Castelli sul vulcano

Per chi abita a Roma è da secoli la meta delle gite fuoriporta, apparentemente fin troppo conosciuta. E invece i Colli Albani, oggi protetti da un parco, riservano più di una sorpresa non solo al turista in cerca di antichità e buoni sapori, ma anche a chi arriva da dietro l'angolo.

Indice dell'itinerario

Per grandi e bambini il mugnaio è una figura delle favole, un signore con i capelli imbiancati dalla farina, che compare nelle storie di Andersen e dei Fratelli Grimm. A Lariano, mezz’ora di marcia dal Grande Raccordo Anulare di Roma, il mugnaio è un personaggio in carne e ossa, si chiama Augusto Carosi e lavora a pochi metri dalla piazza del paese. La sua è una passione di famiglia: a inaugurare il mulino Carosi fu il bisnonno Francesco, nel 1868, e grazie alle macine di pietra importate a caro prezzo dalla Francia la sua fama si sparse rapidamente nei dintorni. «In quegli anni i contadini portavano il grano al mulino. Lo caricavano sui muli, venivano anche da Velletri» racconta Augusto con orgoglio. Alle nove del mattino e alle quattro del pomeriggio, tutti i giorni, mette in moto le sue macine che pesano 12 quintali ciascuna, inserisce il grano o il granoturco, segue la molitura con l’attenzione di un vero maestro artigiano. Una parte della farina viene venduta al pubblico, formato soprattutto dalle massaie, un’altra va ai forni e ai biscottifici di Roma, ma quasi tutta rimane a Lariano e contribuisce al profumo di uno dei pani più famosi del Lazio.
Non è un caso se sulla strada principale si allineano una ventina di panifici. «La ricetta è immutata da decenni» spiega Sauro Petroni, titolare di uno dei più importanti. «Centotrenta chili di farina si miscelano con ottanta litri d’acqua, due chili di sale e un po’ di lievito. Dopo un’ora e venti minuti nel forno a legna, con una temperatura di partenza di 350 gradi che poi cala, si ottengono centotrenta pagnotte da un chilo e 300 grammi».

Monte Cavo: resti di epoca romana della Via Sacra
Monte Cavo: resti di epoca romana della Via Sacra

A 20 chilometri dalla Capitale, ormai lambiti dalla periferia cittadina, i Colli Albani sfiorano i 1.000 metri di quota nell’Artemisio e nel Monte Cavo, offrendo straordinari panorami sul Lazio. Da Frascati, all’imbrunire, le luci di Roma sembrano a portata di mano, e dal Tuscolo, d’inverno, si vedono la neve dell’Appennino e il Tirreno. Secondo gli antichi l’Urbe era figlia di Albalonga, la città dei Latini patria di Romolo e Remo. E Roma antica ha costruito su questi colli i santuari di Giove a Monte Cavo e di Giunone a Lanuvio, mentre lungo la Via Appia sorgono a centinaia monumenti sepolcrali e ville. Poi vennero un Medioevo cruento, i palazzi delle nobili famiglie romane (i Chigi ad Ariccia, gli Aldobrandini a Frascati e i Colonna a Marino, dove la Sagra dell’Uva ricorda la vittoria di Marcantonio Colonna a Lepanto), la residenza papale a Castel Gandolfo, i viaggiatori del Grand Tour, i bombardamenti del 1944.

Ai Castelli Romani

Tusculum: resti di un teatro romano
Tusculum: resti di un teatro romano

Ai Castelli Romani i primi gitanti “di massa” sono arrivati nel 1856, quando Papa Pio IX inaugurò la ferrovia che collegava Roma a Frascati. Salutato all’epoca come il trionfo del progresso, quello sbuffante trenino era il primo passo di un processo perverso che, negli ultimi cinquant’anni, ha portato la metropoli a invadere le sue colline. Oggi sui Colli si inerpicano l’Autostrada del Sole, tre statali – l’Appia, la Via dei Laghi, la Tuscolana – e tre ferrovie, la popolazione è salita da 40.000 a 300.000 persone e in molti centri l’edilizia moderna assedia le architetture del passato.
Dal 1985 il Parco Regionale dei Castelli Romani cerca di porre un freno a questa situazione, di tenere puliti i boschi, di segnare sentieri: le orchidee selvatiche che fioriscono a primavera e il falco pellegrino che nidifica a pochi metri dalla Via dei Laghi dimostrano che la battaglia per la natura è importante. Quella per l’anima dei Castelli, invece, si gioca su tavoli diversi. «Fino agli anni ’80 a Frascati c’erano cinquanta o sessanta osterie» racconta Bruno Bronzini, titolare del ristorante Zarazà. «Molte erano le tradizionali fraschette dove i clienti portavano il cibo da casa, e che potevano vendere solo il vino di produzione propria. Aprivano a Natale e chiudevano a Pasqua. Poi qualcuno ha iniziato a cucinare, molti hanno chiuso, altri come noi si sono trasformati in ristoranti». «Oggi molte osterie si sono riconvertite in gelaterie o in pub» aggiunge Massimo Grossi della Cantina San Gaetano. «Restano una ventina di locali ancora relativamente autentici. Qualcuno vende solo vino, altri come noi hanno una licenza per buffet freddo. E c’è un’associazione, Le Antiche Osterie, che tenta di rilanciarli».

Frascati: le scuderie Aldobrandini, ora centro clulturale ed espositivo
Frascati: le scuderie Aldobrandini, ora centro clulturale ed espositivo

Alla Cantina San Gaetano si mangiano formaggi e salumi, da Zarazà una cucina romanesca curata. Ma c’è un punto in comune: vent’anni fa Bruno Bronzini lavorava in banca, Massimo Grossi all’ospedale, e la loro scelta di dedicarsi ai locali è un indizio di passione e una speranza. Ha invece origini ciociare e ha lavorato a Roma Adriana Montellanico, titolare de La Briciola di Grottaferrata, che recupera e innova da anni le antiche ricette del Lazio e ha strappato all’inviata del New York Times una raffica di superb e delicious. «La zona di Velletri – spiega – è una miniera di ricette a base di verdure». E le zucchine alla velletrana, la vignarola con i carciofi freschi e le fave, la finocchiella selvatica utilizzata nelle zuppe sembrano darle ragione.

Velletri: monumento ad Augusto
Velletri: monumento ad Augusto

Velletri, dove l’estremità meridionale dei Colli si affaccia sull’Agro Pontino, è anche la patria dell’olio dei Castelli. «La quota sui 350 metri e il terreno vulcanico fanno del nostro extravergine uno dei migliori del Lazio» dice Costantino Giorgi, titolare del Frantoio Santa Chiara. Ma altri sapori attendono chi torna verso Roma sulla Via Appia, come a Nemi dove le arnie di Gino De Sanctis regalano un ottimo miele di castagno. A Genzano, il forno di Sergio Bocchini è un santuario dedicato al pane di Genzano, il primo del Lazio ad aver ottenuto il marchio di Indicazione Geografica Protetta. Ad Ariccia invece è Flavio Mancini, ciociaro di origine e castellano per scelta, a spiegarci i segreti della porchetta e del tronchetto, il maialino al forno privo di testa e zampe: per entrambi si utilizzano femmine intorno agli otto mesi di età e agli 80 chili di peso, che in quattro ore di forno si riducono a circa 35 chili per la porchetta e a una decina per il tronchetto. Nella sola Ariccia sono oggi attivi diciotto produttori.

Ariccia: chiesa di Santa Maria dell'Annunziata
Ariccia: chiesa di Santa Maria dell’Annunziata

Impossibile parlare dei Castelli, però, senza accennare al vino. “E’ mejo della sciampagna / er vino de ‘sti colli” recita un celebre stornello. Anche oggi, sui Colli Albani si producono sei delle diciotto DOC del Lazio. La richiesta del mercato romano, però, ha causato in passato un calo di qualità. «Per decenni nessuno si è preoccupato di migliorare il vino. Bastava mettere un cartello per vendere tutto» spiega Paola Di Mauro, titolare con il figlio Armando dell’azienda Colle Picchione di Marino. «La prima cosa che ho fatto è stata eliminare le vigne a tettoia dove si produce tanta uva a scapito della qualità» racconta Piero Costantini, proprietario della cantina Villa Simone e di una delle migliori enoteche romane. Poi si è badato alla pulizia dei tini durante la vendemmia e al controllo della temperatura durante la fermentazione, cose che in Toscana o in Piemonte si fanno da tempo, ma che qui sembravano da marziani. A indicare la strada sono stati produttori arrivati da fuori: Costantini viene da San Ginesio in provincia di Macerata, Di Mauro arriva da Roma e fino a vent’anni fa si occupava d’altro. Poi anche le grandi aziende locali, a iniziare dalla Fontana Candida, hanno migliorato i loro prodotti.
Per il futuro si parla di innovazioni fra i vitigni, aggiungendo magari il cabernet e il sauvignon ai tradizionali trebbiano e malvasia. E soprattutto si pensa ai rossi, che trovano un terreno ideale nell’assolato versante meridionale dei Castelli. «A Bordeaux hanno l’aria di mare e di fiume, noi abbiamo quella di mare e di lago» scherza Paola Di Mauro. Ed etichette come il Villa Simone dell’omonima azienda o il Vigna del Vassallo di Colle Picchioni dimostrano che anche le colline di Roma, rispetto a luoghi di produzione universalmente noti e celebrati come il Chianti o il Monferrato, possono reggere il confronto.

Marino: chiesa di San Barnaba
Marino: chiesa di San Barnaba

 

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