Dal mare ai monti

Seguiamo il corso del fiume Salinello, dal litorale adriatico di Giulianova alle impennate verdi della Laga. Per esplorare l'ambiente un po' appartato dell'Abruzzo teramano, ma anche per ripercorrerne l'intensa storia di confine.

Indice dell'itinerario

Dalla Giulianova d’oggi, cittadina dotata di una grande flotta peschereccia e ampi lidi, saliamo al centro storico, che sorveglia con distacco da una collinetta la scacchiera dell’abitato moderno. La cupola imponente di San Flaviano è il segno urbano saliente della vecchia Giulianova, che “nova” fu per il Giulio duca d’Atri che la fondò nel Quattrocento. Di quassù inizia il nostro itinerario, che tocca in breve Montone, appollaiato in cima a un’altura conica, lindo e silenzioso con il suo panorama circolare e la merlatura delle difese in mattoni erette nel Trecento. Nella chiesetta val la pena di ammirare il sarcofago gotico di un Bucciarello, vissuto sette secoli fa. La rampa entro l’abitato conduce a un buon punto di sosta. Mosciano Sant’Angelo è invece un esteso paese che trovò spazi e benessere nell’industria del mobile e dove si trova una salda torre gotica che risale ai tempi del ducato degli Acquaviva.
Ma tra Montone e Sant’Angelo c’è un altro luogo di antica memoria che essendo fuori dalle strade transitate non capiterebbe di trovare per caso. A metà fra Montone e Mosciano prestate attenzione a un piccolo segnale alla buona sulla sinistra che indica “convento”. Occorre inoltrarsi di circa tre chilometri prima di giungere al convento francescano, di impronta settecentesca, dei Sette Fratelli, con un piazzale sterrato adatto alla sosta anche di più mezzi. Della prima fondazione romanica rimangono segni nel campanile, e attenzione merita anche il piccolo chiostro con affreschi, edificanti scene sacre con didascalie in rima. Ma su e giù per le colline da Mosciano in poi non ci saranno che strade secondarie scarsamente frequentate a condurci, a volte tra le difficoltà di una scarsa segnaletica, alla meta essenziale del nostro itinerario.

Civitella del Tronto
Il Salinello, lungo la cui vallata ci addentriamo, rappresenta prima delle Marche l’ultimo dei corsi d’acqua che corrono interamente in territorio abruzzese. Ci stiamo muovendo lungo una delle più antiche e durature linee di confine entro l’Italia preunitaria: la stessa che nel dodicesimo secolo segnò la massima espansione verso nord del Regno Normanno rispetto al Sacro Romano Impero, e che avrebbe poi marcato per sette secoli il limite dei possedimenti di Angioini, Aragonesi e di tutte le altre dinastie che signoreggiarono nel Meridione. Nessuna meraviglia, dunque, che questa linea di confine fosse sorvegliata da una delle più imponenti opere militari della Penisola, la fortezza di Civitella del Tronto, stoltamente smantellata a furor di esplosivi quasi per vendetta alla lunga resistenza opposta tra 1860 e 1861 all’assedio piemontese. Una lunga opera di restauro l’ha finalmente riconsegnata ai visitatori, certamente meglio disposti del Regno d’Italia.
Alle soglie della cittadina lasciamo il mezzo nel parcheggio prossimo a Porta Napoli.
La grande struttura rinascimentale distende i suoi bastioni per una lunghezza di forse 500 metri, simile al cassero di una nave, su un’esile cresta che domina in ogni direzione la più ampia parte del Teramano. Si sale di terrazza in terrazza, di piazza d’armi in piazza d’armi, fino ai 650 metri del livello più elevato, dove si trovano in primo luogo la chiesa del forte e i resti della residenza del governatore. Ci spostiamo lungo la terrazza superiore che scandì per secoli i passi delle ronde ed eccoci a godere al suo termine, alti sul precipizio, la magnifica veduta verso ovest, dove lo sguardo incontra gli estremi contrafforti dei Monti della Laga, le cime gemelle della montagna di Campli e di quella dei Fiori, prossime ai 1800 metri e separate dalle forre selvagge del Salinello. Ma tornando per il camminamento centrale, ed essendo alto il sole, chiediamo a una piccola schiera di pini e lecci il piacere dell’ombra, poi passiamo attraverso gli antichi alloggiamenti, alcuni dei quali restaurati come museo per ospitare materiale e documenti sul vecchio forte.
Appena fuori Civitella s’impone una visita del vecchio convento di Santa Maria dei Lumi (altra possibilità di sosta per il camper), che per la favorevole posizione venne nei secoli regolarmente usato come base del comando degli assedianti. Ma c’è anche un altro edificio religioso, isolato su un’altura boscosa fronteggiante il lato più imprendibile della fortezza, che intreccia con questa la sua storia. E’ la bellissima abbazia di Santa Maria di Montesanto, fondata nel 542 da San Benedetto. Venne abbandonata dai religiosi già verso la fine del Quattrocento perché, dopo l’invenzione delle armi da fuoco, i nemici la consideravano un sito strategico per battere la fortezza, che rendeva naturalmente pan per focaccia. Per salire al complesso bisogna prendere la nazionale verso Ascoli e, dopo un restringimento tra due casolari, la prima svolta a destra ad angolo acuto (più prudente proseguire e fare conversione al bivio successivo). In alto c’è tutto il posto per girare, anche prima del cancello dell’abbazia che resta aperto per le auto solo durante le ore del giorno. Quel che ora ci attende è una serena immersione nella natura della Laga, tra i contrafforti e più avanti tra i boschi che insieme al Gran Sasso costituiscono il parco nazionale. Puntando verso Teramo, pochi chilometri dopo Civitella occorre prendere sulla destra il bivio per Garrufo, che si lascia subito alle spalle. Raggiunta una certa quota ritroviamo una vecchia conoscenza, il corso del Salinello, serrato in una profonda forra selvaggia e le cui gole costituiscono riserva naturale regionale. Tra la fauna della zona è annotata la presenza di predatori come il gheppio, lo sparviero, il falco pellegrino e la stessa aquila reale.
La strada penetra fra le due montagne gemelle che ammiravamo dal belvedere ovest della Fortezza di Civitella ma dopo il lungo snodarsi delle gole, in vista del villaggio di Macchia di Sole, si apre a nuovi panorami. Sulla sponda opposta del torrente, ma più in alto, si notano i ruderi imponenti del duecentesco Castel Manfrino, che ricordano la presenza in questi luoghi di Manfredi in lotta con gli Angioini per la riconquista del regno appartenuto a Federico di Svevia. Dove si sfiorano i resti del ponte dell’antica mulattiera ecco nuovamente, ma adesso a portata di mano, le limpide acque del Salinello. E’ il punto più favorevole per la piccola escursione che seguendo il corso del rio conduce, dopo qualche chilometro, a trovarne le fredde sorgenti. Poco oltre Macchia di Sole una strada bianca sulla sinistra offre la possibilità di una facile passeggiata al Piano Maggiore.La veduta si estende ai monti e ai territori della Laga ma subito si scende per alcuni chilometri di strada bianca verso il castello di Bonifacio, quindi al piccolo centro di Valle Castellana. Una comoda fontana si trova all’ingresso del paese.
Qui merita qualche attenzione la semplice chiesetta romanica al termine dell’abitato, col suo portale istoriato e all’interno alcuni grezzi affreschi del Cinquecento. Prima di risalire la valle in direzione di Paranesi e quindi del Ceppo, andiamo ad esplorare poco distante dal paese il lago di Talvacchia. Il blu e il verde di queste acque affondate tra groppe di fitta vegetazione derivano da una diga che ostruisce pochi chilometri più avanti il torrente Castellano. A parte i consueti cartelli che vietano la balneazione nei bacini idroelettrici, sono acque pulite e invitanti ma accessibili in un solo punto, accanto alla torretta in cemento subito prima di un ponte. Comunque le possibilità di sosta, modeste per le auto, diventano insufficienti per un camper.
Il Ceppo è un eccellente punto di partenza per escursioni anche impegnative tra i boschi e i monti della Laga. Da un piazzale con albergo (e una gelida fontanella) a quota 1340 parte una strada che termina a circa un chilometro accanto a un camping, anche segnalato ma mai entrato in funzione. Oltre questo punto non c’è posto che per le gambe. Attendono le magnifiche faggete e gli smisurati abeti bianchi del Bosco Martese ma anche il sentiero che, senza dislivelli proibitivi (possibile l’uso della mountain bike), conduce in due ore e mezzo alla cascata della Morricana. E c’è, più lunga e faticosa, l’escursione ai 2400 metri del Pizzo di Moscio.

Si chiude l’anello
Ripassando per il modesto borgo di Paranesi il nostro percorso torna ora ad affacciarsi a oriente, dove tra molte curve caliamo su Teramo. Si può evitare di passare per il centro urbano deviando sulla sinistra a Torricella Sicura, in modo da spuntare sulla Teramo-Ascoli. Campli sarà l’ultima meta dell’itinerario prima di tornare al mare di Giulianova.
Arrivando a Campli, per trovare un comodo e spazioso parcheggio occorre continuare fino all’estremità del centro storico, dove sbocca un asse urbano interamente adibito a zona pedonale. L’abitato sorprende per una peculiarità normalmente associata a zone più settentrionali del nostro paese, un diffuso impiego dei portici dal marcato sapore di Medioevo. Certo, la Piazza Vittorio Emanuele, orlata dagli archivolti del palazzo comunale, già Palazzo Farnese, avrebbe maggior fascino se la chiesa di Santa Maria in Platea non avesse rinunciato a fine Settecento al suo aspetto trecentesco in cambio di una facciata assolutamente anonima. Fu salvo per fortuna il bel campanile. Altri angoli del passato Campli conserva negli spazi interni, persino un’imitazione (con tanto di indulgenza) della Scala Santa di Roma. Buon gusto di un’altra epoca, per esempio, nell’arredo ottocentesco in noce che tappezza la farmacia Marozzi; e al numero 70 del corso, il grazioso chiostro in miniatura della cosiddetta “Casa del medico”, a lungo adibita a monacale ritiro.
Simili aspetti di qualità urbana il paese ereditò probabilmente anche dal suo secolo d’oro, il Cinquecento, allorché il feudo di Campli toccò in dote a Margherita d’Austria, figlia di Carlo V. La quale trasmise poi Campli e il suo territorio allo sposo Ottavio Farnese. Fu un periodo aureo anche per il benessere portato alla cittadina dall’attività conciaria e da quelle di cardatura e tintura delle lane.
Una “via della lana” la cittadina ebbe per i propri approvvigionamenti appunto nella strada di montagna che noi stessi abbiamo percorso per Macchia di Sole e Valle Castellana, allora protetta da fortilizi per la sua importanza anche economica. Ma prima di lasciare Campli, richiede una visita il bel museo archeologico nato dalla ristrutturazione di un vecchio monastero. I reperti che vi sono custoditi provengono da scavi effettuati nel vicino territorio di Campovalano.

PleinAir 321 – aprile 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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