Corsa all'argento

In Val Cenis, nel parco francese della Vanoise, le escursioni con i cani da slitta sono un'attività praticabile da tutti grazie a una scuola che insegna come rivivere le mitiche imprese dei personaggi di Jack London. A Valloire, invece, la stagione invernale apre le porte all'arte con un festival di argentee sculture di ghiaccio realizzate da artisti di tutto il mondo.

Indice dell'itinerario

Negli ultimi anni la stagione sciistica ha non di rado risentito delle scarse precipitazioni nevose, ed ecco svilupparsi in numerose località turistiche montane, specialmente nella fascia alpina, una serie di attività alternative che si possono svolgere anche quando l’innevamento non è sufficiente a soddisfare i patiti delle piste. Ormai anche a due passi da casa è possibile divertirsi en plein air con le più varie discipline invernali, magari nate per altri scopi e oggi trasformate in sport: è il caso dello sleddog, ovvero l’escursionismo a bordo di slitte trainate dai cani. Si tratta di una pratica particolarmente popolare nella regione francese della Maurienne, in Savoia, facilmente raggiungibile dall’Italia mediante il tunnel del Fréjus: ed è proprio qui (anche grazie alla presenza di comodi campeggi in cui approdare con il v.r.) che abbiamo deciso di sperimentare lo sleddog scoprendo, durante il nostro soggiorno, che da queste parti la neve e il ghiaccio sono gli ingredienti fondamentali di un’altra iniziativa, questa volta in chiave artistica e culturale.

Avventure in slitta
La Val Cenis si trova subito al di là del Colle del Moncenisio, uno dei passi di collegamento più importanti tra Francia e Italia prima che venisse aperto il traforo del Fréjus. Non per caso il territorio, conteso a più riprese nella storia europea, vanta la presenza di vecchie strade militari e numerosi rifugi, che hanno favorito lo sviluppo del trekking e del turismo naturalistico in genere. Ma qui sono popolari soprattutto le escursioni nel bianco in compagnia dei fedeli cani a fare da motore, e il motivo è presto detto: Lanslebourg-Mont-Cenis, una delle cittadine principali della valle, è una tappa della Grande Odyssée, la maratona internazionale dei traiteurs de chiens che si svolge in gennaio (quest’anno dal 6 al 16). Inevitabile per il pubblico rimanere contagiato dal fascino di questo sport, e chi decide di provare non dovrà far altro che rivolgersi alla locale scuola di sleddog: grazie a brevi corsi intensivi, si impara in poco tempo ad emulare gli eroi dell’epopea nordamericana raccontata da Jack London.
E’ stato appunto dopo diverse esperienze in Canada e in Alaska che alcuni istruttori nazionali di questa disciplina hanno deciso di creare il centro Husky Adventure, una struttura didattica e turistica al tempo stesso, con un allevamento di una cinquantina di cani. Nel folto programma delle iniziative troviamo uscite di più giorni con escursioni anche sulle racchette da neve, gite di una giornata, seminari e corsi introduttivi e di approfondimento, compresa una classe speciale dedicata ai giovanissimi. Dopo la teoria, si passa alla pratica con le lezioni che si svolgono sull’altopiano fra Lanslebourg e Bessans, un piccolo villaggio alpino che, insieme al vicino paese di Bonneval, rappresenta la memoria storica dell’alta valle, in un contesto architettonico che sa trasmettere tutta la magia delle cose antiche.
Al mattino, quando il sole raggiunge il fondovalle, i cani escono dal tender per sgranchirsi le zampe, gettandosi sulla neve fra latrati e guaiti di gioia. Sono nati per correre, ci spiega una delle guide, e quando capiscono che è giunto il momento diventano impazienti, abbaiando verso l’orizzonte e i campi innevati mentre il vento accarezza la loro folta pelliccia. I novizi dello sleddog iniziano subito ad accarezzare e ad abbracciare i cani, ma vengono redarguiti dagli istruttori che consigliano di mantenere un parziale distacco, in modo da poter poi comandare e gestire al meglio il gruppo dei pelosi corridori.
Il corso base inizia da spettatore trasportato, e chi non ha mai avuto occasione di provare si troverà coinvolto già dopo pochi metri in un’esperienza strana ed emozionante. Di primo acchito sembrerà quasi di approfittare troppo della disponibilità di questi splendidi cani dagli occhi azzurri, ma spingendo la slitta si scopre che i pattini scivolano senza sforzo sulla neve e che il traino è ben ripartito sull’intera muta, chiedendo a ciascun animale un impegno davvero modesto.
Verificate le attrezzature e controllati i freni, giunge il momento della partenza. I cani iniziano a tirare la lunga corda alla quale è legata la slitta, bloccata a terra da un ancorotto piantato nella neve, e non appena la guida sgancia il freno prendiamo subito velocità. Sono i cani più robusti e prossimi al veicolo a fornire la trazione principale; risalendo la fila si giunge al capo del branco, che esegue gli ordini del conduttore pilotando con la sua corsa l’intero gruppo e mantenendolo unito. I comandi dell’istruttore sono ordini secchi che, oltre alla direzione, contengono suoni e parole di incitamento e di incoraggiamento.
La neve gelata sostiene la slitta e il terreno pianeggiante non stanca la muta, anzi, trotterellando spediti i cani sembrano proprio divertirsi. Chi invece si affatica, almeno ad osservare a quello che succede, è il conduttore che bilancia il peso nelle curve, si sgola a gridare le indicazioni, sale e scende dalla slitta correndo qua e là per aiutare i cani nei tratti di falsopiano o aziona il freno per decelerare nelle discese ed evitare che i pattini finiscano sulle zampe degli animali.
La giornata e la prima lezione trascorrono guardando e ascoltando la guida, per imparare quando salire e scendere dalla slitta e quando ordinare al capobranco di cambiare direzione. Nel secondo livello del corso si inizia a condurre, ma non ad impartire gli ordini: è infatti sempre l’istruttore, collocato in testa al convoglio con la propria slitta, a guidare la seconda muta che segue passo passo la prima. Ai partecipanti viene inoltre spiegato come rallentare con il freno, come equilibrare il peso in curva e soprattutto in che modo correre cercando di rimanere aggrappati alle maniglie posteriori. Errore gravissimo abbandonare la slitta: si rischia di non raggiungerla più perché i cani, lasciati a sé stessi, si lancerebbero in una velocissima galoppata senza più alcuna possibilità di recuperarli.
A fine giornata, soddisfatti ma praticamente stremati, capiamo per quale motivo all’atto della iscrizione sia titolo obbligatorio trovarsi in una discreta forma fisica. Del resto, una volta compresi i meccanismi che regolano il movimento e le tempistiche di utilizzo dei propri muscoli, lo sforzo e il conseguente affaticamento si riducono di molto (come avviene ad esempio nel nuoto, nello sci, nel tennis). All’inizio, invece, gli unici ad ansimare e a sudare sono i neofiti, mentre i cani a fine corsa appaiono freschi e riposati, accucciati sulla neve con il muso appoggiato sulle zampe e una sorta di ghigno divertito che sembra quasi voler prendere benevolmente in giro gli aspiranti traiteur.
Il terzo grado del corso è ovviamente il più difficile ma anche il più appassionante, perché abbiamo finalmente la possibilità di condurre davvero la slitta e la muta. Questa è inoltre l’occasione per effettuare una delle uscite giornaliere o un trekking di più giorni, con bivacco e pernottamento in rifugio o in tenda a seconda del luogo, dell’altitudine e del tempo meteorologico. Mappa, bussola e slitta carica di zaino, tenda e cibo per gli uomini e i cani, si parte in diversi gruppi percorrendo strade, alpeggi e prati innevati: l’escursione diventa ben presto una piacevole e inconsueta avventura dove si mette a frutto quello che si é imparato durante il corso, ma soprattutto si partecipa in prima persona a una divertente ed energetica giornata alternativa allo sci, evitando la folla degli impianti di risalita e immergendosi nei boschi della Val Cenis, fino a raggiungere lo spettacolare passo del Colle del Moncenisio.

L’arte che si scioglie

Proseguendo verso il ramo occidentale della valle si giunge a Saint-Michel-de-Maurienne e da qui, dopo una quindicina di chilometri su una strada tortuosa ma ben percorribile, alla stazione sciistica di Valloire: siamo a 1.430 metri di quota nella vallata che conduce al Col du Galibier, uno dei passi resi celebri dal Tour de France. Decine di impianti sciistici e 150 chilometri di piste d’ogni livello attendono gli appassionati dello sci, ma questa è anche la sede di un raduno internazionale di scultori e artisti del ghiaccio e della neve che si tiene anch’esso in gennaio (quest’anno dal 17 al 20 e dal 22 al 25). Alain Lovato, presidente della giuria ed egli stesso autore di opere monumentali, presidente del centro culturale e di formazione Maison des Arts Plastique Rhône-Alpes di Lione, spiega il motivo per cui questi materiali sono l’ideale per l’espressione artistica. In particolare il ghiaccio con la sua consistenza simile al vetro, la facilità di lavorazione e, al tempo stesso, l’effimera durata (che dipende ovviamente dalle condizioni ambientali, dalla temperatura e dal clima in generale) rende la scultura un momento di creatività unico per l’artista, oltre a da vita a un’opera irripetibile e destinata inevitabilmente a scomparire. Valloire è l’unica località turistica in Francia a organizzare un evento del genere, grazie alle particolari condizioni ambientali della valle del Galibier che gode di un clima particolarmente stabile, con favorevoli condizioni di umidità e temperature invernali prossime allo zero, cioè non troppo fredde né troppo calde, agevolando la lavorazione e mantenendo il ghiaccio solido e compatto.
Nato in Canada, l’ice carving si è via via diffuso in tutti i paesi con clima nordico ed è per questo motivo che alla manifestazione partecipano artisti delle più diverse nazionalità, che si ritrovano ogni anno nel piazzale di Les Verneys, un piccolo borgo a 2 chilometri da Valloire, per confrontarsi in una gara della durata di tre giorni: due sere per costruire e una per ammirare i risultati di tanta appassionata fatica, che si dissolverà goccia dopo goccia.
La giuria adotta sostanzialmente tre criteri per giudicare le opere: la tecnica adoperata per scavare, scolpire, sciogliere, levigare e saldare il ghiaccio, il grado e l’abilità artistica nel modellare volti, mani, corpi o forme di fantasia e la capacità dell’artista nel seguire e sfruttare le particolarità, le venature, la brillantezza e le opacità del ghiaccio, perché anch’esso, come il legno o il marmo, ha le sue venature e saperle evidenziare e integrare nella scultura accresce il pregio dell’opera.
Il concorso ha inizio con la consegna agli artisti di grandi parallelepipedi del gelido materiale. Non importa quale attrezzatura si adopera per dar forma alla propria creatività, e se attrezzi come scalpelli, martelli, trapani e frese ci appaiono più usuali, senz’altro inconsueti sono altri utensili come ferri da stiro e macchinette per generare vapore; c’è poi chi lavora a mano libera e chi utilizza forme di compensato sagomate per abbozzare le parti più impegnative. La prima fase consiste nel realizzare un solido basamento di neve compatta, bagnata e pressata in modo da costituire il piedistallo sopra il quale sarà collocata la scultura. Davanti a ogni postazione (lo scorso anno erano ben quattordici gli artisti presenti) un cartello espone il bozzetto dell’opera, e ad osservare i complessi disegni sembra incredibile che si possa ottenere un tale risultato in due sole giornate.
Al calar del sole il freddo si fa intenso e gli artisti si mettono alacremente al lavoro fresando, segando, lisciando il fragile e trasparente materiale. Durante il secondo giorno le opere abbozzate vengono coperte e protette da teli termici riflettenti, che preservano le sculture dai raggi solari e dall’innalzamento della temperatura; poi, verso il tramonto, l’attività ricomincia ponendo rimedio a qualche piccolo danno e aggiungendo nuove parti per completare il lavoro. Il terzo giorno si danno gli ultimi ritocchi a merletti, profili di volti femminili, sfere e cubi perfetti che si compongono in architetture surreali, elaborati giochi visivi come la figura di un uomo scavata in un unico blocco o soggetti ancora più curiosi come una vasca da bagno con dentro una trasparente figura umana. Ora spetta alla giuria e al pubblico visionare le creazioni degli artisti, in un’atmosfera gioiosa dove tutti, scultori compresi, si congratulano e rimangono spesso stupiti del risultato. Si passa da un’opera all’altra, se ne apprezzano le caratteristiche, si indicano i particolari più interessanti e quasi ci si dimentica che in poche ore, di tutto questo, rimarrà solo una larga pozzanghera. Il giorno successivo, infatti, senza la protezione dei teli termici le sculture iniziano lentamente a dissolversi al sole: ma a chi ha partecipato e assistito alla manifestazione resta il ricordo del lavoro e delle affascinanti, effimere creazioni dei maestri del ghiaccio.

PleinAir 426 – gennaio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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