quando vicino al porto va in scena il Punanga Nui Market, brulicante mercato mattutino dove accanto alle cucine di strada che sfornano economico cibo dei mari del sud ci sono banchi di frutta e verdura delle più svariate forme e colori, oggetti d’artigianato locale come l’ukulele (chitarrina tradizionale), le famose perle nere dell’atollo di Manihiki, conchiglie, statuette intagliate nel legno raffiguranti le divinità polinesiane. E poi tessuti, pareo e le fantasiose camicie locali che solo a vederle mettono di buonumore. A metà mattina si svolgono le danze tradizionali, alcune rappresentate dalle giovanissime della scuola di ballo locale.

Rarotonga, il protagonista di un’esibizione tribale al Te Vara Nui Village
Rarotonga, il protagonista di un’esibizione tribale al Te Vara Nui Village

Domenica, alle 10 e alle 17, è da non perdere la Messa alla Christian Church, la chiesa cattolica di Makea Tinirau Road. Ascolterete sermoni, inni sacri e canti religiosi circondati dai nativi vestiti a festa, alcuni con corone di fiori in testa e ghirlande al collo. Se arrivate un po’ prima, sedetevi sul muretto della chiesa per ammirare uno spettacolo in più: la “processione” degli incredibili cappellini indossati dalle donne che arrivano alla spicciolata.

Proprio di fronte alla chiesa si trova il Para O Tane. L’antico palazzo degli ariki, i capitribù, è una vecchia casa coloniale dal fascino decadente immersa in un parco con alberi giganti che vegliano sul cimitero e le antiche tombe. Non ci sono indicazioni ma il palazzo e il parco costituiscono un’area sacra accessibile solo al capotribù e ai familiari: osservatela dalla strada, senza entrare. A questo punto non resta che correre all’aeroporto per volare – basta meno di un’ora – in due isole lontane, entrambe magiche ma assai diverse tra loro: Aitutaki e Atiu.

Atollo corallino

L’incantevole atollo corallino di Aitutaki
L’incantevole atollo corallino di Aitutaki

Lo spettacolo comincia dall’alto, sul piccolo aereo che plana su una distesa marina dai colori irreali dove sembrano galleggiare ciuffi di palme e lunghi cordoni di sabbia bianchissima. È il mondo liquido di Aitutaki, isola circondata da una delle lagune più spettacolari del pianeta. Un universo indolente, pieno di gente tranquilla e gentile, dove non succede mai nulla se non qualche ciclone tropicale che ogni tanto spazza gli orizzonti.

Aitutaki
Aitutaki

Anche qui la cosa migliore è noleggiare un veicolo e vagare lungo la strada, per buona parte asfaltata, che raggiunge ogni angolo dell’isola. La prima tappa può essere Ootu Beach, a nord, semiluna di sabbia tra le palme con un mare cristallino. Camminate lungo l’incantevole baia fino al traghettino che in mezzo minuto attraversa i 20 metri del Canale della Luna Piena e approda all’isoletta di Akitua. È qui che sbarcò Ru, il re guerriero da cui gli abitanti credono di discendere: proveniva da Avaiki, la leggendaria terra dei primi polinesiani. Akitua è occupata dall’Aitutaki Lagoon Resort, assai frequentato dalle coppie in viaggio di nozze; si può comunque visitare liberamente l’isola registrandosi alla reception e pagando un modesto obolo se s’intende fare il bagno tra i riflessi blu della laguna.

Aitutaki
Aitutaki

Poi puntate verso sud incontrando – poco prima dell’Etu Moana Beach Villas – il sentiero che in 30 minuti porta alla vetta dell’isola, il Maunga Pu (124 m). Quindi la strada passa accanto al distributore di benzina con il piccolo market, sfiora il campo da rugby, gli scheletri di alcune case scoperchiate dai cicloni e infine arriva ad Arutanga, “caotico” capoluogo: sette o otto case, una stazione di polizia, un piccolo ospedale, un ufficio turistico, un mercatino alimentare accanto al molo e la chiesa cattolica del 1835. Da qui potete avventurarvi per le stradine dell’entroterra venendo a contatto con la sonnolenta vita locale. Continuando invece verso sud, la strada sale sulle colline e poi ridiscende diventando sterrata. Passato il porticciolo, deviate in salita lungo il secondo sterrato a sinistra salendo per alcune centinaia di metri nel fitto della vegetazione fino a incontrare sulla destra (non segnalato ma visibile dalla strada) il Marae Paengariki. Si tratta di un luogo sacro ancestrale, una sorta di Stonehenge in miniatura con le grosse pietre dove mille anni fa si tenevano sacrifici umani, cerimonie di guerra e riti di circoncisione. Il dono più bello dell’isola però è l’escursione marina (parte proprio dal vicino porticciolo) verso l’incredibile laguna di Aitutaki.

Nemmeno nei sogni più belli vi saranno apparsi simili, irreali panorami di sabbie borotalco, lagune trasparenti e atolli che sembrano emergere dal nulla! Vi immergerete in bassi fondali popolati di pesci tropicali dai colori sfavillanti: basterà agitare alcuni pezzetti di pane per attirarne a centinaia.

Ad Aitutaki si può curiosare intorno al relitto del DC3 reso celebre fra i locali perché utilizzato durante le riprese di un film neozelandese
Ad Aitutaki si può curiosare intorno al relitto del DC3 reso celebre fra i locali perché utilizzato durante le riprese di un film neozelandese

La meta, oltre all’isoletta di Honeymoon Island, è la paradisiaca One Foot Island, dove chi porta il passaporto può farsi stampare il visto dell’isola – un piede – dato che in questo atollo deserto c’è un ufficio postale. È proprio qui che approdò il pescatore tahitiano Tava’e Raioaoa detto Papa Ru dopo 118 giorni alla deriva nell’oceano. Uscì in mare il 15 marzo 2002, la sua barca si ruppe e in balia delle correnti fu trasportato per 1.200 km fino all’atollo. Arrivò completamente disidratato, pagaiando con le mani, oramai ridotto a un fascio d’ossa di 40 chili. La barca di quell’epica avventura si trova nel giardino di Nane Herman, quasi di fronte all’Etu Moana. Insieme a questa c’è anche il relitto del DC3 usato trent’anni fa come macchina del vento nel film neozelandese The Silent One. È la storia di Jonasi, un bambino sordo che sviluppa un particolarissimo linguaggio marino per comunicare con una tartaruga bianca.

Soli nell’oceano

L’incontaminata spiaggia di Taungaroro ad Atiu
L’incontaminata spiaggia di Taungaroro ad Atiu

Se Aitutaki è luminosa e solare, Atiu è un cuore di tenebra di forma circolare, piena di magia e mistero. Quando poi i rifornimenti che arrivano con i container via mare s’interrompono per mancanza di carburante o problemi climatici, il mistero cresce. Le sue 571 anime abitano il villaggio nella parte più elevata dell’isola, un agglomerato di casette con giardino sparse nella natura da cui partono gli sterrati che tagliano la fitta foresta fino alla spettacolare strada costiera, lunga una ventina di chilometri: uno percorso meraviglioso che per metà procede sotto l’esuberante vegetazione tropicale cresciuta sul makatea, piattaforma di corallo fossilizzato. Potete percorrerlo in moto, sempre in compagnia del mare, in circa un’ora e mezzo.

Ad Atiu si effettuano escursioni nella foresta in cerca di rarissime specie d’uccelli
Ad Atiu si effettuano escursioni nella foresta in cerca di rarissime specie d’uccelli

Ad Atiu non si viene per le spiagge ma spostandovi nell’isola incontrerete Oravaru Beach, dove il 3 aprile 1777 sbarcò il capitano Cook, e Taungaroro Beach, lunga striscia di sabbia bagnata da acque diafane. Ad Atiu i luoghi da visitare non mancano, ma non sono segnalati e si trovano immersi in aree remote nascoste dalla vegetazione dove è facile perdersi. Solo guidati potrete arrivare alla grotta di Anatakitaki (dove vive il rarissimo kopeka, uccello endemico che vola utilizzando il sonar), sprofondare nella Rima Rau Burial Cave (ci si cala sottoterra in una buca profonda tre metri dove appaiono inquietanti ossa e teschi di un remoto sito sepolcrale) oppure andare alla ricerca degli uccelli più interessanti e rari in compagnia dell’ornitologo George detto Birdman.

Il rito del tumunu in cui le persone si passano un bicchierino di cocco da cui bere la casalinga bush beer
Il rito del tumunu in cui le persone si passano un bicchierino di cocco da cui bere la casalinga bush beer

Per il resto l’unica mondanità di Atiu consiste nel partecipare al rito collettivo del tumunu, bevanda casalinga a base di luppolo, succo d’ananas, arancia e altro ancora, un tempo osteggiata dai missionari. Dopo aver “pescato” da un bidone con un guscio di cocco, l’intruglio dal sapore amarognolo passa di mano in mano in un gruppo variabile di persone sistemate in cerchio sotto una baracca. Per partecipare sborsando una cifra irrisoria chiedete a Roger, il titolare dell’Atiu Villas Resort: conosce ogni pietra di Atiu. Da lui è anche possibile noleggiare moto, organizzazione escursioni e incontri con artisti e artigiani. Un’ottima fonte di informazioni è anche la pittrice Jeanne Humphreys che abita nel delizioso ed economico bed&breakfast da lei gestito.

Atiu, la spettacolare grotta di Anatakitaki
Atiu, la spettacolare grotta di Anatakitaki

Di Atiu resterà nei vostri ricordi anche l’avviso affisso nella baracca dell’aeroporto, un campo dove i bagagli si vanno a prendere con la carriola: “Avviso ai passeggeri. Al momento di imbarcarvi siete pregati di consegnare al pilota bazooka AK47, granate, esplosivi e tutte le armi nucleari in vostro possesso. La direzione dell’aeroporto ringrazia per la collaborazione 

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