Corsi... e ricorsi

In riva all'Adriatico marchigiano e sui primi colli dell'entroterra, i Carnevali di Fano e di Cartoceto non costringono a una difficile scelta: il primo si svolge infatti nel periodo canonico, il secondo nel bel mezzo della Quaresima. Due occasioni per scoprire non solo le tradizioni festive di quest'angolo del Pesarese, ma anche una deliziosa cittadina marinara di fondazione romana e un borgo storico celebre per il suo ottimo olio extravergine.

Indice dell'itinerario

Parte da lontano, almeno dal 1347, la storia del Carnevale di Fano. Tra i più antichi d’Italia, vanta dunque una tradizione di quasi sette secoli, o forse anche di più: le sue origini si intrecciano con il racconto di un fatto avvenuto quasi un secolo prima, ovvero la riconciliazione tra le due più importanti famiglie fanesi di allora, i guelfi del Cassero e i ghibellini da Carignano (citati da Dante nell’Inferno e nel Purgatorio). Ma la prima data certa è attestata da un raro documento contabile redatto su pergamena e custodito nella sezione cittadina dell’Archivio di Stato. E’ l’economo del tempo, un tal Polo “figliole de Cicole de Messer Piero del Gatto”, ad aver annotato nella lingua volgare dell’epoca le spese contabili per il “giucho de charnevale”, specificando che “dj III de março dey pagay a Der Chiccho da Gayfa mercatante per VII bracia de panno scarlatino e uno bracio de panno reale per lo palio de carnevale” (questa volta riportato senza la h).

E’ la prova che già a quel tempo Fano celebrava questa grande festa di popolo, come evidenzia lo storico locale Alberto Berardi, presidente della Federazione Italiana Carnevali. «Da allora – spiega – sono innumerevoli i documenti e gli atti storici che testimoniano i riti carnascialeschi in questa città. Tra i più interessanti lo statuto emanato nel 1450 dai Malatesti, a quell’epoca signori di Fano, in cui si legge il loro fermo ordine “che ogni anno nella domenica carnisprivi si corra un palio con premi”. I vincitori festeggiavano lanciando offelle al miele agli spettatori». Facile riconoscere in questa usanza le origini del getto, fra gli eventi più attesi del Carnevale fanese: un auspicio di fertilità e prosperità, oggi rievocato dalla più recente tradizione di lanciare dalle balconate dei quattro carri allegorici ben 160 quintali di dolciumi tra caramelle e cioccolatini. La manna piove dal cielo mandando in visibilio il pubblico assiepato lungo Viale Antonio Gramsci, mentre migliaia di ombrelli si aprono e vengono tenuti capovolti sulla testa per cercare di raccogliere i golosi omaggi.

Come i parapioggia, anche i ruoli sociali sono rovesciati: per una settimana i potenti vengono privati dell’autorità ed è il popolo a dettar legge. La particolarità di Fano – nota anche per il titolo di città dei bambini, con tanto di consiglio che si riunisce ogni mese in un apposito laboratorio e, una volta all’anno, siede in Comune – sta nel fatto che il comando spetta soprattutto ai più piccoli. E’ a loro che Dario Fo, direttore artistico delle edizioni 2003 e 2004, riservò ampio spazio scrivendo una sceneggiatura per eventi e spettacoli da ambientare fra centro storico e lungomare. Quei testi erano ispirati al mito e alla storia della città, la Fanum Fortunæ romana, e vale la pena approfondire l’argomento con una visita alla sezione archeologica del Museo Civico: la collezione include una statua acefala della dea Fortuna risalente alla prima età imperiale, da cui deriva il nome della città.

Satira itinerante

Dai primi anni del ‘900 il Carnevale di Fano ha assunto una formula più codificata, con gruppi mascherati e pupi in cartapesta montati su carri trainati da buoi lungo Corso Giacomo Matteotti, principale asse viario del centro storico che in parte ricalca l’antico cardo maximus. Ad aprire le sfilate è sempre il Vulòn, figura burlesca intesa come colui che si vanta e che pretende: il curioso appellativo è una storpiatura dell’espressione francese nous voulons (noi vogliamo, stabiliamo), incipit di ogni proclama emesso durante il dominio napoleonico su questa parte dello Stato Pontificio. E quale momento migliore del Carnevale per sbeffeggiare l’arroganza delle truppe occupanti?

Dagli anni ’50 la sfilata si svolge appena fuori dal perimetro delle mura cittadine, avanzando tra due ali di folla (nei tre weekend interessati la manifestazione richiama circa 120.000 spettatori) lungo il percorso tra Viale Gramsci e il cosiddetto Pincio, dominato dall’Arco d’Augusto e dal quattrocentesco Bastione del Nuti. Il corso mascherato è il trionfo della satira politica, ma anche un ambito privilegiato per le denunce sociali che trovano sfogo nell’arte dei maestri carristi, artefici di questi piccoli teatri su ruote alla cui costruzione dedicano ogni anno quattro mesi di intenso lavoro. Le tecniche ancora oggi adottate, pur con gli ovvi ammodernamenti, hanno radici lontane e si riallacciano anche ai rivoluzionari principi di Giacomo Torelli, un illustre fanese che fu scenotecnico alla corte del Re Sole.

Ma quella capacità di modellare la materia per creare figure d’ogni genere, con un’attenzione maniacale per dettagli e movimenti meccanici, è soprattutto figlia dei maestri d’ascia e calafati che qui, sulle rive dell’Adriatico, davano forma alle chiglie dei pescherecci vibrando pochi precisi colpi. Il quartier generale dell’allestimento, una sorta di cittadella dei carri allegorici, si trova all’ingresso meridionale della città e rientra fra i percorsi di visita turistici: all’interno di capannoni alti più di 12 metri prendono forma le fantasie di questi artisti, molti dei quali sono docenti della locale Scuola della Cartapesta. L’oneroso impegno necessario a progettare e a realizzare le composizioni otterrà il dovuto apprezzamento, ma solo per le poche ore dei cortei: tre sfilate e poi tutto verrà assorbito dall’austerità della Quaresima.

In attesa delle lunghe settimane di penitenza che precedono la Pasqua, colonna sonora della festa sono le ironiche melodie e i ritmi scatenati della Musica Arabita (cioè arrabbiata), che nacque nel 1923 come risposta sociale all’incolmabile distanza dai salotti della Fano benestante: si trattava di una banda strampalata ed eterogenea che si esibiva utilizzando gli strumenti più bizzarri e facilmente reperibili, come pentole, barattoli di latta, campanacci, bottiglie. Una “festosa diavoleria”, come disse lo scrittore fanese Fabio Tombari, “un pinzimonio musicale che deve la sua origine alla spontanea genialità di questa terra con il suo estro marino burlesco e giocondo”. E da quasi novant’anni i suoni della Musica Arabita accompagnano Carnevale dell’Adriatico, allegra e spensierata coda della sfilata dei carri.

Si arriva infine al Martedì Grasso quando c’è un ultimo rito da compiere: condannare al rogo il Vulòn, capro espiatorio della settimana di eccessi. Il boia dà fuoco alla catasta di legna in Piazza XX Settembre e tutti i peccati vanno rapidamente in fumo. Il popolo è salvo, la magia del Carnevale pure.

Campagne in maschera

Città dell’olio e dell’oliva: così è conosciuto il borgo di Cartoceto, immerso fra colline tappezzate di oliveti e cuore della produzione olearia locale, unica a denominazione d’origine protetta nelle Marche. I mesi cruciali per la raccolta e la molitura sono ottobre e novembre, quando i frantoi della zona accolgono giorno e notte migliaia di cassette ricolme e le vie del paese sono invase dall’inebriante profumo dell’olio nuovo. Ma la fama di Cartoceto si deve anche al suo Carnevale di Mezza Quaresima, festoso appuntamento che per due domeniche consecutive spezza l’austerità che precede la Pasqua. Non per caso l’omaggio destinato alla folla è rappresentato dalle uova di cioccolato, lanciate in quantità dai carri allegorici realizzati da associazioni e gruppi spontanei che rappresentano il Comune di Cartoceto, le frazioni di Lucrezia, Sant’Anna, Ripalta, Pozzuolo e Pontemurello e anche la località di Calcinelli, che fa parte del vicino Comune di Saltara.

Diversamente da Fano, da cui Cartoceto dista poco meno di 20 chilometri lungo la Via Flaminia, le origini del Carnevale di Mezza Quaresima non sono pienamente accertate. La tradizione più recente risale agli anni ’60 in occasione del Carnevale dei Bambini che, preso in gestione dalla Pro Loco, da una quindicina d’anni è un appuntamento fisso del calendario cittadino. Sulle sue origini, però, continuano a confrontarsi storici e antropologi: una delle ipotesi più accreditate, considerata anche la vicinanza con la Romagna, avvalora il legame con riti del Medioevo quali il rogo delle streghe e la festa della Segavecchia. In questa zona delle Marche il rito era conosciuto semplicemente come “la Vecchia” e veniva celebrato proprio a metà del periodo quaresimale, come allegoria dell’inverno che lascia il posto alla primavera, alla fertilità e all’abbondanza di frutti; un’usanza sulla quale si è innestato l’elemento originale del lancio di uova pasquali, anch’esse simbolo di vita e di prosperità.

Sono decine di migliaia i visitatori e i turisti che partecipano alle due domeniche carnevalesche: la prima, molto suggestiva perché ha come scenario Piazza Garibaldi, vera bomboniera del borgo medioevale di Cartoceto, è vissuta attorno ai carri fermi tra la folla. La seconda domenica prevede invece la sfilata lungo un percorso di un chilometro sui viali di Lucrezia, la zona residenziale e artigianale. A fianco di mascherate e carri, ispirati alla satira politica o di pura fantasia, ci sono gruppi folkloristici, spettacoli d’animazione per bambini e una ricca lotteria collegata al biglietto per accedere alla manifestazione. In prossimità del tragitto l’organizzazione allestisce aree di sosta per i turisti itineranti, che partecipano sempre in gran numero a questo Carnevale primaverile.

Nei giorni della festa le piazze del borgo storico e della parte nuova si riempiono di gente che vuole divertirsi, mettere da parte per qualche ora il tran tran quotidiano e magari lasciarsi andare a qualche ballo di gruppo insieme agli instancabili ragazzi dell’animazione. Un po’ di movimento, del resto, è necessario per smaltire le calorie dei tipici dolciumi carnevaleschi, esposti come gioielli sulle bancarelle e ai quali non si può davvero rinunciare: ci sono i taralli, le ciambelle bollite, passate al forno e zuccherate con il caramello, le castagnole nelle varianti con panna, anice o alchermes, le immancabili chiacchiere con zucchero a velo e, per chi proprio non vuol fare a meno del salato, la pizza al formaggio, una sorta di morbida cupola al sapore di pecorino. Oppure, più semplicemente, si possono gustare le bruschette condite con l’ottimo olio di Cartoceto, simbolo della genuinità di un territorio in cui l’abitar viaggiando è considerato un valore: tanto che, parola del sindaco, è già stata individuata un’area da attrezzare con i necessari servizi. Meglio di così…

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