Carosello tirolese
La nebbia è fittissima e vortica bianca come la neve che, dopo tre giorni di bufera, ha superato i 2 metri di spessore. Appena lasciata alle spalle la stazione della seggiovia, tutto scompare in un chiarore indefinito che non permette di distinguere dove inizia il cielo e termina la pista. Scendo lentamente, cercando di non perdere di vista la sagoma grigia di un guardingo sciatore che mi precede. Ogni dosso, buca o cunetta, che non riesco a vedere, mi sballotta di qua e di là. Poi, come dal nulla emergono le note di una musichetta tirolese che, man mano che mi avvicino alla sua sorgente, diventa identificabile come un non meglio precisato Alpen Rock’n’roll, e un’inconfondibile ondata di aromi di cucina, maiale, frittura, Wurst…
Salvato dall’olfatto e dall’udito più che dalla vista, mi fermo davanti alla porta della Stube e, forse per effetto dei vapori che eruttano dalla grigliata, la nebbia si dirada. Poco alla volta, tutta la Zillertal compare ai piedi della stazione della funivia di Sommerbergalm, a 2.100 metri di quota. Stretta e imbiancata come non mai, la valle serpeggia fino ai comignoli di Hintertux, Madseit Juns e delle due frazioni di Lanersbach per raggiungere poi, oltre una curva che impedisce la visuale, il paese di Mayrhofen e più avanti la valle dell’Inn. Ma la vera meraviglia è dietro di me e, prima di iniziare di nuovo a scivolare verso valle (stavolta riuscendo a vedere la pista), resto un attimo a guardare in alto: là dove i dossi della montagna e poi i rilievi glaciali dell’Hintertuxer Gletscher salgono fino a superare i 3.000 metri, lungo la cresta che culmina nell’Olperer e nella gelida parete nord della Gefrorene Wand. Tutt’intorno, skilift, seggiovie e ovovie vanno e vengono tra avvallamenti e speroni, creando un circo innevato veramente emozionante. Il freddo ha trasformato la terrazza panoramica più alta della zona, sopra al soffitto del rifugio Gletscherhütte, in una pista da hockey ghiacciata dove il termometro segna -22°, senza tener conto del vento. Attorno a me, appassionati sportivi d’ogni genere: chi procede distinto con i suoi sci lunghi 2 metri e una classe ineguagliabile, chi segna la neve fresca curva su curva con i cortissimi sci da carving – di cui ho sperimentato io stesso la facilità d’impiego e la docilità – e chi, dopo un lungo tratto in falsopiano pedalando come su un monopattino, inizia nuovamente a correre sullo snowboard. Le piste sono ampie, nonostante i muri di neve che le circondano, ma la tranquillità sembra di casa: tutti (o quasi!) mi superano con gentilezza, talvolta salutando, senza l’aggressività che si nota in molte stazioni sciistiche di grido.
«Le montagne della Zillertal, e soprattutto l’area del ghiacciaio di Hintertux – mi spiega la sera davanti a una stufa piacevolmente tiepida Frau Kirchler, la cui famiglia gestisce da quattro generazioni un albergo a Tux – sono state per decenni una meta estiva di tutto rispetto. Poi, negli ultimi tempi, tutto è cambiato. Lo sci è al centro delle attività della valle per quasi otto mesi l’anno, le squadre nazionali vengono ad allenarsi qui da fine ottobre e l’estate è diventata solamente una bassa stagione come le altre…». Non sembra essere del tutto felice, la signora, mentre mi racconta di come sono cambiate le cose dalla costruzione della prima seggiovia, che risale al lontano 1949. Anche perché le foto in bianco e nero alle pareti illustrano la storia di un turismo del passato fatto di diligenze, gentiluomini con baffoni e signore in crinolina che, nei mesi più caldi dell’estate tirolese, venivano fin quassù per ammirare i prati verdi che si mutavano in ghiacciai e per le proprietà terapeutiche dell’acqua termale. Acqua che, anche se un po’ freddina per i miei gusti (22,5° appena, quasi gelida per un utente mediterraneo medio), continua a sgorgare ai piedi del ghiacciaio fino ad alimentare le piscine del Badhotel Kirchler.
«Già, è vero che per la valle la stagione più importante va da ottobre a maggio – conferma lo scultore Leonhard Tipotsch, che trovo nel suo laboratorio di fianco alla chiesa di Lanersbach – ed è anche il periodo in cui il turismo non manca». Ma forse il popolo degli sciatori ha poco tempo e troppa fretta di raggiungere gli impianti, ed è inevitabile un po’ di nostalgia per le famigliole che d’estate passeggiano per le strette vie del paese.
Sciate… di moda
Proprio l’abbondanza di strutture e servizi fa intuire, del resto, che la Zillertal è quanto mai ricca di opportunità per ogni genere di pratica sciistica. La pista da fondo, che parte dalle ultime case di Madseit e scende fino a Vorderlanersbach (dove un tempo vivevano i minatori che cavavano la magnesite dalla montagna), è popolata di sciatori che corrono nel silenzio a fianco del letto coperto di ghiaccio del torrente Tuxbach, mentre gli slittini sfrecciano giù per le strade innevate che salgono alle baite più in quota.
Ma è soprattutto sulle piste dei ghiacciai affacciati sulla valle che si nota il maggior movimento. Qui si incrociano ogni giorno due differenti comunità di sportivi, che tra loro si differenziano quasi in tutto: sciatori e snowboarder, infatti, non solo impiegano attrezzature diverse ma si distinguono anche per l’abbigliamento. Se per i discesisti l’inverno è il momento delle salopette e delle giacche di Gore-Tex, che la moda allunga o accorcia ogni anno, chi scivola su una tavola si veste con calzoni larghi a vita bassa, giacche di cotone o sintetiche con il cappuccio, golf di lana e camicie anni ’70 di flanellona a quadri in stile country. Oltre che sciare e scivolare qua e là per dossi e pendii, gli snowboarder amano anche cimentarsi in prove di destrezza che necessitano degli halfpipe, appositi circuiti a forma di mezzo tubo, che si trovano sopra la stazione più alta del ghiacciaio di Hintertux e sulle pendici dell’Horberg, a monte di Mayrhofen: qui si può volteggiare, saltare e cadere senza limite alcuno e soprattutto senza travolgere ignari sciatori. Ma la passione per la glisse estrema porta ragazzi e ragazze, armati di tavola, a scivolare a folle velocità su scale ghiacciate, assi di legno e addirittura ringhiere di metallo, per arrivare talvolta a esibire il “marchio di qualità” che caratterizza i più spericolati: un buco al posto dei denti davanti.
Lontani da qui, ai limiti delle piste battute, scendono silenziosi i rappresentanti dell’ultima specie degli scivolatori di questo millennio: i telemarker, quelli che, abbandonati gli sci da carving e le tavole con teschi aerografati, prediligono lo sci a tallone libero, come quello dei nostri nonni. Sono i nuovi testimoni di un passato che non scompare, quasi una filosofia ai margini del grande circo bianco degli sport invernali.
PleinAir 391 – febbraio 2005