Come in un'isola

Terra di conquista segnata dalla natura e dalla storia, antica patria di un popolo tenace e indomito, oggi come ieri l'Irpinia custodisce fieramente le sue origini e la sua cultura. Partendo da Avellino, capoluogo e porta d'ingresso di questo territorio dalle caratteristiche peculiari, abbiamo tracciato un ampio anello tra boschi e vigneti generosi di frutti, scenografici paesi che abbracciano le pendici dei monti, luoghi sacri fra i più importanti del nostro Meridione.

Indice dell'itinerario

Nella stretta gola, circondata da fitti boschi, i legionari di Roma entrano con timore: in questo passaggio obbligato, nessuna di quelle manovre che li hanno resi imbattibili in campo aperto è possibile. Il silenzio è irreale, l’unica cosa viva sembra essere solo il vento che fa stormire le fronde. Poi un grido, il segnale dell’attacco, e l’infernale trappola si chiude. Guerrieri urlanti sbucano da ogni parte, travolgendo i soldati dell’esercito più potente del mondo. La legione viene fatta a pezzi, e a Roma non resta che ingoiare il boccone amaro.
Imboscate come questa si saranno ripetute decine di volte nel corso dei due secoli necessari a sottomettere gli indomiti Irpini che, alleati di Pirro e poi di Annibale, osarono contrastare l’espansione dell’Urbe. Questo popolo di tenaci combattenti, che più di altri rappresentò una spina nel fianco di Roma, adorava il dio Marte e il suo animale simbolo era il lupo, hirpus, evidente radice del suo nome. E forse irpino era Ponzio Erennio, il condottiero sannita che inflisse ai Romani l’umiliazione delle Forche Caudine.
A guardarla ancora oggi possiamo ben immaginare come questa terra che fu la loro roccaforte, delimitata a sud dai Monti Picentini, stretta fra il massiccio del Partenio e l’Appennino Campano, solcata dalle valli scavate dai fiumi Calore e Ofanto, sia stata una fortezza naturale estremamente difficile da espugnare. Faggi, cerri e castagni creano fitti colonnati dai toni cupi lungo le pendici delle alture, per poi sfumare man mano che si scende nel verde più chiaro dei pascoli intervallati dalle trame delle vigne e dei coltivi. Anche il tardo autunno, scaldandone i toni, sembra non voler svestire il paesaggio dei suoi colori.
Nonostante l’espansione edilizia, che specie dopo il terremoto del 1980 ha avuto un notevole sviluppo non sempre rispettoso dell’ambiente, la bellezza paesaggistica di questi luoghi è rimasta quasi integra. Piccoli borghi arroccati sulle cime delle colline o a strapiombo su strette vallate, antiche vestigia romane e longobarde perse nella campagna, isolate torri di guardia sorvegliano lo splendido scenario naturale. Dalle floride campagne si capisce poi che gli irpini sanno lavorare bene la loro terra e farla fruttare con prodotti di altissima qualità: vini come il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino, il Taurasi portano il sapore di questi fertili suoli in tutto il mondo, e chi non conosce la prelibatezza delle nocciole irpine e delle castagne di Montella? Non meno pregiato e famoso è l’artigianato che dalla stessa civiltà rurale trae le sue origini: il tombolo trova una delle sue massime espressioni tra queste colline, affiancato dalla lavorazione della ceramica, del rame, del ferro, senza dimenticare la paglia finemente e sapientemente intrecciata, che conosce il suo momento di vera gloria in occasione delle feste religiose come quella in cui sfila l’incredibile torre di Mirabella Eclano, un capolavoro unico nell’arte dell’intreccio. E unico è l’aggettivo che viene subito in mente al cospetto di questa terra, che come un’isola si distacca dal contesto generale della regione: unica è la sua natura, differente nei caratteri orografici e ambientali dal resto della Campania e dalla confinante Puglia, unica è la storia di questa gente che, consapevole della propria cultura, a dispetto dei confini politici e amministrativi non si ritiene campana né pugliese, ma semplicemente irpina. E oggi, di fronte all’imperante omologazione dei costumi, l’ennesima sfida che l’Irpinia si appresta a raccogliere, forte del suo orgoglioso passato, è la difesa della propria identità.

Vino e zolfo
Superata quella che si può considerare la porta d’ingresso dell’Irpinia, siamo pronti a entrare nel vivo dell’itinerario che, snodandosi per circa 80 chilometri, ci porterà a scoprire luoghi cruciali per la storia e la cultura di questa terra. Sulla provinciale 88 ci accompagna l’ormai consueta cornice dei castagneti, che a tratti lasciano intravvedere scorci sulle valli ai piedi del Partenio e purtroppo anche esempi di edilizia che lasciano molto a desiderare. Giunti al bivio con Grottolella, aggiriamo l’abitato per imboccare la provinciale 185 e poi la 270 fino a Prata di Principato Ultra, annunciato da estesi noccioleti e vigneti che sono il vanto della zona (una delle otto dell’area del Greco di Tufo DOCG). Seguendo le indicazioni si raggiunge, a poco più di un chilometro dal paese, la basilica dell’Annunziata: forse di età longobarda, tra il VII e X secolo, o addirittura anteriore, conserva affreschi vecchi più di mille anni ma che presentano ancora vividi i colori originari. In un ambiente di nuda e antica bellezza, le figure sacre rappresentate nei dipinti emanano un’energia che rende la visita ancora più emozionante. Vorremmo recarci anche nelle annesse catacombe paleocristiane rinvenute negli anni ’50, ma l’accesso è solo su prenotazione.
Ancora 6 chilometri e giungiamo nella piccola capitale vinicola di questa regione: a dircelo sono i filari che si allungano intorno al centro di Tufo, che prende il nome dalla pietra con cui sono state costruite le sue case. Questo borgo affacciato sulla valle del fiume Sabato fu dapprima longobardo, come testimoniano i resti del castello, e poi aragonese, ma deve la sua fortuna all’illustre famiglia dei di Marzo, alla quale si associano le due grandi ricchezze del territorio: lo zolfo e il vino. Al capostipite Scipione, giunto a Tufo nel 1647, si dovrebbe il primo impianto di un vitigno chiamato Greco del Vesuvio, mentre nel 1866 fu Francesco di Marzo l’artefice dell’ascesa di questo piccolo centro, scoprendo i giacimenti di zolfo e avviandone l’estrazione. Per oltre un secolo le miniere di Marzo diedero lavoro a centinaia di persone, con positivi effetti sull’economia del circondario; cessata l’attività nel 1983, oggi si stanno recuperando gli spazi del monumentale complesso industriale per farne un polo tematico sul vino. Epicentro della pregiata produzione vinicola sono invece le labirintiche cantine, che si aprono sotto il palazzo di famiglia.

Merletti di paglia
Le volte rischiarate a malapena da una luce fioca sembrano essere le stesse, ma i ferri fissati alle pareti ci fanno capire che in questi sotterranei non si è mai conservato il vino: ci troviamo ora nello Spielberg dell’Irpinia. Il segreto di Montefusco è nascosto sotto il castello aragonese, odierna sede comunale, dove le spesse mura delle carceri borboniche recano impressi i nomi e i messaggi degli sventurati che ebbero la disgrazia di esservi rinchiusi dal 1851 (anno del decreto con cui Ferdinando II di Borbone destinò il paese a colonia penale) fino alla dichiarazione del Regno d’Italia. Costretti a una prigionia disumana, non furono solo delinquenti e rivoltosi ma anche uomini di cultura scomodi al potere. Le spesse grate, le celle e i passaggi interni, tanto bassi che si è costretti a camminare chinati, sono ancora capaci di evocare un senso di angoscia, stemperato solo dalle mostre artistiche e dagli eventi culturali che hanno riportato in uso la struttura con ben diversa funzione.
Montefusco, dal canto suo, si presenta come un ridente borgo di alta collina magnificamente affacciato sulla valle del Calore. Il nucleo storico di quello che fu il capoluogo dell’Irpinia fino al 1806 è impreziosito dai monumentali edifici della chiesa di San Giovanni del Vaglio e del monastero di Santa Caterina da Siena: alla loro mole si contrappone la fitta trama degli stretti vicoli, che per analogia ci richiama alla mente le elaborate creazioni con il tombolo e l’uncinetto ancora oggi tramandate di madre in figlia.
All’uscita dell’abitato la provinciale 42 si getta con ripidi tornanti verso il fondovalle del Calore, in un susseguirsi di meravigliosi scorci sulla campagna. Percorsi 7 chilometri ecco Montemiletto, con la mole squadrata del castello della Leonessa (chiuso per restauro al momento della nostra visita) che da oltre mille anni sorveglia il paese. Nel centro storico meritano uno sguardo diverse chiese, tra cui quella settecentesca di Sant’Anna con affreschi di notevole bellezza.

Il Parco Archeologico di Aeclanum conserva i resti della città romana
Il Parco Archeologico di Aeclanum conserva i resti della città romana

Scendiamo ora a cercare la statale per Foggia e superata la deviazione per Taurasi, altro centro di eccellenza della produzione vinicola irpina, in 6 chilometri giungiamo a Mirabella Eclano. Nelle sue stradine, il terzo sabato di settembre si svolge la famosa Tirata del Carro: tutto il paese è coinvolto nei grandiosi festeggiamenti che ruotano intorno a un elaborato obelisco alto 25 metri, completamente realizzato con steli di grano intrecciati. L’unico altro modo per vederlo da vicino consiste nel visitare il Museo del Carro, allestito presso il Municipio nel duecentesco edificio di San Francesco, dove sono custoditi i pezzi originali che compongono l’ardita costruzione. Le foglie, i fiori, le vesti delle figure religiose che decorano pannelli e colonne, tutto è fatto con paglia magistralmente lavorata secondo la forma da ottenere. Ma l’artigianato locale si fa vanto anche della cartapesta, che trova una delle sue migliori espressioni nelle realistiche sculture della Passione di Cristo: le diverse composizioni, dette quadri o tavolati, sono opera dall’artista Antonio Russo che le donò alla sua città natale nel 1875. Oggi sono conservate nel Museo dei Misteri, collocato nelle vecchie scuderie del convento francescano, dove l’interessante visita comprende un’attrezzata sala multimediale in cui ci viene svelato come materiali poveri, uniti a una tecnica sapiente, possano diventare tesori d’arte.
Poco fuori l’abitato, presso la frazione Passo di Mirabella, troviamo le origini di Mirabella Eclano nel Parco Archeologico di Aeclanum. I resti della città romana, sorta sull’insediamento strappato agli Irpini, emergono suggestivi dalla campagna: gli scavi hanno finora riportato alla luce, oltre ad alcune abitazioni, le mura delle terme, del mercato, di una basilica paleocristiana e di una necropoli, a testimonianza del ruolo di primo piano che questo centro doveva avere nell’antichità.

 

Quattro passi in salotto

Avellino: Corso Vittorio Emanuele II
Avellino: Corso Vittorio Emanuele II

L’inizio naturale del nostro percorso è Avellino, l’antica Abellinum, i cui resti di epoca romana sono visibili ad Atripalda, distante 3 chilometri. La nuova città, fondata dai Longobardi, fu un centro di vivaci attività culturali e commerciali all’inizio del ‘900, come testimonia l’elegante aspetto del centro storico. Meta preferita delle passeggiate degli avellinesi è Corso Vittorio Emanuele II: i bei palazzi gentilizi che si affacciano sulla strada offrono diverse occasioni per una piacevole sosta in un bar o in una pasticceria. Chissà, forse anche il celebre esploratore Umberto Nobile potrebbe aver passeggiato qui, dove una targa commemorativa ricorda i suoi natali irpini.
Una breve deviazione in Via Dalmazia porta all’imponente complesso dell’ex carcere borbonico, oggi divenuto sede espositiva. Proseguendo invece lungo il corso, giunti in Piazza della Libertà sono ad accoglierci il Palazzo del Governo e il seicentesco Palazzo Caracciolo, che si affacciano sui giochi d’acqua delle fontane. Più avanti, in Piazza Giovanni Amendola, l’obelisco a Carlo II d’Asburgo contende l’attenzione alla barocca Torre dell’Orologio del XVII secolo, simbolo della città.
Pochi passi ancora ed entriamo nel cuore del centro storico, dove ai grandi viali si sostituiscono gli stretti vicoli su cui si aprono botteghe artigiane. Nell’omonima piazza sorge il duomo, originariamente di età longobarda, che nella sua travagliata storia subì saccheggi, distruzioni e terremoti e che, a dispetto delle ingiurie dell’uomo e della natura, come la mitica fenice è sempre rinato dalle sue rovine. All’interno bellissimi dipinti del ‘500 e ‘600 e la suggestiva cripta romanica dell’Addolorata, restituita al suo antico aspetto grazie a una meticolosa opera di restauro. Alle spalle della cattedrale, i massicci ruderi del castello longobardo si ergono ancora oggi a ricordare le origini della città; nel sottosuolo si estendono i cunicoli – scoperti dopo il sisma del 1980 – che collegavano il maniero alla cattedrale, ora utilizzati come spazio espositivo.
Ritornando sui nostri passi, percorriamo Via Umberto I dove, isolata in un contesto urbano ormai moderno, si trova la seicentesca fontana del Bellerofonte, detta anche dei Tre Cannuoli. Donata dai principi Caracciolo alla popolazione, l’opera dell’artista Cosimo Fanzago fu per secoli il luogo in cui si poteva approvvigionarsi d’acqua e fare il bucato. Oggi le belle statue in marmo che rappresentavano Bellerofonte e altre figure mitologiche non ci sono più, trafugate, ma il fascino del monumento ancora resiste al tempo, quasi una metafora della città stessa. Avellino, con la ricostruzione del dopo terremoto e un’espansione che rischia di nasconderne la classica bellezza, deve ora trovare il modo di preservare quell’atmosfera che la rese uno dei preziosi salotti dell’Italia postunitaria.

 

Sul monte di Virgilio

La candida mole del santuario di Montevergine
La candida mole del santuario di Montevergine

Usciti dalla città in direzione del vicino paese di Mercogliano, disteso sulle falde boscose del Partenio, lo superiamo per imboccare la provinciale 374, seguendo le indicazioni per il santuario di Montevergine. Una secondaria si arrampica lungo le pendici del massiccio che, nonostante i ripidi tornanti, rimane sempre agevole anche per veicoli di grandi dimensioni. Salendo tra i generosi boschi di castagni, che durante il periodo della raccolta fanno la felicità dei residenti, scorgiamo la candida mole del santuario arroccata a 1.270 metri di quota. In poco più di 20 chilometri, dall’animazione del capoluogo ci ritroviamo immersi nel sereno ambiente di questa montagna che fino all’anno Mille si chiamava Monte Virgilio, in onore del poeta che secondo una singolare leggenda piantò, proprio nel luogo dove oggi sorge il complesso religioso, un orto di erbe medicamentose e operò moltissime guarigioni. Il nucleo originale del santuario, fondato nel XII secolo dal patrono dell’Irpinia San Guglielmo di Vercelli, presenta una struttura piuttosto articolata, arricchitasi nei secoli con opere d’arte di varie epoche; la basilica antica, quella nuova e la cappella del Santissimo sono solo alcune tappe del percorso di visita. Nella cripta che si apre sotto la chiesa nuova sono custodite dall’800 le spoglie di San Guglielmo, morto nel 1142 e dapprima sepolto nell’abbazia di Goleto, che avremo modo di visitare più avanti. Unica nel suo genere è la mostra permanente del presepio nel mondo, ospitata in un’ala del complesso: non potevano mancare in questa collezione i realistici allestimenti del famoso maestro napoletano Giuseppe Ferrigno, a cui si affiancano un bellissimo presepe in ceramica maiolicata e un altro in legno intagliato proveniente dalla Val Gardena. Dal piazzale antistante il santuario la vista spazia sul panorama ai piedi del massiccio che dà il nome al Parco Regionale del Partenio, istituito nel 2002, che tutela poco meno di 15.000 ettari di questo prezioso ambiente e delle valli circostanti.
Tornati sulla 374 e superato il grazioso borgo pedemontano di Ospedaletto d’Alpinolo arriviamo a Summonte, sede del parco. Lasciato il camper nella parte alta dell’abitato, presso il centro visite, mettiamo in moto le gambe lungo il percorso ambientale che sale verso il rifugio Forcetelle. Per i più allenati non è un problema superare i 470 metri di dislivello della carrareccia, che in questo tratto coincide con il Sentiero Italia del CAI, ma coloro che non se la sentono di affrontare l’impresa non devono preoccuparsi: basta percorrere poche decine di passi lungo la sterrata e subito ci si ritrova immersi in una meravigliosa distesa boschiva, prima di castagni e poi di faggi, dove trovano rifugio tassi, volpi e scoiattoli. Se con gli elusivi mammiferi non abbiamo fortuna, ecco a portata di binocolo uno splendido esemplare di picchio rosso maggiore intento a martellare su un vecchio tronco. Vorremmo trattenerci ben più a lungo in quest’atmosfera serena e tonificante, ma siamo solo all’inizio del viaggio e abbiamo ancora molto da vedere. Tornati in paese, prima di rimetterci alla guida non perdiamo la visita alla ben conservata Torre Angioina del XI secolo, che ancora oggi sembra ergersi a difesa del piccolo borgo di fronte a un panorama mozzafiato.

 

Alle porte dell’inferno

Il castello medioevale di Rocca San Felice
Il castello medioevale di Rocca San Felice

In un variegato panorama di bassa montagna, la statale 303 ci porta in poco più di 20 chilometri ai confini dell’Alta Irpinia. Rocca San Felice, meraviglioso borgo del periodo longobardo (uno dei meglio conservati della provincia e miracolosamente scampato al disastro del 1980), è annunciato dall’inconfondibile sagoma del castello medioevale, che si staglia sulla sommità del piedistallo di roccia intorno al quale si addensa il paese. Trovato parcheggio subito fuori dell’abitato, raggiungiamo la splendida piazza in pietra bianca al centro della quale troneggia un enorme tiglio, che da centinaia di anni dispensa ombra e frescura. La salita verso il castello è breve e i vicoli che percorriamo ci regalano incantevoli scorci delle vecchie case e del paesaggio che le circonda. La monolitica fortezza, immersa nella vegetazione, dà invece l’idea di trovarsi in una sperduta e misteriosa zona del globo; sensazione che si acuisce a pochi chilometri dall’abitato quando, con un breve passeggiata lungo uno sterrato, arriviamo allo stagno della Mefite. Questo curioso laghetto di fango ribollente, considerato già dagli Irpini e dai Romani una delle porte dell’oltretomba, emana odori e rumori sinistri dall’aspetto decisamente infernale, e anche il cartello che indica “Pericolo di morte” non è affatto tranquillizzante: decidiamo però di correre il rischio per assistere a questo fenomeno vulcanico in piena attività, che affascinò anche Virgilio al punto da citarlo nell’Eneide.
Soddisfatti di questo bagno di emozioni, ci apprestiamo a raggiungere l’ultima tappa del nostro itinerario. Sant’Angelo dei Lombardi fu uno dei centri più duramente colpiti dal sisma dell’80 in termini di vite umane e di danni materiali. Il centro storico è stato ricostruito e, pur non avendo potuto recuperare tutto ciò che finì in macerie, conserva interessanti testimonianze del passato splendore: fra queste il castello del XII secolo che, secondo quanto emerso dagli scavi per i lavori di restauro, fu probabilmente costruito nel luogo in cui sorgeva un’antichissima cattedrale. Ed è proprio la cattedrale nuova – per così dire, visto che è perfino antecedente al castello – l’altro importante monumento del paese, più volte rimaneggiato ma con notevoli tracce della sua origine medioevale. Sul portale d’ingresso spiccano tre statue di probabile fattura normanno-sveva, mentre l’interno custodisce diverse opere di pregio quasi tutte databili intorno al ‘500, tra cui un bellissimo Crocifisso proveniente dalla vicina abbazia di Goleto. Quest’ultima sorge a 4 chilometri dal paese ed è uno dei luoghi sacri più importanti del Meridione: nata nel 1133 sempre per volontà di San Guglielmo, comprendeva due cenobi, uno per i monaci e l’altro per le monache di clausura, posti sotto il controllo dei padri benedettini di Montevergine. La ricchezza architettonica dell’abbazia, che spazia dal romanico della Torre Febronia al gotico della stupenda cappella di San Luca, giunge al culmine con l’impareggiabile scenografia dei resti della chiesa grande, progettata dall’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro. Alla calda luce del tramonto i resti delle mura ormai prive di volta si allungano verso il cielo, e sembrano quasi ricordare le scogliere di un’isola solitaria: come le pendici montane di quest’Irpinia bagnata da un mare di verde.

 

 

 

 

 

 

 

 

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