Come in un film

Alle porte di Canosa di Puglia, in un territorio dove la storia ha lasciato testimonianze artistiche e architettoniche di pregio inaspettato, la Betlemme di duemila anni fa rivive in un presepe tanto fastoso quanto genuino.

Indice dell'itinerario

Viaggiando nei giorni di Natale attraverso le campagne della neonata provincia di Barletta, Andria e Trani, non pensiate di aver sbagliato strada se vi troverete a… Costantinopoli: così si chiama infatti la contrada che, alle porte di Canosa di Puglia, ospita la spettacolare rappresentazione del presepe vivente. La puntuale segnaletica conduce fino a una dismessa cava di tufo, divenuta successivamente una fornace per mattoni e poi deposito di detriti, fino a quando la volontaria opera di bonifica degli organizzatori della manifestazione ha permesso di trasformarla nel palcoscenico di questa Betlemme della Puglia.
Su un’area di ben 11.000 metri quadrati, sono oltre 200 i figuranti in costume che rievocano la Natività. Nelle grotte, all’aperto e lungo i costoni della cava, si passa davanti alle botteghe di fabbri, falegnami, scalpellini e conciatori di pelli per giungere al mercato dove i banchi espongono esclusivamente prodotti dei paesi orientali, come la frutta secca. Qui non è difficile incontrare Erode che, con il suo seguito di ancelle e soldati, passeggia tra i commercianti, i quali si lamentano a gran voce dell’esosità delle tasse. Nei forni a legna, intanto, si prepara pane azzimo, mentre in un’abitazione poco lontano una famiglia benestante si appresta a sedere intorno al tavolo riccamente imbandito, che contrasta visibilmente con il frugale pasto di una modesta casetta nei pressi. In un’altra scena rivive l’allegra atmosfera di un banchetto nuziale, con gli sposi che precedono il lungo corteo degli invitati intrecciando di tanto in tanto danze e canti. Intorno al piccolo lago, abilmente ricostruito, i pescatori sono intenti al lavoro di manutenzione delle reti, mentre alcune donne rimescolano liquidi colorati per la tintura delle stoffe in grandi vasche di pietra. Tra i soldati romani a cavallo che fanno il giro di pattuglia, la visita procede soffermandosi a curiosare tra gli abitanti della cittadina impegnati nelle attività quotidiane. Si giunge così alla tenda dei Re Magi per poi fare ritorno verso la casa di Erode, passando dinanzi alla grande grotta della Natività dove il piccolo Gesù è vegliato amorevolmente dalla Madonna e da San Giuseppe: al di sopra della cavità gli angeli vestiti con bianche tuniche, rese diafane dalle luci intense, paiono quasi fluttuare nell’aria.

Antichità sopra e sotto
Scesi dalla macchina del tempo, ci ritroviamo in breve a Canosa: ma anche qui non finiscono le suggestioni del passato in un centro storico che offre la sensazione di entrare in un museo a cielo aperto. Le testimonianze dei tempi antichi, del resto, sono cosa di tutti i giorni: ci dicono che basta dissodare un terreno o scavare le fondamenta di un immobile per trovare tracce di una storia che risale almeno al IV secolo a.C., come testimoniano anche i viali della centralissima villa comunale abbelliti da numerosi reperti provenienti da ricerche archeologiche effettuate in città e nell’anfiteatro.
Il piccolo polmone verde costeggia la cattedrale dedicata al patrono San Sabino, che domina Piazza Vittorio Veneto. L’interno della chiesa, a tre navate, presenta preziosi arredi tra i quali il Pergamo di Acceptus (dal nome dell’autore), un pulpito quadrangolare in pietra con il leggio sostenuto da un’aquila ad ali spiegate e, nell’abside, la cattedra vescovile opera dello scultore Romualdo, un possente sedile in pietra sorretto da due elefanti. Una porta nel transetto immette all’interno della tomba di Boemondo d’Altavilla, eroe normanno della prima Crociata (lavori di restauro nel 2005 consentivano la visita solo dall’esterno).Nella vicina Via Kennedy, il Palazzo Sinesi è ora sede museale che accoglie nelle numerose sale i reperti provenienti dalla Tomba Varrese, così chiamata dal nome del proprietario del fondo nel quale si trovava l’ipogeo. La scoperta avvenne nel 1912 durante lo scavo di un lucernario e fece riemergere uno dei più importanti corredi funerari di una nobile famiglia dauna, costituito da oltre 400 pezzi fra statuette votive, armi e vasi a figure rosse, alcuni dei quali sprovvisti del fondo a denunciare la funzione di arredi per le cerimonie di sepoltura. La tomba originale, purtroppo, è andata persa; è invece ancora possibile visitare l’ipogeo Lagrasta nei pressi di Via Cadorna, un complesso costituito da tre gruppi sepolcrali scavati nella roccia tufacea dei quali il più grande è formato da nove camere, alcune decorate con colonne ioniche, accessibili da un unico corridoio inclinato.
Risalendo il Corso San Sabino e superata la scalinata di Piazza della Repubblica, ci si addentra nelle strade del borgo antico che conducono al castello. Quest’importante opera normanna, facente parte del sistema difensivo progettato da Federico II, fu costruita con imponenti blocchi tufacei e di arenaria provenienti forse da una preesistente costruzione greca o romana; dall’alto dei resti delle mura e degli antichi torrioni si gode un’ampia panoramica su Canosa e sulla campagna circostante.
Un monumento davvero notevole dell’era paleocristiana, altro periodo ben rappresentato nel patrimonio cittadino, si trova nel quartiere San Giovanni fra i resti del battistero omonimo: una struttura poligonale a dodici lati che racchiude un ampio fonte battesimale circondato da un colonnato, mentre all’esterno mostra tracce visibili di mosaici pavimentali.
Per ammirare gli esempi più interessanti dell’arte musiva bisognerà però spostarsi ad Agro di Canosa, in direzione di Andria, presso la basilica di San Leucio. Qui grandi e piccoli tasselli di calcare, terracotta e ciottoli di fiume formano disegni policromi raffiguranti cerchi, ottagoni, quadrati, nodi di Salomone, stelle e svastiche (decorazioni purtroppo destinate ad andare perse nel tempo se non si provvederà a una migliore conservazione). Oltre ai pavimenti della basilica, sorta su un tempio dedicato probabilmente alla dea Minerva e successivamente ai santi Cosma e Damiano, oggi restano anche le eleganti colonne ioniche che reggevano originariamente le cupole e i capitelli ellenistici con teste femminili.
Sempre nella campagna canosina, ma in direzione di Cerignola, troviamo le più rilevanti testimonianze del periodo romano: il ponte sull’Ofanto, l’Arco di Traiano (detto anche Porta Varrone) e il Mausoleo Bagnoli, uno dei monumenti funerari di famiglie patrizie presenti sul territorio, rivestito con mattoni rossi.

Echi di guerra
A pochi chilometri da Canosa, una visita che non può essere tralasciata è quella che ha per meta l’insediamento della città di Canne, famosa per la battaglia che durante la seconda guerra punica vide Annibale e i suoi cartaginesi sconfiggere le legioni romane. Una deviazione sulla statale 93 per Barletta conduce al Parco Archeologico e Antiquarium di Canne della Battaglia, che però non espone reperti relativi alla vicenda bellica ma oggetti che narrano la storia del centro dauno dalla preistoria al Medioevo. Numerose testimonianze della presenza umana risalenti al V secolo a.C. sono visibili in tutta l’area, caratterizzata da un insieme di piccole colline con tracce di un’intensa frequentazione che ebbe termine in epoca angioina.
Una passeggiata fra i resti dell’abitato con gli assi stradali lastricati sui quali si aprivano case e magazzini, fino al castello e alla basilica, mostra ancora oggi la prosperità raggiunta da questo centro nel periodo medioevale: la decadenza ebbe inizio nell’ultimo scorcio del Mille, con l’invasione dei Normanni, e si consumò nei due secoli successivi con lo spopolamento e la definitiva annessione a Barletta, del cui municipio tuttora Canne fa parte.
Dai margini della città lo sguardo spazia sulla piana dove persero la vita il console romano Paolo Emilio e 40.000 suoi uomini, accerchiati con una subitanea manovra a tenaglia dall’esercito punico che contava meno della metà delle forze. Oggi solo un cippo, immerso nei campi coltivati lungo il corso dell’Ofanto, ricorda la disfatta dell’Urbe in quel 2 agosto del 216 a.C. Per Roma si trattò della più pesante sconfitta della sua storia, ma settant’anni più tardi sarebbe stata la volta di Cartagine, rasa al suolo dopo mesi di paziente assedio: e della vittoria di Annibale rimase solo la memoria in quel lontano lembo delle pianure pugliesi.

PleinAir 413 – dicembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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