L'entroterra della Bulgaria in camper, passo dopo passo

Otto anni dopo la prima esplorazione, PleinAir torna in Bulgaria con un ampio itinerario che ne attraversa le regioni centro-occidentali. L'ingresso nell'Unione Europea e la modernizzazione in atto stanno cambiando il volto del paese, cerniera culturale fra due continenti: andiamo dunque a scoprirne la varietà dei paesaggi, le complesse vicende storiche, le emergenze monumentali a volte inattese, la genuinità dell'ambiente rurale e montano in un viaggio che fa del pleinair un momento di vera scoperta di una terra e di un popolo. Come ai vecchi tempi.

Indice dell'itinerario

Una strada rinnovata, di buon fondo e abbastanza varia risale verso nord la valle dello Struma, che incide le colline bulgare dalle quali il fiume scende in Grecia per versarsi poi nell’Egeo. E’ la stessa direttrice che le legioni dell’Urbe risalirono agli inizi del I secolo a.C. per addentrarsi nell’odierna Bulgaria, divenuta così per secoli parte dell’impero romano, ed è l’arteria che dovrà percorrere chi scelga di arrivare da Igoumenitsa sino alla frontiera di Kùlata, disponendo delle autostrade elleniche ultimate di recente.
L’ingresso nel paese non richiede particolari formalità: l’esibizione dei documenti, la richiesta di aprire la porta dell’abitacolo per una rapida occhiata all’interno del camper, l’acquisto della vignetta per circolare sulle strade a pedaggio. Sono forse questi i primi positivi segnali dell’ingresso nell’Unione Europea, avvenuto nel 2007, che ci fanno ben sperare per la realizzazione del nostro itinerario: d’altro canto la modernizzazione della Bulgaria è ormai avviata e, nonostante le profonde tracce lasciate dalle dittature del XX secolo, questa storica cerniera tra Asia ed Europa è una destinazione turistica fra le più interessanti per il viaggiatore dotato di buona autonomia e che stia cercando nuove occasioni di pleinair nel Vecchio Continente. Non tutto ovviamente è privo di difficoltà, a cominciare dalla lingua e dalle infrastrutture ancora in via di formazione, ma questo comporta altresì una scarsa pressione turistica, certamente destinata ad aumentare nei prossimi anni. Il nostro itinerario, che abbiamo studiato per un approccio in grado di fornirci un ritratto sufficientemente completo del paese, si sviluppa nelle regioni occidentali e centrali con l’intento di sfruttare al meglio il tempo che abbiamo a disposizione: dovendo scegliere, abbiamo deciso di rimandare a una seconda puntata l’area orientale e le coste del Mar Nero, per non correre il rischio di vedere troppo poco e troppo in fretta. E’ infatti nostra abitudine, in Italia o all’estero, centellinare la visita dei luoghi per poter apprezzare l’incontro con la gente, informarci su storie e leggende locali, cercare curiosità che un rapido passaggio non permette di scoprire.

La valle dello Struma
Dal confine bastano una trentina di chilometri per raggiungere la nostra prima tappa, Melnik, posta lungo una deviazione della statale 1 o E79. Le caratteristiche case sorgono sui due versanti di una valletta, attraversata da un torrente e circondata da pareti d’arenaria che mostrano pittoresche erosioni. Il lato sinistro è un susseguirsi di botteghe nelle quali dominano le etichette dei rinomati vini locali, la cui produzione diede agiatezza agli abitanti fra il ‘700 e l’800: lo dimostrano i numerosi edifici in stile il più importante dei quali, appartenuto al mercante di vini Kordopulov, è aperto alle visite e possiede un salone d’angolo con ben ventiquattro finestre su due livelli. Per la sosta notturna scegliamo una strada nel lato opposto, meno frequentata e nei pressi di una fontanella.
Proseguendo verso il non lontano villaggio di Rozen, lo superiamo e imbocchiamo una strada a corsia unica che in meno di un chilometro conduce al Rozenski Manastir, oggi abitato da due monaci. Fondato nel XIII secolo, con aggiunte posteriori e recenti restauri, merita una visita per la pace dell’ambiente, il rustico cortile acciottolato, i notevoli affreschi, le icone e gli intagli in legno.
Ridiscesi sulla strada principale raggiungiamo Sandanski dove, secondo una leggenda, sarebbe nato Spartaco, il trace fatto schiavo che nel 73 a.C. capeggiò la famosa rivolta dei diecimila gladiatori contro Roma, stroncata nel sangue due anni dopo: lo ricorda una grande e moderna statua di evidente stile sovietico che domina un incrocio all’uscita dell’abitato. Percorse per una quindicina di chilometri le gole di Kresna, a Simitli svoltiamo sulla statale 19 in direzione di Bansko, di nuovo sulle montagne a circa 1.000 metri di quota: la cittadina, meta di soggiorno perlopiù invernale alle falde del Pirin, è tutta un cantiere edile per rispondere alla crescente richiesta turistica. Mille metri più in alto, dopo 10 chilometri di asfalto dissestato con buche profonde e difficilmente evitabili, siamo premiati da un simpatico ristoro gestito da un gruppo di giovani, nelle cui vicinanze scegliamo di pernottare. La carrabile prosegue brevemente sino a un rifugio da cui partono alcuni sentieri escursionistici.
Dopo la discesa a valle, necessariamente molto cauta, si continua sulla E79 fino all’altezza di Kocerinovo, dove un’altra deviazione conduce al Rilski Manastir. Celebre sito di pellegrinaggio che rappresenta pienamente la tradizione spirituale e patriottica della Bulgaria, fu fondato nel X secolo dall’anacoreta Ivan Rilski a poca distanza dalla sede attuale e qui ricostruito nel XIV secolo, poi nuovamente nell’800 grazie alla partecipazione economica di tutto il paese. La posizione a 1.100 metri oltre il gomito di una valle verdissima e ricca d’acque, l’ampia cerchia degli edifici che disegnano un’alta muraglia, la severa torre di guardia trecentesca, il bianco e nero di celle e foresteria a contrasto con il vivo cromatismo degli affreschi esterni, gli splendori figurativi della chiesa dell’Assunzione: tutto ciò rende il monastero uno fra i complessi religiosi più attraenti dell’intero paese.
Tornati sullo Struma, a Bobosevo prendiamo verso sinistra la statale 160 che segue il fiume e lo costeggiamo fino a Kyustendil. La città nacque sull’insediamento termale romano di Pautalia, vicino ai cui resti sorge un moderno stabilimento, ma sono evidenti anche le testimonianze della lunga dominazione turca che durò dalla fine del ‘300 al 1878: un bagno a cupola dal cui rubinetto esterno si può attingere acqua a 70°C, la cinquecentesca torre Pirkova, una moschea in stato di abbandono sul corso principale e una seconda più piccola ed elegante adibita a museo storico. Accompagnati da un gentile poliziotto che parla inglese scopriamo infine, al limitare del bosco sul colle di Hissarluka, le mura di una fortificazione romana del IV-V secolo, con ben quattordici torri, che dovette avere funzioni civili e militari.
Riguadagnata la statale 1 a Dupnitsa, pochi chilometri più a nord di dove l’avevamo lasciata per seguire lo Struma, prendiamo ora la 62 per una quarantina di chilometri fino all’importante quadrivio di Samokov. La secondaria 6206 per Govedartsi e l’area montana di Maljovica offre alcune belle vedute d’altopiano, terminando fra abetaie con albergo e relativo parcheggio che può essere utilizzato come base per le escursioni verso la cima, a 2.730 metri (circa 6 ore di cammino per un migliaio di metri di dislivello), ma tutta la zona è disseminata di laghetti d’alta quota facilmente raggiungibili.
Tornati al bivio di Beli Iskar, superiamo una panoramica sella prima di scendere ai 1.300 metri di Borovec, stazione turistica frequentata per gli sport invernali mentre d’estate rimane un luogo piuttosto tranquillo. Dalla stazione delle telecabine, con parcheggio, si sale ai 2.350 metri di Yastrebets per una bella veduta complessiva sul Musala, che con i suoi 2.925 metri è la massima cima della Bulgaria e si può raggiungere anche per sentiero, agevole nella prima parte, lungo il quale è possibile far tappa presso un rifugio.

La verde capitale
La statale 82 che congiunge Samokov a Sofija segue il corso del principale fiume bulgaro, l’Iskar, che nasce dai monti del Rila per poi confluire nel Danubio. Giunti a una sorta di raccordo che circonda per intero la capitale, lo imbocchiamo in senso orario per visitare la chiesa di Boiana, subito esterna all’anello e distante dal centro una decina di chilometri. L’importanza del complesso si deve agli affreschi del 1259 di autore ignoto, che attenuano la rigida iconografia bizantina dei volti con una più moderna espressività. L’adiacente museo storico custodisce oltre mezzo milione di pezzi fra cui il tesoro di Panagjuriste, in oro finemente lavorato.
La città, che conta quasi un milione e mezzo di abitanti, ci colpisce subito per l’inattesa abbondanza di parchi e spazi verdi. Per visitare il centro a piedi lasciamo il camper nel parcheggio a pagamento circostante la chiesa monumentale di Aleksandr Nevskij, simbolo di Sofija: eretta fra l’800 e il ‘900 in memoria del condottiero russo che nel XIII secolo sconfisse gli svedesi, per poi darsi a vita monastica ed essere onorato come santo ortodosso, conserva nella cripta la magnifica collezione di icone. In un angolo della piazza sorge la minore ma ben più antica chiesa di Santa Sofija, che diede il nome alla città. Imboccando la vicina Osboditel si stagliano le guglie lucenti della chiesa russa, cui segue sulla destra l’ex palazzo reale neobarocco che ospita il museo etnografico e quello nazionale d’arte, mentre nella piazza Battenberg il museo archeologico occupa un’antica moschea. A mezzogiorno, di fronte alla residenza del capo dello Stato, assistiamo al cambio della guardia che veste una curiosa uniforme storica; varcando l’ingresso del vasto cortile interno, una piccola lapide in francese ci informa che abbiamo di fronte i resti di un edificio pubblico romano trasformato in tempio cristiano nel V secolo. Accanto si trova la chiesa di San Giorgio detta la Rotonda, del IV secolo.
In pochi passi raggiungiamo ora la piazza Nezavisimost, con la chiesa di Santa Nedelja al cui interno scopriamo una sorta di camino, usuale nelle chiese ortodosse, destinato ad espellere i fumi dei ceri votivi per scongiurare l‘annerimento delle pareti. Nelle vicinanze c’è molto altro da vedere, come ad esempio la minuscola Santa Petka dei Sellai, costruita per volontà di una corporazione locale ai tempi in cui le disposizioni ottomane vietavano di erigere edifici di culto cristiano più alti di un uomo a cavallo, mentre a nord, oltre un incrocio, la grande moschea Banja Basi è tuttora in uso. L’incrocio stesso è sovrastato dall’angelo di Sofija, la cui colonna quasi vent’anni fa sorreggeva una stella rossa, pendant al dominante palazzo con torre di stile staliniano che fu casa del Partito Comunista. A non molta distanza ci si può concedere una piacevole pausa musicale nei caffè accanto al teatro nazionale Ivan Vazov, dove nei pomeriggi estivi la banda suona le più familiari fantasie del repertorio internazionale.

Verso il Danubio
Il nostro itinerario si inserisce ora nella valle dell’Iskar, percorsa dall’interessante e pittoresca strada 16. I villaggi dai tetti rossi disseminati sui pendii formano un gradevole quadro d’insieme, e nella seconda metà del tragitto si presentano a più riprese caratteristiche gole rocciose. Il traffico è assai ridotto rispetto all’alternativa delle grandi vie di comunicazione (prima la A2, poi la E79) che passano per la città di Botevgrad; questa scelta inoltre ci concede una sosta in riva al fiume al Cerepiski Manastir, dotato di un’importante biblioteca, e al quale si arriva per una deviazione di 500 metri poco prima del villaggio di Lyutibrod. Poco più avanti, ripresa la E79, dopo Vratsa non riusciremo a trovare il monastero Ivan Pusti, nonostante le segnalazioni.
A Montana, già Mihailovgrad, lasciamo di nuovo la statale per la quasi parallela strada 102, che si sviluppa all’interno in direzione di Belogradcik, toccando con una piccola digressione il Ciprovci Manastir: intermezzo tutto sommato deludente, specie per il vistoso raddoppio della foresteria. Avvicinandosi a Belogradcik, si rimarrà stupiti dalla varietà delle formazioni erosive che negli ultimi 200 milioni di anni in questa zona di arenarie. Nell’ambiente di grandi massi rossastri si staglia la fortezza turca e prima ancora romana, dove un camper può entrare nell’abitato e salire fino alla porta che si apre nelle mura; guadagnato il punto più elevato, si gode di una superba veduta sulla cittadina e sul paesaggio che la circonda. Circa 25 chilometri di strade segnalate conducono al villaggio di Rabisha e, nei pressi del vicino lago, alla Grotta di Magura, con parcheggio. La cavità presenta sale molto ampie e numerose concrezioni, nonché graffiti e disegni preistorici, forse con funzione rituale, risalenti a 5.000 anni fa. Con Vidin accostiamo finalmente il Danubio, dove i traghetti che fanno la spola con la rumena Calafat attendono di essere sostituiti da un ponte in costruzione. Merita un’occhiata l’imponente cattedrale ottocentesca di San Demetrio, ma il sito più interessante si trova poco più a nord accanto al fiume: qui i Romani eressero il fortilizio di Bononia, mentre il volto attuale del complesso di Baba Vida, ai margini di un parco, è quello voluto dai Turchi nei cinquecento anni del loro dominio. Torri e muraglie sono circondate da un profondo fossato che veniva riempito dall’acqua del Danubio.
Dalla fortezza, spostandosi verso sud lungo il parco, si incontra una sinagoga in stato di abbandono; più avanti si fronteggiano la chiesa ortodossa di San Nicola e la moschea di Pasvantoglu. Tra fine ‘700 e inizi ‘800 Osman Pasvantoglu sottrasse Vidin al controllo della Sublime Porta, sconfiggendo più volte in battaglia le truppe inviate contro di lui: intendeva aiutare quanti erano vessati dal dominio ottomano, per i quali si adoperò a modernizzare città e provincia, e grazie a lui fiorirono i commerci in un porto che divenne punto d’incontro di diverse nazionalità. Ciò spiega come mai, osservando la piccola moschea, si veda brillare in cima al minareto il profilo del cuore con cui Pasvantoglu sostituì l’abituale simbolo della mezzaluna. Un luogo adatto al pernottamento è la piazzetta dell’hotel Bononia, poco lontana dalla vasta piazza Bdinci, area pedonale in cui campeggia l’obelisco di una delle guerre balcaniche combattute dalla Bulgaria a cavallo dei due secoli scorsi.

Dai Romani alla Rinascenza
Per 500 chilometri il Danubio segna il confine con la Romania, e la strada litoranea 11 che procede verso est sembra fatta per assaporare il gusto della solitudine, presentandosi talvolta semispopolati anche i rari villaggi. Passando sul ponte del villaggio di Archar e ricordando che qui sorgeva l’importante base fluviale militare della romana Ratiaria, chiediamo notizie ai passanti ma senza grande successo; ne troveremo invece alcuni resti presso il museo della vicina località portuale di Lom, accompagnati sul posto da un gentile tassista e guidati nella visita dalla curatrice della raccolta.
Ora il percorso si allontana dal Danubio e, dopo aver scavalcato l’affluente Cibrica, sale con decisione e continua sui lunghi rettilinei di un altopiano agricolo. Dall’alto si riconosce il piccolo abitato di Dolni Tsibar, del quale spiccano i casolari a pianta quadrata con tetto a quattro spioventi e camino semicentrale, tipici dell’etnia slava che a partire dal VII secolo prevalse su quelle insediatesi in precedenza nei territori a sud del Danubio. A Kozloduy è invece ancora in funzione una centrale nucleare con obsoleti reattori di produzione sovietica che il governo si era impegnato con l’Unione Europea a chiudere entro il 2006.
Una deviazione di un’ottantina di chilometri sulle statali 15 e 13 conduce a Pleven, dove nel 1877 si svolse una sanguinosa e decisiva battaglia tra le forze turche del pascià Osman e quelle russe del generale Skobelev impegnate nella liberazione del paese. Il forte sentimento patriottico che impregna la cultura bulgara ha riempito la città di decine di monumenti legati a quei fatti, il più suggestivo dei quali si trova in cima al parco Skobelev, ben raggiungibile con il mezzo: un alto edificio di forma circolare contiene una rappresentazione pittorica a 360 gradi che offe la concreta sensazione di trovarsi al centro degli eventi.
Con la strada 35 arriviamo a Lovech dove, a monte dell’area pedonale, collega le due sponde dell’Osam un ponte coperto progettato nell’800, ricostruito in seguito a un incendio del 1925 e bordato di negozi d’ogni genere. Il Varosha, ovvero il centro storico, è composto da edifici ottocenteschi alcuni del quali adibiti a museo, mentre sulla collina si levano i resti della fortezza medioevale Hissar. Continuando verso sud il tracciato tende lentamente a salire e le pendici dei rilievi a coprirsi di boschi. Dopo una curva a gomito, seguita dall’indicazione per il villaggio di Loments, occorre rallentare perché 500 metri più avanti si rischia di farsi sfuggire la minuscola tabella che segnala il breve sterrato per Sostra, uno dei castra romani sulla Via Traiana, della quale resta un piccolo tratto insieme alla porta pretoria e a una torretta circolare del fortilizio, definitivamente distrutto dagli Unni nel V secolo. Antichi reperti affiorati dagli scavi del sito sono conservati al museo dell’artigianato di Trojan, nel cui centro piuttosto trafficato conviene entrare a piedi. Poco prima della cittadina una deviazione attraverso il villaggio di Oreshak porta al Trojanski Manastir, dove la chiesa della Sveta Bogoroditsa mostra sulle mura esterne gli affreschi del famoso pittore Zahari Zograf: davvero insolita la raffigurazione in gruppo delle monache della comunità su una parete del refettorio.
Siamo prossimi all’attraversamento della catena dei Balcani, la Stara Planina, dal quale ci divide un dislivello di 1.100 metri in un panorama verdeggiante. La discesa sul più spoglio versante sud conduce a Kamare, dove imbocchiamo la strada 6 e poi, affrontando il più piccolo gruppo montuoso della Sredna Gora, la 606 fino a Koprivstica. Un ampio spazio per la sosta si trova presso le prime case del paese, situato fra cime rivestite di conifere che offrono numerose possibilità di escursioni: ma il richiamo principale sono i numerosi edifici nello stile detto Rinascenza, affermatosi in Bulgaria tra il ‘700 e l’800, che hanno valso al sito il titolo di patrimonio dell’umanità e si possono visitare con una guida facendone richiesta all’ufficio turistico.
Dopo Strelcha deviamo sulla 6061 per Starosel, dove è ben segnalata la strada che conduce ai resti di un tempietto tracio del IV secolo scoperto di recente, al quale viene attribuita notevole rilevanza archeologica. Adiacente ad Hisarja si può invece ammirare ciò che rimane di Diocletianopolis, città murata della fine del IV secolo: oltre 2 chilometri del perimetro di mura alte fino a 10 metri e la grandiosa porta sud.

Giro di boa
Presa la 64 verso nord fino a Karlovo ci immettiamo di nuovo sulla 6 in direzione di Kazanlak, attraversando una delle più floride realtà produttive del paese: si tratta del comprensorio noto come Rozova Dolina, la valle delle rose, che merita la visita in particolare a giugno e luglio per ammirare una fioritura divenuta un’importante risorsa economica. Nel caso si arrivi in un altro periodo, giunti in città bisognerà accontentarsi del museo delle rose, che è anche uno dei punti vendita dei vari estratti. Non ci sono stagioni, invece, per visitare poco fuori dell’abitato una grandiosa testimonianza del mondo tracio datata fra il IV e il III secolo a.C. e oggi entrata nelle liste dell’Unesco: si tratta di un ambiente funerario composto da un corridoio decorato con scene di combattimento, che conduce a uno spazio circolare con volta a campana istoriata da altre pitture. Le figure centrali sono una coppia principesca assisa a un banchetto funerario, e poi uomini e donne che recano doni, due suonatrici, cavalli alla briglia e cavalieri in corsa sui loro cocchi, il fluire della vita e il momento dell’addio. Un vero capolavoro dell’arte ellenistica, degno di un sovrano quale fu probabilmente il personaggio rappresentato.
Trentacinque chilometri a sud-est, Stara Zagora è il punto più orientale del nostro percorso e anche il giro di boa per imboccare la via del ritorno. La città fu ricostruita a fine ‘800, dopo la guerra di liberazione, ad opera di un architetto cecoslovacco che impostò un piacevole impianto urbano di ariose strade rettilinee. Poco invece rimane dell’Augusta Traiana del II secolo oltre i reperti del museo storico, così come a Chirpan che attraversiamo lungo la strada 66 (ma per un tratto si potrebbe seguire l’autostrada, che corre quasi parallela) per raggiungere Plovdiv. Parcheggiato il veicolo in centro, iniziamo la visita dal parco e dal grande albergo Trimontium, antistante un foro romano popolato da erbacce. Attraverso la frequentatissima zona pedonale che conduce alla parte più interessante della città vecchia arriviamo alla cinquecentesca moschea Diumaya, di fronte alla quale si trovano i resti semisotterranei dello stadio romano; un dedalo di stradine prosegue nel cuore del nucleo antico che include case della Rinascenza, caffè e ristoranti panoramici, musei, gallerie d’arte, diverse chiese e il magnifico teatro romano del II secolo. Nella stessa zona il museo etnografico va segnalato anche per la bella dimora barocca che lo ospita. Una curiosità: nativo del posto, sebbene cresciuto in Italia, è Moni Ovadia, l’artista di multiforme ingegno che tanti apprezzano come regista, attore, scrittore e compositore.
Procedendo in direzione sud, appena oltre Asenovgrad si svolta verso il monte arrivando in un paio di chilometri alle rovine di una fortezza del ‘200, con l’annessa chiesa della Madonna di Petrich arroccata su uno spuntone roccioso. Poco lontano è il millenario Backovski Manastir, con grande varietà di affreschi di differenti epoche: i più antichi mostrano riferimenti bizantini ma anche siriaci, armeni e georgiani, mentre sono della metà del ‘600 i ritratti di personaggi pagani come Aristotele, Aristofane, Sofocle, Diogene e dell’800 una curiosa pittura nella chiesa di San Nicola, in cui l’artista collocò tra le fiamme dell’inferno i notabili di Plovdiv colpevoli di non aver voluto aprire nella città una scuola bulgara.
Tornati a Plovdiv, percorriamo poco meno di 40 chilometri sulla statale 8 o E80 fino a Pazardzhik, città con un animato centro pedonale e la chiesa di Theotokos che conserva notevolissimi esemplari di icone. Da qui iniziamo la risalita delle montagne del sud, che avevamo visitato sul versante opposto all’andata: 150 chilometri sulla strada 84, di un certo impegno nel tratto fra Velingrad e Cherna Mesta per il tipico andamento montano, poi più agevoli verso Razlog e Simitli, dove ritroviamo la valle dello Struma. Da qui non resta che ridiscendere verso la frontiera di Kùlata e la Grecia, che riattraverseremo diretti all’imbarco di Igoumenitsa. A conti fatti, l’esperienza si è rivelata interessante quanto speravamo e ci ha dato l’occasione di rivivere appieno l’abitar viaggiando come lo si praticava in passato, quando la ricerca dei luoghi e delle soste era una vera e propria esplorazione: un ricordo complessivamente piacevole, e senz’altro uno stimolo a tornare.

Testo e foto di Franco Patini

PleinAir 443 – Giugno 2009

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