Com’è verde il Vallese

Da Sion, capoluogo elvetico della valle del Rodano, si stacca la Val d'Hérens, in un genuino scenario montano che si difende dallo spopolamento e coltiva la propria identità turistica grazie allo sviluppo dell'escursionismo, alla tutela delle attività agricole e al progetto di un parco naturale fortemente voluto dagli stessi abitanti.

Indice dell'itinerario

Una guida Baedeker del 1864 sulla Svizzera dedica un considerevole spazio a Evolène, ameno luogo di villeggiatura della Val d’Hérens dominato dalla vetta del Dent Blanche, che tocca i 4.357 metri. Si vede che il nascente turismo alpino aveva convinto i valligiani che potevano osare di più, e se all’epoca si usava affidarsi ai consigli dell’esperto reporter anche solo per sgranchirsi le gambe, oggi una cinquantina di sentieri ben segnalati consentono di percorrere circa 250 chilometri in tutto il comprensorio. Si parte dal paese, che si trova a 1.380 metri d’altitudine, per arrivare in circa un’ora a Les Haudères, con edifici tipici e soprattutto base ideale per raggiungere diversi alpeggi, il Lac Bleu o ancora, in un paio d’ore di cammino, Arolla. Questo piccolo centro alpino a 2.000 metri di quota, posto sotto la Pigne d’Arolla (3.796 m) e conosciuto come località sciistica, è comodo per spingersi verso alcuni ghiacciai, anche se forse quelli più belli si trovano partendo da Ferpècle, posto nell’altro versante della vallata.

Ritorno alla valle
Quindici anni fa, quando in un pomeriggio autunnale giunsi per la prima volta a Evolène, ricordo perfettamente che diluviava ed era forte la sensazione di trovarsi nell’altra Svizzera: non quella patinata di Saint Moritz e Zermatt, ma una molto più autentica e naturale, per di più a poca distanza dal confine italiano per chi proviene da Passo del Gran San Bernardo ed entra in Val d’Hérens da Sion.
Ad accogliere i turisti è anzitutto la curiosa formazione geologica delle Pyramides d’Euseigne, che ricordano certi paesaggi della Cappadocia turca. Questi spuntoni di roccia bianca, relitti dell’era glaciale, sono stati protetti per 10.000 anni da resistenti cappelli di pietra nera, la cui forma è la stessa di quelli di legno che si usano nell’edilizia tradizionale locale – qui come nella contigua Valle d’Aosta – per separare le case dal terreno e proteggere le derrate alimentari dall’umidità e dall’assalto dei roditori. D’altronde le somiglianze tra la Val d’Hérens, situata nel cuore del Vallese, e la Val Pelline, posta nella dirimpettaia regione italiana, sono numerose e la collaborazione è sempre più stretta. Su quella che era la strada dei contrabbandieri, da Arolla a Bionaz, si svolge ora una gara di corsa che attira molti appassionati, e poi c’è il progetto di un grande parco transfrontaliero che possa fregiarsi anche del marchio di riserva della biosfera dell’Unesco. Ci spiega Michel Couturier, uno degli animatori dell’iniziativa: «Attualmente la Confederazione ha concesso alla Val d’Hérens il marchio di candidato parco naturale regionale. Durante i prossimi due anni la prima fase creazione dell’area protetta permetterà di organizzarsi, per poi passare alla realizzazione dei gruppi di lavoro che cercano di far emergere idee e soluzioni volute e desiderate dagli abitanti». Tra i punti di forza del progetto troviamo, oltre alla bellezza dei luoghi e al loro stato di conservazione, la tutela del dialetto patois e la presenza di una razza di vacche di piccola taglia, dal mantello di colore nero: due peculiarità che quest’angolo di territorio elvetico ha in comune con il vicino valdostano.
A Evolène vale la pena recarsi proprio per ritrovare differenze e analogie. Una buona base di partenza la offre il museo che si trova di fronte alla chiesa, nel centro del paese: vi è raccolta una ricca esposizione di vestiti e cappelli tradizionali, arnesi e strumenti antichi, attrezzi per minatori e sci di legno. Come dire che tutti gli aspetti della vita locale degli ultimi tre secoli sono raccolti in questa dimora settecentesca che apparteneva a un giudice, a quei tempi la persona più ricca e istruita come dimostra anche una stufa in ceramica del 1770. Dopo una visita al borgo dalle caratteristiche case di legno scuro con il tetto in ardesia, ci si può fermare a mangiare una raclette, qui cotta nel camino anziché sulla piastra elettrica e preparata rigorosamente con latte crudo non pastorizzato. E magari, durante lo spuntino, si potrà pianificare l’escursione del giorno dopo in mountain bike, a piedi o lungo una via ferrata.

Tutti in palestra
La Val d’Hérens è un vero e proprio anfiteatro naturale per chi voglia cimentarsi con le due ruote: vi si possono effettuare percorsi di ogni livello, da quelli molto impegnativi per i ciclisti più allenati alla facile pedalata lungo il fiume Borgne sino ad arrivare a Les Haudères, o ancora passeggiate senza eccessivi dislivelli. La valle è modellata dal corso della Borgne, che viene alimentata dai ghiacciai di Ferpècle e di Arolla e dopo 30 chilometri sfocia nel Rodano vicino a Sion. Seguendo il fiume si può pedalare su un fondo sempre movimentato ma mai accidentato in un concerto di profumi, da quello dell’erba tagliata a quello del legno, a quello più acre dello stallatico. Soprattutto ci si rende conto di trovarsi in un territorio vivo e vissuto, dov’è normale incontrare qualcuno che raccoglie il foraggio per il bestiame o che porta le mucche al pascolo. E in mezzo a tanta placida ruralità si scopre che sono appunto i bovini, simbolo di mitezza, a riservare una sicura sorpresa riguardo alle loro abitudini: durante l’anno anno, infatti, le femmine si misurano in accesi combattimenti per stabilire il predominio nel branco. Gli animali di fattoria comprendono le pecore e le capre di antica razza Schwarznasen, che in passato erano a rischio di estinzione e che oggi vengono allevate non per la macellazione ma esclusivamente per la loro bellezza. Non manca ovviamente la fauna selvatica tipica di queste altitudini, ad esempio stambecchi, camosci e marmotte, ma qui vivono anche uccelli maestosi come il gipeto e l’aquila reale, che erano a rischio estinzione e sono stati reintrodotti in Svizzera solo da qualche anno. Il gipeto o avvoltoio barbuto, con un’apertura alare fino a 3 metri, è il vero re delle Alpi: in tutta Europa se ne conta solo un centinaio di esemplari, due dei quali nel Vallese, e uno dei posti dove si può avere la fortuna di osservarli è la zona della Digue de la Grande Dixence, la nostra prossima scoperta.
Se seguiamo quel che resta del fiume Dixence, un affluente della Borgne che si stacca nella valle all’altezza delle Pyramides d’Euseigne, scopriremo perché oggi ci troviamo di fronte a un esile torrentello. L’acqua è stata convogliata, insieme a quella di trentacinque ghiacciai della regione, nel faraonico progetto di costruzione della diga a gravità più grande d’Europa. Ci vollero quattordici anni e il lavoro di 3.000 uomini per costruirla, ma nel 1965 è stata inaugurata e ha dato origine a un lago lungo oltre 5 chilometri, che costituisce oggi una grande attrattiva turistica. Per arrivare allo sbarramento si passa dal paese di Hérémence (noto per una chiesa tra i capolavori dell’architettura moderna) e si prosegue per tornanti fino alla fine della valle, a 2.000 metri di altitudine. Qui ci si trova davanti a un muro di cemento armato alto quasi 300 metri, lungo il quale si può lasciare il mezzo per la visita. Sono molti i camper che decidono di fermarsi per la notte anche se, è bene ricordarlo, il campeggio libero in Svizzera non è consentito. Ai piedi della Dixence esiste anche un enorme albergo, ricavato da un edificio che serviva ad alloggiare gli operai e che è impressionante per le dimensioni e l’estetica. L’interno della struttura è visitabile percorrendo cunicoli di cemento lunghi fino a 200 metri; con l’ausilio di una guida e di supporti multimediali si apprende la storia di quest’ardita opera e dell’energia che grazie ad essa viene prodotta. L’acqua che confluisce nel bacino proviene addirittura da Zermatt mediante gallerie lunghe un centinaio di chilometri, ottenendo così energia sufficiente a 400.000 abitazioni.
Il monitoraggio dell’imponente struttura è costante, anche perché la montagna è un ambiente vivo e in continua evoluzione, tanto che la diga si sposta verso valle ogni anno di circa 11 centimetri. Da qui si può decidere se prendere la cabinovia e salire fino ai 2.360 metri del Lac des Dix, da cui si gode una vista superba sulla regione e si possono effettuare diverse passeggiate, ad esempio quella che in circa un’ora e mezzo arriva al primo rifugio e in tre ore e mezzo a quello più distante. Volendo si potrebbe rientrare a piedi, ma il percorso non offre particolari emozioni: e allora, meglio prestare attenzione agli orari della teleferica per non perdere l’ultima corsa, ridiscendendo come in volo tra i paesaggi della Val d’Hérens.

Testo e foto di Gabriele Salari

PleinAir 458 – settembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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