Chi si rivede, Elvis!

Era il 1954 quando Presley incise le prime canzoni di quello che sarebbe stato battezzato rock'n'roll. Esattamente cinquant'anni dopo, andiamo a riscoprirne miti e personaggi nello scatenato revival del Summer Jamboree.

Indice dell'itinerario

“Immaginate un’intera zona della città aperta al traffico solo per le macchine americane anni ’40 e ’50, persone col ciuffo provenienti da ogni parte del globo, rocker e pin-up a spasso per le vie del centro, jam session in ogni angolo, grandi concerti e musica fino al mattino; e poi sole, mare, rock’n’roll, divertimento per un appuntamento dedicato non solo ad un pubblico giovane ma anche alle famiglie”.
Così recita la locandina – e miglior sintesi non si poteva fare – del Summer Jamboree, un festival forse unico al mondo che si svolge da qualche anno a Senigallia nel mese di agosto. Ma non si tratta di un revival per nostalgici, essendo il pubblico composto quasi esclusivamente da giovani che vogliono scoprire cosa si faceva e come si viveva in quegli anni mitici; mentre quelli che all’epoca videro sbarcare in Italia il rock’n’roll e le relative mode si ritrovano ora sulle piste del liscio, al punto da chiedersi con quale gente ci s’incontrava un tempo alle feste. Sotto il palco allestito nel Foro Annonario, monumentale costruzione ottocentesca con colonnato circolare che pare concepita proprio per ospitare concerti, di anziani se ne vedono pochini, quelli che non si sentono imbarazzati nel mescolarsi a ballare assieme ai giovani la “loro” musica e dicono: «Glielo facciamo vedere noi cos’è il vero rock’n’roll!».
D’altra parte i nomi dei mostri sacri, notevolmente attempati nei loro costumi sgargianti ma sempre in gran forma, che vengono di anno in anno coinvolti in questo festival dicono qualcosa solo ai cultori del genere. Nel 1957, l’anno dell’arrivo ufficiale in Italia, i promotori furono in pratica soltanto due, oggi entrambi scomparsi: Bill Haley (quello con la faccia di luna e il ciuffetto tirabaci che, assieme ai Comets, ci fece conoscere Rock around the clock) e il mitico Elvis Presley. Più avanti sarebbero venuti Gene Vincent (quello di Be bop a lula), Little Richard e altri oggi dimenticati, più i loro emuli italiani, a cominciare da Gaber, Celentano e, non ci credereste, un Francesco Guccini all’esordio della carriera che suonava nelle balere imitando proprio Gene Vincent.
Altra musica, altri balli, altre mode sono poi arrivati a soppiantare il rock’n’roll nei gusti dei giovani: ma il genere in America è sopravvissuto assieme al country, anzi a volte contaminandosi con lo stesso, come si può notare nei gruppi di ultima generazione che si esibiscono a Senigallia all’inizio dei concerti, a volte nel tardo pomeriggio e davanti a una platea desolatamente vuota, oppure sul lungomare a evocare presunte atmosfere hawaiane.
Se questo tipo di musica può non interessare o addirittura disturbare (i decibel ci sono tutti!), assolutamente da non perdere gli eventi di contorno. Tra le auto e moto storiche presenti nell’ultima edizione spiccavano il camioncino che solitamente si vede circolare nei film sulla provincia americana, un curioso sidecar svizzero e una Cadillac a otto porte del 1946 (una limousine di forma bombata, lunga almeno 7 metri, che si sarebbe potuta trasformare in un elegantissimo e unico v.r.). E poi il mercato all’aperto con abiti usati, scarpe bicolori, gadget, dischi originali, juke box, chitarre e così via, nonché un parrucchiere per uomo disponibile ad eseguire, gratuitamente e sulla sua sedia d’epoca, tagli e acconciature in stile (ad esempio un bel ciuffo alla Elvis per i fortunati che ancora se lo possono permettere…).
Chi ha vissuto quell’epoca e all’età giusta, oggi al massimo proverà nostalgia – ma neanche troppa – per un’adolescenza sprecata a sognare l’America sotto la cappa dei famigerati anni ’50 nostrani. Per chi invece era bambino o neppure nato, quel periodo costituisce un mito esasperato nel tempo dai media, dalle pubblicità o da squallidi remake cinematografici. Certo, l’America era il nuovo: nella musica (il jazz prima ancora del rock’n’roll, che poi fu semplicemente un’evoluzione popolare del rhythm and blues), nel cinema (arrivarono le proiezioni su grande schermo), nel vestire (l’esplosione dei jeans che vennero fatti indossare pure ai lattanti, mortificando chi aveva atteso una vita per passare dai calzoni corti ai pantaloni da adulto), nel bere (d’accordo il vino, ma alle feste private ci venivano di solito rifilati gli avanzi del bar di casa, vermuth dolce, curaçao e doppio Kümmel… finché comparve la prima bottiglia di whisky).
Ma l’America era anche mettersion the road senza aver letto Kerouac, provando l’autostop come s’era visto in tanti film. La massa si arenò sulle piste da ballo o nei cinema, mentre qualche stravagante fuori dal gregge si scoprì viaggiatore: e questo avrebbe cambiato la sua vita.

PleinAir 384/385 – luglio/agosto 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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