Col bue e l'asinello

Vacanze di Natale a caccia di antiche masserie. Ottima occasione per tornare con il sacco pieno. E non solo di prodotti tipici della tradizione pugliese, ma anche di piacevoli scoperte e "gustose" soste. Seguiteci, vi sveliamo alcune mete eccellenti nella campagna tra Martina Franca e Ceglie Messapico.

Indice dell'itinerario

L’area della valle d’Itria, sulla quale affacciano i comuni di Locorotondo, Cisternino e Martina Franca (vedi PleinAir n. 292), è una delle zone più visitate della Puglia insieme ad Alberobello. Eppure basta allontanarsi appena dai centri più noti e addentrarsi nelle aree più interne per trovare motivi meno consueti di visita e approfondimento: stiamo parlando delle tipiche masserie che, al pari dei trulli, sono l’elemento architettonico caratteristico del paesaggio rurale della Murgia pugliese. Nella regione se ne contano più di duemila: a corte aperta o chiusa, con tetto a trullo o con copertura a pignon (pietre squadrate a mano sovrapposte), in stili architettonici determinati da esigenze produttive e difensive.
La masseria è un centro di riferimento per la coltivazione, la raccolta e la trasformazione dei prodotti della terra, e per l’allevamento del bestiame. La struttura classica prevedeva un grande spiazzo sui cui lati ampi archi immettevano in basse costruzioni adibite a fienili, depositi per gli attrezzi, dormitori per i braccianti. Nella costruzione principale il pianoterra era solitamente abitato dalla famiglia del contadino che, per conto del padrone, gestiva la proprietà. Al piano superiore erano situati gli appartamenti utilizzati dal proprietario durante le sue visite. Sul retro, il forno, il frantoio, il trappeto per il vino, il caseificio, stalle e cantine. Tutto intorno, orti e giardini con alberi da frutta, e più in là terre coltivate e pascoli. Di solito era presente la chiesetta comune o la cappella privata dove i contadini potevano assolvere gli obblighi di culto senza dover raggiungere i paesi limitrofi. Il complesso così costituito diveniva un insediamento organizzato, autonomo e ricco, tanto da divenire preda ambita di pirati e briganti. Da qui il sorgere di masserie fortificate, con tanto di torrioni d’avvistamento, ponti levatoi, mura merlate, feritoie e caditoie.
Alcuni di questi complessi, restaurati e riadattati alle nuove esigenze abitative, svolgono oggi attività agrituristiche e ricettive. Nelle antiche mangiatoie e nelle vecchie cantine opportunamente riadattate è oggi possibile ritrovare i semplici e genuini sapori contadini, degustando i corposi vini di Puglia, magari dinanzi a capaci camini, e infine addormentarsi in antichi letti di ottone nel silenzio della campagna circostante.
Abbiamo visitato in camper alcune masserie tra le 254 esistenti nell’agro di Martina Franca. Valgono un viaggio per la loro valenza culturale e architettonica, legata a nuove forme di ospitalità e all’offerta di prodotti tipici e genuini.

Masseria Lupoli
Raggiungiamo quest’azienda dell’agro di Crispiano percorrendo la S.S. 72 Martina Franca – Taranto fino al bivio per Grottaglie, dove seguiamo la cartellonistica per altri sette chilometri.
L’ingresso è annunciato da due bianche colonne che immettono nell’ultimo tratto di strada non asfaltata. Poco più avanti, costeggiando un lungo muro a secco, intravvediamo il profilo della masseria con la scura e alta torre che sovrasta le bianche costruzioni e le cupole di alcuni trulli. La prima accoglienza, sull’ampio piazzale antistante l’ingresso (può ospitare circa venti v.r.), ci è riservata dal contadino, che ancora abita la masseria con la famiglia, e da due piccoli cani che ci vengono incontro abbaiando festosi. Superato lo stretto portale si accede all’ampio cortile, circondato sui tre lati dalle costruzioni che un tempo erano le stalle, i dormitori del personale e la casa patronale. Ci troviamo in un tipico esempio di masseria a corte chiusa, nella quale il cortile era il luogo d’incontro della piccola comunità residente: in questo caso circa cinquanta persone, almeno fino agli anni Sessanta, che costituivano le famiglie di quattro mezzadri.
Eloquente cicerone è il proprietario, Luigi Perrone, che ci accompagna nella visita. Sua l’idea di allestire nei locali della masseria il Museo della Civiltà Contadina, dove ha sistemato organicamente il materiale già amorevolmente conservato dal padre Edmondo. Gli oggetti esposti sono, per la maggior parte, tutti provenienti dalle attività quotidiane.
Sul lato sinistro del cortile visitiamo la cappella privata del ‘600 dedicata alla Madonna della Libera, il cui campanile regge ancora la vecchia campana del 1798 fatta rifondere dal penultimo proprietario. Nell’adiacente torre medioevale del 1400, costruita a scopi difensivi come denota la caditoia sull’ingresso, è posto il primo ambiente del museo: la cucina. La piccola stanza racchiude un camino e una tavola imbandita sulla quale, come era uso, è presente un unico piatto dal quale tutti attingevano con la propria posata; in un angolo vi è la cassapanca di legno per la conservazione del pane e di altri prodotti. Attigua è la camera da letto con materassi ripieni di paglia e foglie poiché solo i padroni potevano permettersi quelli in lana di pecora. Completano l’arredamento il lavamano di ferro, il braciere, lo scaldaletto, l’armadio che conserva ancora la valigia di cartone e, sul comodino, le piccole lampade a olio. L’arredamento di una volta, di quando in campagna non c’era energia elettrica, acqua corrente, luce e telefono. Nel fabbricato principale è esposta la cartografia aziendale dalla quale si rilevano le modifiche territoriali avvenute dal 1783, data del primo documento, a oggi. Sorta nel 1500, l’azienda, la cui attuale denominazione deriva dal cognome del primo proprietario, ha subito diversi passaggi di proprietà nel corso dei secoli con conseguenti acquisizioni e successivi frazionamenti. Dal 1913 è di proprietà della famiglia Perrone che le ha conferito un indirizzo produttivo prevalentemente olivicolo.
La sala etnografica ospita gli strumenti di uso comune: i recipienti in argilla per contenere l’acqua del pozzo, le capase, recipienti in terracotta per la conservazione dei prodotti sott’olio, sotto sale o sotto aceto, strumenti per la lavorazione del formaggio, bottiglie per i rosolii, bottiglie di gassosa con biglia di vetro come tappo, chiavistelli, lumi a petrolio. Particolari i piatti ricuciti, ovvero rotti e ricomposti dagli acconzagrast (acconciavasi), poiché nulla veniva buttato. Le altre nove sale conservano gli strumenti per la coltivazione dei campi, da quelli usati a forza di braccia (forconi, pale e zappe) agli altri che sfruttavano la trazione animale (aratri e vomeri), fino ai più recenti della prima meccanizzazione degli anni Cinquanta. Accanto all’antico frantoio del 1844 c’è lo studio-biblioteca dove sono conservati tutti i documenti che fanno riferimento alla masseria.
All’esterno, alle spalle dei fabbricati, sono ubicati i trulli, pavimentati in pietra naturale, destinati un tempo a ricovero degli animali, alla lavorazione dei formaggi o ad uso abitativo. In questi ultimi sono evidenti le lettiere in pietra che, riempite di paglia, diventavano i giacigli dei pastori che spesso dormivano insieme con gli animali.
Più discosto è l’ovile del XVII secolo, utilizzato ancora fino a qualche decennio fa, con i muretti a secco per separare le pecore dalle capre, le femmine dai maschi, le partorienti o gli animali da latte. Particolare è il muro di recinzione di tutto l’ovile, alto più di tre metri: sulla parte interna è costruito un camminamento che consentiva al pastore di controllare i propri confini, mentre sulla parte esterna una sporgenza detta “dente di cane’ teneva lontane le volpi.
Per effettuare la visita alla masseria è necessario contattare il signor Luigi Perrone (tel. 099/4596690). Oltre al citato parcheggio nell’area antistante il complesso, i turisti itineranti possono utilizzare anche una sala della casa patronale per consumare la propria colazione.

Masseria Caroli
Ad appena dieci chilometri da Martina Franca, l’antica Masseria Caroli (tel. 080/4490402) si raggiunge in contrada Trazzonara, percorrendo la statale Martina – Villa Castelli. Nel 1984 questa piccola azienda fu trasformata con l’obiettivo di produrre e commercializzare un olio di eccezionale qualità. La meta è stata raggiunta con una produzione quasi esclusiva di olio extravergine selezionando le olive alla raccolta e curando la trasformazione e l’imbottigliamento. Le olive provengono in gran parte dalle coltivazioni collinari delle limitrofe province pugliesi, che forniscono un prodotto abbastanza delicato. La lavorazione avviene con moderne apparecchiature che consentono il confezionamento di circa tremila quintali di prodotto l’anno. L’unica possibilità di acquistare l’olio della Masseria Caroli (con prezzi dalle ottomila alle diciottomila lire al litro) è di recarsi presso l’azienda, in quanto quasi tutta la produzione viene esportata in America e Giappone, e solo in piccola parte venduta nel nord d’Italia.
In mancanza di grandi spazi interni è necessario parcheggiare lungo la strada. È in fase di allestimento, in un trullo all’interno dell’azienda stessa, un centro visitatori dove piccole friselle, condite con pomodoro, sale e olio, verranno offerte agli ospiti. Altre due masserie sono presenti lungo la strada che conduce alla Masseria Caroli. Presso la prima, Masseria Campo di Cozze, si possono acquistare formaggi, ricotta forte e dolce, caciocavallo e cacioricotta. La seconda, Masseria Carbonico delle Casedde, è una grande costruzione a trullo dove è possibile acquistare uova fresche.Masseria Russoli
Situata su un altopiano, la Masseria Russoli è raggiungibile percorrendo la strada che da Martina Franca porta a Crispiano. Il nome deriva dalla denominazione dialettale di una pianta spontanea, il corbezzolo, e le sue origini risalgono al 1600 o al 1700, epoca in cui era utilizzata come frantoio.
Nel 1972 venne acquistata dal Corpo Forestale dello Stato e successivamente ceduta alla Regione Puglia che, tra l’84 e l’85, la destinò a sede del Centro di Conservazione Genetica dell’Asino di Martina Franca, razza autoctona in via di estinzione. Si provvide anche all’acquisto delle ultime trenta asine fattrici delle quali, oggi, ne restano solo due su una popolazione arrivata a centodieci capi. L’utilizzo di questo robusto animale è stato rivalutato dall’attuale legislazione, che vieta l’ingresso nei boschi ai mezzi meccanici per l’approvvigionamento di legna, e dalla crescente richiesta di muli che si ottengono dall’incrocio con le cavalle. La vita media dell’animale è di venticinque anni. A febbraio inizia la stagione dell’accoppiamento, allo stato brado, con la selezione delle asine divise in due o tre gruppi secondo il numero degli stalloni. La gestazione, che di norma avviene ad anni alterni, dura tredici mesi.
La visita si effettua con la guida di un agente del Corpo Forestale che ci accompagna sino all’area di pascolo. Gli asini dapprima, vedendoci, si allontanano trottando, poi si avvicinano, curiosi: ed eccoci circondati da manti scuri e ricciuti, lunghe orecchie e grandi occhi che ti scrutano con curiosità. Spontaneamente si allunga una mano per accarezzarli: amicizia è fatta. Nella vicina corte della masseria troviamo invece i puledri. Gli occhi nascosti da una bionda e ricciuta frangia, le lunghe orecchie e la bianca chiazza sull’addome li fa sembrare tanti piccoli peluche che sprizzano simpatia e tenerezza.
Per la visita, che è gratuita, contattare l’Ufficio Gestione Foreste Regionali (tel. 080/4801742) almeno tre giorni prima. Le guide, effettuate tutto l’anno da agenti del Corpo Forestale, sono previste per gruppi fino a trenta o quaranta persone.

Masseria Galeone
Dalla statale per Martina Franca – Noci si imbocca la deviazione per Alberobello e, dopo sette chilometri, si raggiunge la masseria indicata dai relativi cartelli. Sorge isolata in un vasto pianoro con le caratteristiche tipiche delle masserie pugliesi: bianco accecante alle pareti, tetti a pignon, abitazioni a trullo.
Gestita, come la Masseria Russoli, dal Corpo Forestale dello Stato, è utilizzata per la conservazione e la riproduzione del cavallo murgese. Il nome pare derivi dalla particolarità della legna che si produceva in zona, i lioni, da cui il primitivo nome di Gallione. Un’altra ipotesi lo fa derivare dall’utilizzo del fragno, tipica quercia locale che serviva per la costruzione di particolari di galeoni, durante la dominazione spagnola.
La selezione del murgese, per alcuni razza autoctona, per altri derivante dall’incrocio con il cavallo salernitano o foggiano, è oggi impostata su tre linee: turismo equestre o equitazione da campagna, dressage e tiro leggero. Le caratteristiche tipiche della razza sono date dal mantello morello o grigio ferro, da una straordinaria prestanza fisica e dall’altezza che, per alcuni esemplari, può raggiungere anche i 166 centimetri al garrese. Gli stessi agenti della Forestale lo cavalcano durante le loro ronde nei boschi della zona; e sono pure utilizzati nell’annuale manifestazione della Cavalcata di Sant’Oronzo di Ostuni (vedi PleinAir nn. 324 e 325).
Per le visite guidate – che sono gratuite – bisogna rivolgere la richiesta, sempre con almeno tre giorni di anticipo, alla Gestione ex ASFD di Martina Franca (tel. 080/4306471). E’ inoltre possibile consumare la propria colazione in un’alberata area attrezzata dell’azienda con il divieto assoluto, però, di accendere fuochi.

Pane, mele e sosta
Per assaporare i piatti locali (vedi approfondimento “Non solo orecchiette”) ci si rivolgerà alla vicina azienda agrituristica Green Park (Via Mangiato Curcio 431, 74015 Martina Franca – TA; tel. 080/4400580), dove un ampio parcheggio con servizi, acqua, illuminazione può accogliere i v.r. anche per la sosta notturna. Ampi spazi verdi e un piccolo maneggio sono le ulteriori offerte di svago dell’azienda.
Ripresa la strada per Martina Franca – Noci, si consiglia una sosta presso l’azienda agricola Mongelli e Falcetti (Via Noci zona D 793, 74015 Martina Franca – TA; tel. 080/4400402), dove si coltiva la Murgina, la mela della valle d’Itria.
I titolari hanno qui impiantato meleti utilizzando sementi trentine. Grazie all’altezza della valle (580 m), al tipo di terreno e al microclima sono riusciti a ottenere un prodotto di eccellente qualità con un minimo impiego di fitofarmaci.
Tra le undici qualità coltivate ci sono la Golden B con buccia giallo dorata (adatta anche per la preparazione di torte e crostate), la Red Chief, classica mela rossa, e la Granny Smith dal colore verde brillante. In via sperimentale è stata avviata la coltivazione del Melus Bananus, di forma schiacciata, bianca e con venature rosse.

PleinAir 341 – dicembre 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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