Cavalcata araba

Dalle meraviglie architettoniche della Granada medioevale, caposaldo ottomano dell'Occidente, fino alle vette della Sierra Nevada in un'inedita avventura cicloescursionistica sulla strada più alta d'Europa.

Indice dell'itinerario

Il profumo dei gelsomini sale dai giardini del Generalife lungo i rossi bastioni dell’Alhambra, mentre il canto dell’usignolo riecheggia in tutta la valle. L’aria frizzante della Sierra penetra nella cittadella, scivola tra le stanze e i cortili dei palazzi, sfiora le volte di legno scuro intarsiate, come cieli notturni, da astri di madreperla. E’ in momenti come questi, lontano dagli assalti che le nutrite comitive dei turisti sferrano quotidianamente all’ultima grandiosa testimonianza della cultura musulmana in Europa, che meglio si coglie il significato architettonico del complesso monumentale. La reggia fortificata, che sorge su un terrapieno collinare all’estremità sud-orientale di Granada, appare al visitatore come il sigillo dell’imminente tramonto del dominio arabo sull’Andalusia, la sede più vitale della civiltà islamica in Occidente; e non si può apprezzare pienamente l’Alhambra se non cogliendo il raffinato accordo delle sue forme con il paesaggio che la circonda. Ai piedi si distende il candido abitato con i tre quartieri della melagrana matura, simbolo della cittadina, e tutt’intorno una valle vivificata dalle acque che scendono dalla gigantesca quinta rocciosa alle sue spalle: la Sierra Nevada che, come ricorda il nome, può essere spruzzata di bianco persino durante le estati più torride. Oggi sono le nevi del Mulhacén (3.481 m), la massima elevazione della penisola iberica, a rappresentare l’ultimo legame con l’ambiente che doveva caratterizzare queste montagne al tempo della dominazione musulmana. Anche la Sierra ha infatti subito le conseguenze dell’impatto antropico: pur ospitando ben 14 cime oltre i 3.000 metri di quota, non rivela una morfologia particolarmente inaccessibile, e ciò ne ha reso possibile e facile la colonizzazione in ogni epoca. Soltanto durante l’inverno, a causa dei rigori climatici, le alture si presentavano completamente disabitate, mentre in primavera accoglievano un gran numero di pastori, cacciatori, raccoglitori e agricoltori stagionali. Oggi è attraversata dalla carretera mas alta de Europa, una strada asfaltata e ben tenuta che sale fin sotto ai 3.400 metri del Pico Veleta. La porta del regno Il nostro viaggio in terra andalusa prende il via da Malaga, sulla celebre Costa del Sol. Una parte di questo affaccio mediterraneo è tristemente nota per essere stata trasformata, da un insieme di incantevoli villaggi di pescatori, in una riviera turistica della peggior specie, come a Torremolinos. Una gentile signora, proprietaria di una delle tante pensioncine della zona meno moderna, ci spiega che negli ultimi trent’anni il governo ha permesso uno scempio inimmaginabile: fiumi di cemento hanno completamente stravolto questo versante senza il minimo criterio di salvaguardia o di rispetto per l’ambiente originario. E’ impossibile attraversare Torremolinos senza avvertire un brivido di disagio, eppure centinaia di migliaia di persone ogni anno continuano a scegliere questa località come meta di vacanza. Fortunatamente il nostro tragitto si snoda verso nord-est, e qui la Sierra Nevada, quando non si getta nel mare con ripidi strapiombi, regala magnifiche vedute. Entrando nell’abitato di Almuñécar osserviamo graziose casette cubiche imbiancate a calce e incontriamo alcuni pescatori dal viso segnato e le mani ruvide. Poco più di 70 chilometri nell’entroterra, ed eccoci alle porte di Granada. Questa città è veramente la compiuta espressione, nel tempo e nell’arte, della civiltà ispano-araba. Sulla sua strategica acropoli naturale, fra il XIII e il XIV secolo fu edificato il complesso dell’Alhambra, di poco preceduto dal Generalife (antica residenza estiva dei sovrani Nasridi) i cui giardini regalano angoli incantati tra gli alberi, i roseti, le fontanelle. Non a caso l’acqua è l’elemento naturale dominante vista la grande importanza attribuitale dalla civiltà araba, originaria del deserto: dono di Dio, essa è simbolo della vita e della gioia tanto sulla terra quanto in paradiso. In bici sulla vetta Una notte di riposo è il necessario preludio alla salita sulla Sierra Nevada, che affronteremo in bicicletta. Il percorso per raggiungere il Pico Veleta si sviluppa per 54 chilometri, coprendo un dislivello di ben 2.800 metri. A quota 2.700 avremo la sorpresa di veder scomparire la strada sotto un manto di neve, che qui resiste anche alla calura estiva: niente paura, la zona è costellata di alberghi e rifugi (in uno dei quali pernotteremo) al servizio degli impianti sciistici, pur se il paesaggio delle cime non appare modificato da interventi umani. Il mattino seguente, alle vivide luci dell’alba, partiamo a piedi con lo scopo di percorrere gli ultimi 600 metri di dislivello che ci separano dal Veleta, ben visibile dal nostro rifugio. Per caso troviamo la segnaletica indicante quota 3.050, e poco distante qualche metro quadrato di asfalto spolverato dal vento ci ricorda che la strada è sempre sotto ai nostri scarponi. Con il sole che stenta a farsi vivo tra la nebbia, verso metà giornata siamo sulla cima: in direzione sud, velati da dense foschie, s’intuiscono il Mediterraneo e la costa maghrebina. Il tempo più tardi andrà migliorando, ma il freddo rimarrà davvero pungente. Di nuovo in sella alle nostre bici, facciamo ritorno a Granada: lanciarsi da quelle altezze con le due ruote è un’autentica esplosione di adrenalina. Dai monti al mare Dopo l’inebriante esperienza ad alta quota, riprendiamo la marcia in direzione di Guadix valicando alcuni passi montani tra i quali El Molinillo, a 1.300 metri di altitudine, dove la Sierra si offre in tutto il suo splendore: dirupi, boschi di conifere, paesini arroccati e tante trattorie dove gustare un buon gazpacho o una saporita paella. Lungo strada, pochi chilometri prima della città, si entra nel villaggio di Purullena, un insediamento trogloditico di grandissimo interesse: in parte scavato nella roccia, propone al visitatore uno scenario surreale con pinnacoli di arenaria che paiono spuntare dal nulla. Tra una montagnola, un sentiero, una grotta, ci avventuriamo sui ciottoli rossastri lungo sentieri e stradicciole che ci conducono alla scoperta dei resti fatiscenti di un mondo ormai scomparso. La statale corre ora in leggera discesa tra rare casette bianche e grigie, con la Sierra dalle scure pendici ammantate di neve fresca che incombe severa su di noi. Superato Los Navarros, la carretera principale s’incunea in una regione dalla fisionomia presahariana: montagne, colline, a volte semplici dossi, in un susseguirsi di alture dalle sagome difformi dove l’assenza di vegetazione e di centri abitati ricorda certe aree selvatiche del Nordafrica. Ed eccoci di nuovo sul mare, ad Almería. Fondata nel IX secolo dagli arabi, sotto il dominio musulmano divenne uno dei porti principali dell’Andalusia e merita senz’altro una visita approfondita: da non perdere la parte vecchia, il quartiere gitano della Chanca e la massiccia fortezza dell’Alcabaza, che offre una vista spettacolare su tutta la città. Ancora una tappa prima di fare ritorno a Malaga, dove si chiuderà il nostro anello: la cittadina di Nerja, incastonata tra calette sabbiose scandite da rocce e macchia mediterranea. L’ideale per trascorrere in relax gli ultimi giorni di vacanza tra una pedalata sul lungomare, quattro passi lungo le animate viuzze e una sosta gastronomica in uno dei suoi accoglienti ristorantini, dove gustare gli ultimi sapori di questa Andalusia. PleinAir 386 – settembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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