D'inverno è un'altra cosa

Per gli intenditori del fondo, lunghi e spettacolari tracciati si snodano nel parco delle Foreste Casentinesi. Con tappe eccellenti di natura ma anche d'arte e di fede, come all'eremo di Camaldoli e nei borghi di collina.

Indice dell'itinerario

La neve trasforma il paesaggio al confine tra il Casentino e la Romagna. Gli abeti sono delle piramidi bianche, la faggeta è un unico arabesco candido, le tracce dei caprioli e dei cervi si dipanano alla ricerca del passaggio migliore tra i rami. Dai 1.658 metri del Monte Falco il panorama abbraccia la Pianura Padana e l’Amiata, i Sibillini e il profilo innevato delle Alpi; con un binocolo, se la giornata è limpida, si scoprono i campanili di Firenze.
L’eremo di Camaldoli, dove le celle dei monaci sono collegate da trincee aperte con un duro lavoro di pala, sembra quasi un presepe: i ghiaccioli pendono dai campanili della chiesa e dalla cella di San Romualdo, che fondò l’ordine nel 1012. Le due strade che arrivano dal fondovalle si percorrono solo con le catene; quando è innevata, quella che sale al crinale per scendere verso Badia Prataglia attraverso il Passo dei Fangacci è chiusa al traffico e può essere affrontata solo con le racchette o gli sci.
Altrettanto forte è la suggestione della Verna, il santuario voluto da San Francesco nel 1213 sul “crudo sasso tra Tevere e Arno” (Dante, Paradiso, Canto XI, vv. 106-108) che gli era stato donato dal conte Orlando da Chiusi. C’è neve sulla chiesa di Santa Maria degli Angeli e sulla Chiesa Maggiore, che ospita preziose terrecotte robbiane: per raggiungerla, la processione quotidiana dei frati percorre il Corridoio delle Stimmate, i segni che il santo ricevette nel settembre del 1224 nell’antro di Sasso Spicco, il cui accesso è impedito dal gelo.

Non solo natura
Attraversato dall’alto corso dell’Arno, il Casentino è stato per millenni un crocevia dell’Appennino. Gli Etruschi si servivano dei valichi verso la Romagna e veneravano – lo testimoniano il cosiddetto Lago degli Idoli e il santuario di Pieve Socana – la selva del Falterona e il fiume. Nel Medioevo, oltre che luogo di fede, questo territorio divenne campo di battaglia (i Guelfi di Firenze e i Ghibellini di Arezzo si scontrarono nel 1289 a Campaldino) e fonte di legname pregiato. Gli abeti di Camaldoli, infatti, furono impiegati nella fabbrica del Duomo e del Palazzo della Signoria di Firenze, e sono stati utilizzati per secoli nella costruzione delle navi da guerra di Pisa: trascinati dai buoi lungo la pista della Bordonaia fino a Stia, i tronchi proseguivano il viaggio lungo le acque dell’Arno sino a Firenze e al Tirreno. Il trasporto dei più alti (anche 33 metri), che servivano per gli alberi maestri delle galeazze, era un’avventura di mesi.
Sono stati proprio i monaci di Camaldoli, nel Medioevo, a occuparsi dei boschi. “Abbiano i padri dell’Eremo cura e diligenza che i boschi e le abetaie non siano diminuite in niun modo, ma allargate con nuove piantagioni. Chi farà tagliare alcun albero verde senza licenza del Priore riceverà penitenza” recitano le Costituzioni Camaldolesi dettate da San Romualdo poco dopo l’anno Mille.Ancora molto sfruttate sino a quarant’anni fa, dal 1959 le Foreste Casentinesi sono state protette da una rete di riserve naturali statali (quella di Sassofratino è stata la prima a tutela integrale d’Italia), sostituite nel 1993 da un magnifico parco nazionale. Oltre alla vegetazione e alle acque, l’area protetta tutela il lupo, il cervo e il capriolo, l’aquila reale e il muflone; quando la neve si scioglie compaiono rarità botaniche come la tozzia alpina, il botton d’oro e varie specie di sassifraghe.
Proprio grazie al parco, negli ultimi anni migliaia di visitatori hanno potuto scoprire boschi e animali, centri storici e abbazie, sentieri e castelli. Sempre maggiore attenzione, com’è giusto, è stata riservata alla gastronomia tradizionale dove un ruolo fondamentale viene svolto dai funghi, dal formaggio e dal miele, ma anche zuppe e tortelli godono di una fama meritata; sono stati così salvati dall’estinzione il raviggiolo (formaggio fresco che si conserva per non più di cinque giorni) e antiche varietà di frutta come la mela ruggine, la mela cipolla e la pera cocomero. Iniziative della Comunità Montana del Casentino, della Pro Loco di Cetica e di alcuni imprenditori hanno invece portato alla riscoperta della patata rossa di Cetica, del fagiolo di Quota e del maiale casentinese (incrocio tra la mora romagnola e la cinta senese).

Fondo d’autore
Come altre zone dell’Appennino, le Foreste Casentinesi ricevono gran parte dei turisti durante l’estate. Anche l’inverno, però, è ricchissimo di attrattive paesaggistiche e motivi di vacanza: le perturbazioni che arrivano dall’Adriatico spesso favoriscono un ottimo innevamento, nonostante le quote relativamente modeste.
Chi ama lo sci di pista deve puntare al Passo della Calla, accanto al quale i pendii del Monte Falco e i dintorni del rifugio La Burraia ospitano una piccola stazione invernale. Se la neve fosse poca o dura, il classico girovagare appenninico con ramponi e piccozza offre ai più esperti splendidi itinerari. Dove il bosco è più ripido e fitto si può giocare a fare gli esploratori con le ciaspole.
Ma è lo sci da fondo a riservare le emozioni migliori: quando sono innevate, le decine di chilometri di carrarecce che zigzagano nella grande foresta offrono una vastissima scelta di percorsi di tutte le lunghezze e di ogni impegno. Alle brevi e suggestive passeggiate intorno all’eremo di Camaldoli, al Passo della Calla e a Campigna si affiancano lunghe e impegnative traversate sul crinale. Il percorso tra la Calla e Camaldoli, in particolare, è un’autentica grande course sugli sci da fondo, al margine della foresta di Sassofratino: prolungandola verso Badia Prataglia e San Godenzo si delinea una suggestiva alta via di ambientazione quasi nordica.
Quando la neve è abbondante – e gli ultimi due inverni sono stati straordinari – il versante romagnolo offre percorsi diversi. Intorno ai 1.000 metri di quota si possono percorrere, sempre con gli sci ai piedi, le carrarecce che si snodano tra crinali e calanchi e raggiungono i borghi abbandonati di San Paolo in Alpe e Pietrapazza, regalando straordinari panorami sulla foresta e sul crinale.
“Dal viale dei tigli io guardavo accendersi una stella solitaria sullo sprone alpino, e la selva antichissima addensare l’ombra e i profondi fruscii del silenzio. Dalla cresta acuta nel cielo, sopra il mistero assopito della selva, io scorsi andando la vecchia amica luna che sorgeva in nuova veste rossa di fumi e di rame”. Così, nei suoi Canti Orfici, il poeta Dino Campana ha raccontato nel 1910 le magie della foresta di Campigna che aveva attraversato a piedi: e l’inverno, stagione magica per eccellenza, rende questo fascino ancora più vero.

PleinAir 390 – gennaio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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