Circolo virtuoso

Le fortune di Roma devono quasi tutto alle donne della Sabina. Ma i romani di oggi non sembrano curarsene, ignorando o quasi le straordinarie risorse di questa regione alle porte della capitale. Meno di un'ora di strada verso nordest, e si svela un mondo di rigogliosa natura e antichi borghi, di pleinair e altre sorprese. Le stesse che abbiamo inanellato circumnavigando in camper i Monti Sabini.

Indice dell'itinerario

Da Roma, raggiunta per autostrada e relativa bretella la località di Passo Corese, il primo paese verso il quale ci dirigiamo è Montopoli, che dalla sua solida torre estende su grandi distanze una magnifica veduta circolare. Tra le diverse ipotesi fiorite sul nome ci piace ricordare quella che fa riferimento a una villa romana che sarebbe appartenuta a Pollio o Pollione. Dalla porta urbica sulla provinciale si raggiunge subito la piazza del Comune, installato in uno dei palazzi eretti dagli Orsini che furono signori del luogo nel Cinquecento, inoltrandosi poi nella parte più antica fino alla Torre Ugonesca eretta intorno al Mille (interno appositamente restaurato per l’accesso dei visitatori alla terrazza; chiedere informazioni al Comune). Di recente nel centro storico è stato anche realizzato un ostello. Per la sosta a Montopoli non vi sono problemi perché proprio di fronte alla porta si scende a un doppio parcheggio panoramico; quello inferiore è attrezzato come area di servizio con prese d’acqua, pozzetto di scarico, illuminazione. Ma nella bella campagna di Montopoli si può anche visitare la maggiore azienda italiana produttrice di aquiloni. Ecco le coordinate: qualche chilometro prima del paese, in corrispondenza di una vecchia villa rossastra circondata da cipressi, una stradina scende in trecento metri all’antico pittoresco casale adibito a laboratorio. Se i camper sono più d’uno converrà andare a piedi, parcheggiando 600 metri dopo la villa (monastero con piazzale sterrato).
A non molta distanza da Montopoli, l’abitato di Bocchignano è quasi un incastellamento allo stato puro annegato in un ambiente boscoso, scoglio di fondovalle ricoperto da vecchie case e ancora rivestito di mura. Qui l’arco secentesco della porta non ha cancellato i segni di un precedente ponte levatoio, con feritoie e finestrella. Nel piazzaletto d’accesso, accanto al campanile che già fu torre di guardia, in tre lastre diverse sono curiosamente incisi tre schemi del gioco del filetto, del tutto simile all’odierno. Il passatempo, in auge tra i militi di guardia delle guarnigioni romane, ha confortato l’ipotesi di un più antico castrum militare, Buccinianum (da buccina, tromba guerresca). Bocchignano ebbe storia agitata che più volte lo condusse a scontri cruenti, conclusi in modo sfortunato nonostante il fossato e la triplice cinta di mura. Si trattava a volte di puntigli, come per la “guerra dell’erba” (evidentemente un pascolo) che agli inizi del Quattrocento precipitò il comune in tale stato d’indebitamento da doversi vendere a differenti padroni, tra i quali il mercante genovese Meliaduce Cicala. La passeggiata all’interno delle mura è gradevole per la cura delle stradine ma anche per la presenza di palazzetti di una certa dignità, come quello dei Tranquilli o l’ex palazzetto Bondioli, frutto della ristrutturazione di un precedente castello. Bocchignano ha agevolato la visita dei camperisti, che possono liberamente usufruire di un’area con i vari servizi, ben adatta anche alla sosta notturna: vi si accede sulla destra nel breve rettilineo che conduce all’arco d’ingresso. Una piccola curiosità, infine. Come in altri paesi della Bassa Sabina, abbiamo notato anche qui la diffusa usanza di lasciare sull’uscio o nelle aiuole bottiglie d’acqua piene a metà. Servono, ci è stato detto, a scoraggiare i gatti dal fare qualche bisognino o distendersi sui fiori. Abbiamo poi verificato nel nostro garage; e funziona!
Ancora pochi chilometri ed ecco Poggio Mirteto. I ritrovamenti archeologici hanno attestato come già fossero, questi, luoghi prediletti per gli ozi dei Romani. Poggio deriva da podium, che nel Medioevo indicava una posizione elevata atta alla difesa. Il paese diventò col tempo il centro più importante della Bassa Sabina e si estende oggi largamente all’esterno del centro storico. Per poter sistemare il camper si attraversa tutto l’abitato e quindi si svolta sulla sinistra all’altezza del distributore Esso, fino a trovare un cospicuo parcheggio segnalato da un’alta ciminiera. Quest’ultima costituisce un vero documento di archeologia essendo appartenuta alla prima vetreria industriale italiana (1826), che occupava più di cento dipendenti e fu chiusa agli inizi del ‘900. Un bar ampio e accogliente è situato proprio al centro del parcheggio. Di qui in pochi passi si raggiunge la piacevole piazza cittadina, che tra ‘500 e ‘600 si sviluppò in forma di ellisse come sede di fiere e mercati ma anche delle esecuzioni capitali (cui era dedicato l’angolo attualmente occupato dal chiosco dell’edicola). L’una accanto all’altro, in piazza si trovano anche la cattedrale sei-settecentesca e il palazzo del Comune, che mostra nella facciata i differenti stili della costruzione in più fasi. C’è anche una curiosità naturalistica: numerosi aceri con alcune parti del fogliame totalmente bianche, anziché verdi di clorofilla. Ai due estremi la piazza è conclusa dall’elegante chiesetta barocca di San Rocco e dalla Porta Farnese che introduce d’un tratto alle rudi prospettive del centro storico. Qui campeggia l’imponente mole del palazzo episcopale, di struttura medioevale con aggiornamenti successivi (ai lati del portale le sedi delle catene dell’antico ponte levatoio). Sotto il palazzo discende dal colle, come un fiume, la massa di tetti delle abitazioni. Da segnalare, la recentissima creazione nello stesso centro storico di due ostelli per la gioventù.Oltre al parcheggio citato più sopra, noi abbiamo utilizzato un panoramico piazzaletto, nella parte più alta della frazione San Valentino, dove uno o due camper possono trovar posto senza recare disturbo. E’ questo un comodo punto di partenza per passeggiate tra le boscose propaggini dei Monti Sabini. Ma per chi sia tentato dalle escursioni che citeremo nel seguito dell’itinerario, va ricordata un’utile iniziativa degli scout di Poggio Mirteto, che dopo aver censito personalmente la gran parte dei sentieri della catena hanno prodotto in economia una carta generale e un simpatico volumetto che ne dà la puntuale descrizione (può essere richiesto presso la sede ACI di Poggio Mirteto). Percorrendo la strada che corre lungo le pendici dei Monti Sabini, per raggiungere Catino e Poggio Catino occorre prendere una deviazione che forma all’inizio un largo spazio adatto a una sosta. Di questo approfittiamo per lasciare il mezzo e metterci in cammino alla ricerca dei resti della chiesa romanica di Sant’Agostino. Poiché in assenza di corrette indicazioni non ci è stato facile venire a capo dei viottoli e loro deviazioni, ecco le precise coordinate. Dal bivio indicato, retrocedere di trecento metri lungo la provinciale fino a imboccare sulla destra la Via Galantina; dopo 100 metri prendere la strada campestre sulla sinistra, quindi la prima a destra in forte discesa; continuare, sempre in discesa, finché si presenterà l’alternativa se volgere a sinistra o a destra: tenete a sinistra e quando troverete una fontanella (acqua potabile) sarete quasi arrivati. I resti della chiesetta, anteriore al Trecento, e l’ambiente naturale sono suggestivi e meritano la diversione (un chilometro dalla provinciale).
A Catino l’apparente difficoltà di parcheggiare un mezzo potrebbe indurre a passare oltre, ma sarebbe un errore. Intanto, per parcheggiare, basta girare a sinistra pochi metri dopo la svolta che entra in paese. La deviazione metterà a vostra disposizione una vera e profonda dolina. Poiché Catino, che da questa trasse il nome, sfruttò a scopo difensivo il terreno scosceso su un lato e la dolina sull’altro, si ha dal parcheggio la singolare veduta dell’abitato costruito appunto a filo dello sprofondamento carsico. La posizione dirupata rende la visita del paese, di nettissimo impianto medioevale, molto interessante per i voltoni, gli anditi, le scalette con cui si riuscì un tempo a superare le difficoltà dell’ambiente. Ma occorre salire oltre le ultime case per godersi la scenografica bellezza dei resti merlati della rocca, dai quali sorge un’ardita torre risalente al Mille, la più imponente del territorio dei Sabini. Per rinfrancarsi della fatica, nel bar all’angolo del parcheggio fanno ottimi gelati. Di fronte, la vista verso la sottostante Valle del Tevere e il Monte Soratte è altrettanto squisita.
A Poggio Catino (meno di un chilometro da Catino) si trova uno spazioso parcheggio con vista. L’insediamento di Poggio viene spiegato con l’impossibilità di ulteriori edificazioni tra le balze di Catino, che valorizzò l’altro abitato, divenuto più tardi la sede del potere feudale. Per capire il rilievo assunto dalla località nel Medioevo occorre tenere presente che di qui passa la direttrice montana, che taglia i Sabini a quota 800 e sulla quale tra breve ci inoltreremo. Collegando la Valle del Tevere alla piana reatina, la strada del Tancia sommava – come vedremo – alla rilevanza economica quella strategica e religiosa. L’importanza militare è sottolineata dalla presenza delle due rocche di Tancia e di Faducchi, oggi semplici ruderi sepolti tra i boschi. Ma affiora anche per via di un episodio della metà del ‘400, quando il signorotto dell’epoca, il conte Giovanni di Sant’Eustachio, lasciò morire nelle segrete della rocca di Catino – sembra per fame – i propri fratelli Ugo e Troilo. Papa Sisto IV privò il fratricida del feudo e Rieti si offrì immediatamente di comprarlo proprio per acquisire il controllo della strada. Comunque la città non riuscì a trovare tutto il danaro necessario e subentrò nell’acquisto il mercante genovese Cicala, che abbiamo già visto comperare Bocchignano e che tenne Poggio Catino solo per pochi anni. Tra i proprietari che seguirono, i più tenaci furono i rappresentanti della famiglia comasca degli Olgiati, dal 1611 fino all’abolizione pontificia dei feudi nel 1816.
Ora, nel metterci in cammino sulla strada di montagna che si diceva, al punto più elevato di Poggio Catino i rilevanti resti della rocca (che affacciano oggi su un giardino pubblico) hanno da raccontarci di una vicenda restata misteriosa. Nel 1933, crollando in parte il muro di un torrione, venne alla luce un vano fin allora ignorato. La cella era intatta e conteneva lo scheletro di una giovane donna con ceppi a polsi e caviglie. Nulla sappiamo dell’episodio, attribuito al periodo degli Orsini, tra ‘400 e ‘500; si può solo arguire, dato il tipo di pena inflitto, la nobile origine della sventurata incolpata di adulterio (lo scheletro si conserva nel Museo Criminologico di Roma, Via del Gonfalone 29). La strada del Tancia, che percorreremo per una decina di chilometri fino all’antica “Osteria del Tancia” prima di ritornare sui nostri passi, ci introduce subito nel fitto dei boschi di leccio che come un immenso polmone verde ricoprono questo versante dei Sabini. Riportata fino ad alcuni anni fa sulle carte come sterrato, attualmente la strada è asfaltata ma resta sinuosa e spesso stretta; richiede dunque particolare prudenza. Qualche chilometro dopo Poggio Catino, nel tratto iniziale punteggiato da una lottizzazione di ville sparse, è da segnalare la deviazione asfaltata sulla sinistra che termina in breve alla località Cisterna. Qui le larghe radure nel bosco offrono ombra (ci si trova anche una fontanella) e ospitano una trattoria con cucina casereccia che varrà la pena di provare. Ripresa la strada, ai lecci comincia a sostituirsi il bosco di caducifoglie e si incontra qualche piccolo spiazzo. Subito al di là di un ponticello, tracciato a S forse per scoraggiare il traffico pesante, sulla sinistra un’ansa con cancelletto segnala l’inizio di un’immancabile escursione alla grotta di San Michele. Ma occorrendo abbandonare il mezzo, bisognerà procedere fino al primo spiazzo disponibile.
E il piazzale dell’Osteria del Tancia, dove ci arrestiamo, è un punto di sosta di tradizione assai antica. Nel sito dell’osteria c’è oggi un ostello quasi ultimato e un grande spiazzo con una fontana dal potentissimo getto orizzontale. Parcheggiando qui ci si trova in buona posizione anche per imboccare, qualche centinaio di metri più avanti, il sentiero che porta alla cima del Tancia, il più elevato di questi monti insieme al Pizzuto. Il percorso che abbiamo scelto ha il vantaggio di partire già da quota 800, per un dislivello di quasi 500 metri. Percorriamo inizialmente una strada bianca con sbarra e dopo circa quattro chilometri proseguiamo su un sentiero ombroso a mezza costa, fino a un passetto dove si trova il primo dei segnali rossi. Di qui continuiamo a quasi 180°, tenendoci non lontani dalla cresta e attraversando una bella foresta di faggi. Il Tancia si compone di più cime consecutive di crescente altezza, con modesti saliscendi e aperte radure. Dalla sommità, raggiunta in due ore e mezzo, si può fare ritorno per un più breve ed erto sentiero ma la nebbia consiglia il percorso dell’andata. Il camper ci riporta poi a Poggio Catino e al versante occidentale.
Roccantica, in splendida posizione e attorniata da boschi, non fa torto al bel nome. Della dominante rocca ci sono ormai solo i resti, ma più in basso il piazzale di sosta affaccia su una liscia siepe di edifici eretta contro eventuali assalitori. I quali si disposero all’assedio, con le peggiori intenzioni, in quel lontano 1060 in cui papa Nicola II in fuga da Roma cercò qui scampo dai suoi nemici. Nella strenua difesa i roccolani stavano per avere la peggio quando le amiche milizie normanne intervennero salvando il pontefice. Da allora il paese ricevette sempre dai papi un trattamento di particolare favore. La domenica dopo San Giuseppe qui si tiene la tradizionale Sagra del Frittello (a base di cavolfiore) ma molto sentite sono soprattutto le rievocazioni in costume, per le quali esiste addirittura una “sartoria medioevale”.
Roccantica è punto di partenza dell’escursione alle fredde sorgenti di Fonte Regna. Da qui parte poi il sentiero più breve per i quasi 1300 metri di Monte Pizzuto, massimo belvedere sui territori a ovest dei Sabini. Più breve ma di grande interesse anche la camminata (40 minuti) all’eremo rupestre di San Leonardo. Occorre prendere la stradina in salita che fa seguito al piazzale di sosta e cento metri dopo continuare per il sentiero in discesa sulla destra (con due successive deviazioni: prima a sinistra, e poi di nuovo a destra). Il romitorio, di probabile origine medioevale, si trova in un sito affascinante, un tempo reso abitabile anche con l’ausilio di qualche muratura, una cappella con altare, un orticello. Né vi mancava il conforto delle immagini, delle quali resta un deteriorato dipinto del ‘400 nel quale ci è parso di riconoscere i simboli del Cammino di Santiago. Una vaschetta con affioramento d’acqua perenne che mai trabocca dava da bere all’eremita ed era ritenuta miracolosa, specie per le partorienti, in tutti i paesi dei dintorni. Nel tornare, una piccola diversione raggiunge in pochi minuti il letto del Galantina, dove è ancora in piedi un massiccio mulino in pietra inoperoso da secoli.
Ancora una notevole escursione, collegabile a quella a San Leonardo, conduce all’impressionante dolina carsica del Revotano. Cosa potrà esserci di vero nella leggenda secondo la quale il crollo della copertura della grande cavità travolse un abitato più remoto di Roccantica? Ma per andarci è preferibile la guida di qualcuno del luogo, specie quando nella buona stagione il fitto fogliame nasconde ogni punto di riferimento ed è facile smarrirsi nei boschi.L’abitato di Casperia ricopre un colle conico in parte ancora protetto dall’anello delle antiche mura. Nel piazzale all’ingresso del paese, dove conviene lasciare il mezzo, la secentesca chiesa in cotto dell’Annunziata vanta nientemeno che un’Annunciazione del Sassoferrato. Ciò che si trova attraversando le mura è un aggraziato ambiente urbano dal sapore antico, percorso da cordonate e acciottolati. In un ambiente così merita citazione una di quelle piccole iniziative capaci di dare un’ospitalità ricca di carattere. Si chiama “La Torretta” ed è un bed & breakfast all’italiana di appena sei camere, nato dalla ristrutturazione di un antico edificio. Più in alto, nella piazza della chiesa di San Giovanni Battista al vertice dell’abitato, la duecentesca torre campanaria a bifore è riconoscibile da grande distanza. Ma osservandola con attenzione ci si accorge che la loggetta dell’ultimo piano, a sei bifore, è stata aggiunta in tempi recenti per occultare il serbatoio dell’acquedotto.
Tornati a girare intorno ai Sabini ecco Montasola, ormai pochissime anime, dove il bastione della porta è il più visibile segno del passato, ed ecco il bel profilo dominante di Cottanello, a 550 metri, protetto da mura e porte al cui esterno non mancano spazi per la sosta. Poco fuori dal paese c’è da vedere, elegantemente incastrata nei calcari, la remota chiesetta rupestre detta di San Cataldo. Quale nesso potrà esservi con il fatto che Cataldo fu vescovo di Taranto, terra ricchissima di eremi rupestri dove ripararono i monaci sfuggiti alla persecuzione di Bisanzio? Volendo ammirare all’interno gli affreschi di varie epoche occorrerà affidarsi alla cortesia dell’assessore al turismo del Comune (tel. 0746/66127). La montagna circostante dovette essere in passato buon asilo di lupi se, ancora nel 1823, Cottanello versava ai francescani di Greccio una misura d’olio all’anno per riconoscenza al Santo che ne aveva allontanato il pericolo. Oggi non è certo il lupo a scoraggiare la visita delle Prata di Cottanello, ampie estensioni di pascoli e bosco, casomai la carrareccia, che dopo i primi chilometri asfaltati ha tratti in deplorevole stato (ma con qualche sofferenza un camper può farcela). Arrivati in quota si incontra subito un villaggio di pastori, disabitato, e una zona picnic attrezzata con tavoli e griglie (vedi PleinAir n. 285).Tornati a Cottanello, la strada che porta al versante est dei Monti Sabini passa ad oltre ottocento metri e corre in gran parte tra i boschi. Poco prima del valico, la località Piè di Morra offre sulla destra ampi spazi di sosta. E’ di qui che può prendere le mosse un trekking che segue l’asse nord-sud dei Sabini (dovrebbe comprendere un pernottamento) e nella seconda parte percorre la bella Valle Gemini, fino a sboccare al citato ponticello sulla strada del Tancia.
Raggiungiamo i margini della conca reatina, a Contigliano, il cui centro storico si eleva su una rupe nettamente isolata dall’espansione moderna. Saliamo fino a Piazza Sant’Antonio dove, nonostante una segnaletica un po’ ambigua e lo spazio limitato (2 o 3 camper al massimo), riusciamo ad accertare che la sosta è consentita e vi trascorriamo la notte in tutta tranquillità. Siamo in una nobile piazza limitata da un bel palazzo d’epoca, alle soglie della porta urbica e ai piedi di un’abside barocca di imponenza sorprendente per le dimensioni dell’abitato. Una rara scenografia! Al di là della porta scivoliamo tra altri palazzi d’epoca e linde viuzze riccamente decorate con motivi floreali. La fortuna dà una mano e incontriamo un parroco squisito, don Ercole, che ci aiuta a vedere e capire. Nonostante sia quasi sera apre la grande chiesa, la Collegiata di San Michele, che subito rivela la sua barocca magnificenza, primo su tutto uno sbalorditivo organo con una preziosa meccanica e una cassa in legno di noce di leggiadra fattura settecentesca. Le alte vetrate gialle riescono a moltiplicare l’ultima luce che sottolinea, sfiorandoli, gli stucchi del soffitto. Torneremo il mattino dopo per ammirare il coro, i rari intagli dei confessionali, e per scoprire come venne colmato il forte dislivello del terreno tra facciata e abside. La chiesa (quel primo culto di San Michele nella grotta del Tancia si diffuse in tutta la zona) fu eretta tra fine ‘600 e metà ‘700 con i soli contributi degli abitanti di Contigliano e testimonia un periodo di rilevante sviluppo demografico ed economico. Era insomma passata diversa acqua sotto i ponti da quando, nel 1501, giunto sotto le mura, Vitellozzo Vitelli aveva ordinato di consegnare rifornimenti per sé e i suoi mercenari. All’imposizione insopportabile per le povere risorse di quei contadini, una popolana reagì scagliando un sasso e il Vitelli fece dare subito battaglia: “La prima morta fu quella donna, et entrando dentro de suoi genti admazzarono 127 homini et quattro donne, quasi non ce rimase più homo, excepti quelle erano gite fuore, et mise ad saccomando lo detto castello”. All’episodio si richiamano le manifestazioni in costume, ma anche musicali e gastronomiche, che si svolgono nell’arco di più giorni la prima settimana d’agosto. Per sostare con più agio alle soglie del centro storico, il parcheggio che suggeriamo è in Piazza degli Eroi, facendo i conti con gli orari dei pochi bus diretti alla parte antica (o salendovi a piedi per scalinate). Sarebbe comunque proficuo che il Comune, che ha già adattato a ostello la vecchia Villa Franceschini (con parco), predisponesse per i camper un’apposita area. La proposta è tanto più attuale in quanto, in questi giorni, stanno per essere completati i restauri di un altro ignorato tesoro di Contigliano, che abbiamo visitato in anteprima per i nostri lettori. Da quasi un secolo vanamente si parlava e si scriveva della necessità di recuperare l’abbandonata abbazia cistercense di San Pastore, della metà del Duecento. Scoperchiati i tetti, una vegetazione selvaggia aveva invaso i vari ambienti, la chiesa e il chiostro, mentre mani rapaci avevano predato tutto il possibile. Ora c’è da stropicciarsi gli occhi: San Pastore sembra toccato dalla bacchetta magica, restaurato e ancora da completare ma già tornato magnifico – metà castello metà convento – sullo sfondo delle boscose pendici dei Sabini. Chi si è dedicato all’impresa dopo aver acquistato i resti dai vecchi proprietari si chiama Antonacci ed è un imprenditore reatino che ha già compiuto simili imprese di recupero per hobby, come altri collezionerebbe chissà quali costose futilità, e senza pensare a improbabili rientri. Per andare a San Pastore chiedete della frazione Piani e della sorgente Onnina. Di qui un ombroso sentiero (è quello sulla sinistra) conduce in un quarto d’ora all’abbazia.
Lungo la strada che da Contigliano ci porta ora verso la Val Canera i resti della chiesa romanica di San Lorenzo, citata fin dal IX secolo, si trovano prendendo una breve deviazione segnalata sulla destra: su un colle dove si svolgeva fino a trent’anni fa un’antica fiera agricola. La valle percorsa dal rio Canera, che limita il versante orientale dei Monti Sabini, è un appartato lembo di territorio molto bello e ubertoso. Su tutto l’anello che stiamo percorrendo intorno ai Sabini, il traffico è in genere modesto e le passeggiate in bici sono piacevoli, in specie sui tratti pianeggianti come questo. Col nostro mezzo preferiamo però, una volta nella valle, prendere la variante collinare che passa per gli antichi centri di Collebaccaro e San Filippo. Il primo è un medioevale gruppo di case in cima a una collina che sottolinea nel nome (da Collevaccaro) la vocazione pastorale dei Monti Sabini; San Filippo è un cerchio di case intorno a una piazza che curiosamente ci ricorda la tattica usata dai pionieri del Far West per difendersi dagli indiani e cioè disporre i carri in circolo per formare una barriera. Ridiscesi in basso troverete a destra la deviazione per Poggio Perugino, ma prima di imboccarla seguiteci in un altro piccolo tuffo nel passato. Non sappiamo quanti mulini ad acqua ancora esistano ma in località Piani di San Filippo, proprio di fronte al punto in cui la nostra variante sbocca nella provinciale, il mulino Belloni (impossibile dire a quando risalga) non ha mai smesso di macinare l’orzo per gli animali e il grano per il pane. Con signorile cortesia la signora Cesarina, figlia di un Pirzio mugnaio, ricordato come un personaggio mitico, ci ha invitato nella sua casa ad osservarne il funzionamento.
Colle Perugino, minuscolo borgo appollaiato in solitudine a più di 800 metri, è stato già ricordato in queste pagine (vedi PleinAir n. 318). Si trova in posizione strategica per chi voglia compiere qualche escursione da est nel cuore della catena dei Sabini. Un’immancabile destinazione è la bella distesa delle Prata di Poggio Perugino, trecento metri di dislivello e poco più di un’ora di cammino tra i boschi. Per lasciare il mezzo, e per pernottare, prendete alla prima casa del paese la salitina in curva sulla destra. Sfiorerete una casa isolata oltre la quale un viottolo rotabile porta in breve a una spianata erbosa, sufficiente ad ospitare anche qualche decina di mezzi. Ritornati a valle, l’indicazione per Cerchiara porta dapprima ad avvicinare la chiesetta romanica dei SS. Martiri (XI secolo), che viene aperta solo la domenica per la Messa, e poi il minuscolo abitato di Cerchiara, borgo del silenzio dove il Medioevo ha lasciato un segno nella pesante porta urbana in legno, tuttora incardinata negli originari anelli di pietra. Monte San Giovanni invece, alla testata della Val Canera, gode di una bella vista sulla fiancata est dei Sabini, ma non mostra grandi segni del passato.
E qui il nostro anello intorno e sopra i Monti Sabini è davvero chiuso. Ma dobbiamo darvi una cattiva notizia: se intendete conoscere questo magico pezzo del nostro paese, fatelo prima della catastrofe. E’ già pronto il progetto per una bretella da Rieti all’Autostrada del Sole che dovrebbe sventrarlo seguendo la famosa direttrice preistorica e medioevale del Tancia. Se San Michele e le associazioni ambientaliste non si impegneranno a dovere, questa volta la battaglia col Maligno sarà perduta.

PleinAir 332 – marzo 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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