Carrara, in lizza per il marmo

Ogni estate, nell’entroterra di Carrara, si rievoca l’antico sistema con cui fino agli anni ‘60 gli enormi blocchi della pregiata pietra venivano trasportati dai piazzali di cava alle stazioni di carico. Un’occasione unica per conoscere il passato di un’attività che è ancora oggi il motore trainante dell’economia locale

Indice dell'itinerario

Quando la buccina risuonava per valli e canaloni era un brutto segno. In questo vetusto strumento musicale, simile a un corno, davano fiato i cavatori se in montagna succedeva una disgrazia, un ferito quando andava bene, un morto nei casi più tristi: il duro mestiere di estrarre il marmo dalla montagna richiedeva spesso nuove vittime. Quel suono sordo rimbalzava a lungo sui marmi delle Apuane, poi scendeva a valle per consegnare la sua eco di morte. Mogli, madri e figlie aspettavano strette l’una all’altra, le mani in preghiera e gli occhi lucidi, ognuna sperando che il lutto non toccasse a loro. Gli uomini rimanevano in disparte, con le barelle pronte tra le mani. Si poteva morire in molti modi nelle cave sopra Carrara, bianche per ironia della sorte. Poteva succedere durante la varata, quando le cariche di dinamite facevano esplodere la montagna, o quando il tecchiaiolo penzolava nel vuoto per esaminare da vicino il blocco e rimuovere con il paranchino i massi rimasti in bilico dopo l’esplosione, oppure ancora durante la lizzatura, il sistema manuale di trasporto a valle del marmo. Oggi ci sono camion e strade asfaltate che s’arrotolano sui fianchi dei monti, ruspe meccaniche e gru che sollevano senza difficoltà fino a 30 tonnellate, ma una volta la lizzatura era l’unico modo di far scendere i blocchi dal luogo d’estrazione al poggio, il punto di fondovalle in cui la pendenza non consentiva più il trascinamento in discesa e così il marmo veniva caricato sui carri tirati dai buoi.

Lavorazione e trasporto del marmo
Lavorazione e trasporto del marmo

Ne è passato di tempo da quando nei primi anni ‘60 le compagnie di lizzatura chiusero bottega, eppure cercando fra i rovi e le pietre delle Apuane si possono vedere i segni di quelle cicatrici bianche, le cosiddette vie di lizza. Trascinare giù il marmo non era uno scherzo; ci volevano gesti rapidi e repentine decisioni. Un errore poteva essere fatale: se la fune si rompeva o il blocco di marmo usciva da gli assi di scorrimento travolgeva tutti quelli che stavano davanti. In alto stava il molatore, che con un sistema di verricelli regolava funi e corde imbragate intorno al blocco di marmo; in basso, un gruppo di sette o otto persone disponeva la slitta, cioè i tronchi di legno sui quali lentamente veniva fatto scivolare il carico. Era il capolizza a prendere le decisioni più importanti. Dirigeva l’operazione gridando al molatore quando era il momento di mollare le funi, valutava a occhio grazie all’esperienza come disporre i legni che metro dopo metro venivano risistemati davanti al blocco durante la discesa.

Lavorazione e trasporto del marmo
Lavorazione e trasporto del marmo

Ogni anno nella splendida cornice delle Alpi Apuane – in località Ponti di Vara, a pochi chilometri da Carrara – viene riproposto l’antico rito. La rievocazione, quest’anno in programma il 12 agosto, è un’occasione irripetibile di rivivere il tempo in cui i ritmi di lavoro nei bacini marmiferi erano regolati solo dalla mano dell’uomo. Si torna a trepidare davanti a un blocco di marmo di 20 tonnellate in bilico su un dirupo sassoso con una pendenza del 50%. Un gruppo di lizzatori lo fa calare sino al fondovalle utilizzando corde e slitte di legno: un paio d’ore di lenta discesa, di grida, sudore e imprecazioni che rammentano l’epoca in cui questa immane fatica era la quotidianità.

Grossi cavi d’acciaio assicurano il marmo a cippi di legno conficcati nella roccia
Grossi cavi d’acciaio assicurano il marmo a cippi di legno
conficcati nella roccia

Dopo la tragica morte del capolizza Beppe Lucchetti saranno tre uomini a “menare le danze”: il figlio Matteo, il vice-capolizza Primo Serri e l’inossidabile Angiolino Federici, molatore classe ’33 che iniziò a manovrare le corde a diciotto anni. Quest’anno non sarà lui a farlo, ma tutti ricordano la perizia con cui le sue mani esperte gestivano il blocco di marmo durante la discesa, mantenendo la direzione ed evitando il rotolamento.

Grossi cavi d’acciaio assicurano il marmo a cippi di legno conficcati nella roccia
Grossi cavi d’acciaio assicurano il marmo a cippi di legno
conficcati nella roccia

Gesti lenti e misurati chiariscono subito quanto il lavoro del lizzatore fosse delicato. In certi momenti la tensione è così alta che si sente solo un frenetico scalpitio sui sassi rimbombare nella valle. Ma ormai la lizzatura non si fa più per mestiere, e tutto accade con più tranquillità; quando il blocco arriva in pianura ci sono solo sorrisi, fiaschi di vino e pacche sulle spalle. Una volta non era così: per quanto il mestiere fosse pericoloso, le squadre di lizzatori addirittura gareggiavano tra loro. Ogni minuto era prezioso negli anni in cui quest’attività era una fonte di lucro: chi arrivava prima guadagnava di più. E pensare che prima ancora i giganteschi massi venivano fatti scendere al fondovalle con il sistema dell’abbrivio, cioè facendoli scivolare a velocità folle su sassi e detriti, una tecnica che causava parecchi incidenti e inoltre deteriorava il blocco di marmo.

Dentro la montagna… e in città

Cave di marmo dall'alto
Cave di marmo dall’alto

Oggi alle cave di Carrara ci sono un’ottantina di cantieri estrattivi in attività e circa novecento operai, che per il taglio del marmo usano il filo diamantato, un rosario di perline collegate da minuscole molle: bastano tre o quattro giorni per tagliare un blocco che un tempo richiedeva un mese e mezzo di fatica. Durante il taglio va sempre aggiunta acqua, perché per l’attrito il filo potrebbe rompersi e le perle diamantate diventerebbero pericolosissimi proiettili vaganti. Ma oggi c’è anche chi sfrutta un nuovo business, vendendo finissima polvere di marmo alle industrie chimiche, farmaceutiche e alimentari di tutto il mondo.

Lavorazione e trasporto del marmo
Lavorazione e trasporto del marmo

È in ogni caso uno spettacolo salire dal mare lungo le strade di montagna e poi ammirare paesaggi che fra il verde dei boschi e il blu del cielo sembrano innevati: ma a brillare al sole delle Alpi Apuane è il bianco del marmo. A Ponti di Vara si può arrivare tranquillamente in auto o in camper (facendo attenzione ai punti più stretti) e quindi visitare le cave con un tour guidato su fuoristrada che consente di osservare dal vivo il lavoro dei cavatori e le grandi ruspe che caricano gli enormi, immacolati blocchi. Esiste anche un luogo molto particolare, la cava di Fantiscritti, che sta nascosta nel ventre delle montagne, a 430 metri sul livello del mare e a 400 dalla cima di Monte Torrione, dove Michelangelo prese il blocco di marmo per il Mosè della basilica di San Pietro in Vincoli, a Roma.

Si tratta di una cava a conduzione familiare, dove da cinquant’anni lavorano solo uomini (oggi ce sono cinque in attività); come sempre le donne sono escluse da questo durissimo mestiere. Ecco perché nel 2003 Francesca Dell’Amico ha fondato Marmotours, inaugurando le visite organizzate in questo antro incantato che sta a pochi chilometri dalla città e oggi meta di migliaia di persone. È in questa cava (sei giganteschi ambienti, uno dei quali lungo 55 metri, alto 20 e largo 17) sostenuta da possenti pilastri, soprannominata per la sua metafisica bellezza la cattedrale di marmo, che a maggio si è tenuto un eccezionale concerto di David Bryan, il pianista di Bon Jovi; ma soprattutto è qui che è stato estratto il blocco di marmo più grande, un gigante da 230 tonnellate.

Prima della Seconda Guerra Mondiale la cava era una galleria dove passava la marmifera, la ferrovia sulla quale sferragliava la cosiddetta ciabattona (la locomotiva a vapore che a partire dalla seconda metà dell’800 portò i blocchi di marmo al mare). Fra curve e gallerie il trenino zigzagava procedendo a una pendenza costante del 3%: un capolavoro d’ingegneria che attirava studiosi da tutta l’Europa per ammirarlo e magari carpire qualche segreto. Persino i fratelli Lumière arrivarono per filmare la ciabattona che usciva dalla galleria con il suo carico di marmo.

A cominciare le estrazioni a Fantiscritti fu il nonno di Francesca, Carlo Dell’Amico: era il 1963 quando chiese la concessione per iniziare l’attività. La galleria era stata distrutta perché proprio qui passava la Linea Gotica e infuriavano le battaglie tra Alleati e tedeschi. Per la cronaca, nella vicina Bergiola Foscalina si compì un’orribile e poco nota strage nazista. Era il 16 settembre 1944 quando per rappresaglia contro l’uccisione di un tedesco furono barbaramente uccise, bruciate vive con i lanciafiamme, settantadue persone tra donne, vecchi e bambini.

Il duomo trecentesco, interamente rivestito di candida pietra statuaria
Il duomo trecentesco, interamente rivestito di candida pietra statuaria

… e in città

Dopo la visita alle cave conviene tornare a Carrara, capitale mondiale del marmo che ne fece una vera e propria potenza industriale. In attesa della Biennale (il prossimo Simposio Internazionale del Marmo avrà luogo nel 2013) vale certamente la pena visitare il centro cittadino. L’importante Accademia delle Belle Arti è situata nel Palazzo Cybo Malaspina, un edificio rinascimentale addossato a un antico castello. Passeggiando nel centro si ammirano l’elegante Piazza Alberica e il vicino Teatro Animosi, dalla facciata neoclassica di marmo bianco; dello stesso pregiatissimo materiale è interamente rivestito lo spettacolare duomo medioevale di Sant’Andrea, che sbuca fra i vicoletti abbagliando il visitatore.

Una tappa d’obbligo è lo Studio Nicoli, il più antico laboratorio di scultura di Carrara. L’attività fu registrata alla Camera di Commercio nel 1853, ma in realtà tutto incominciò nel 1835 con Tito Nicoli; oggi, tra statue cristallizzate in mille pose e nuvolette di polvere sollevate da subbia e martello, ci lavorano una quindicina di operai e si tengono con regolarità stage di studio. Le visite guidate si svolgono durante l’orario di lavoro e dunque si possono osservare gli artigiani che con grande abilità fanno prendere forma al marmo. Per il fascino intimo che emana il luogo sarebbe più appropriato definire lo Studio Nicoli una bottega, un centro di cultura e manualità dal sapore medioevale.

Studio Nicoli, laboratorio per la lavorazione e il commercio del marmo
Studio Nicoli, laboratorio per la lavorazione e il commercio del marmo

Per completare il tour non resta che fare un salto all’osteria Da Vittorio, frequentatissima tra l’altro da artisti e studenti dell’Accademia. Fra quadri, sculture e vecchie foto delle cave ci si siede in attesa di tordelli al ragù, trippa, fritto misto di cortile (coniglio, pollo, zucchine e carciofi) e torta di riso, specialità dolce della zona. Si tratta di roba seria: portate ipercaloriche, adatte per chi lavora faticando. Ma non c’è problema: la dieta del buon Vitturìn giova anche a chi non fa il tecchiaiolo o il lizzatore. 

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