Calmo e placido

Con i suoi 220 chilometri, il Piave si colloca tra i primi dieci fiumi italiani. Ma soprattutto è fra i più interessanti in senso paesaggistico e ambientale e anche uno dei più puliti, come è facile notare nei giorni soleggiati quando scivola via in splendide varianti di verde e turchese. Nel novantesimo anniversario della fine della Grande Guerra torniamo a riscoprirlo anche come luogo della memoria, in un itinerario dalle Dolomiti ai lidi veneti per scoprire, capire, ricordare.

Indice dell'itinerario

Il Piave nasce a quota 2.037 sotto la parete meridionale del Monte Peralba ( pietra bianca nel dialetto locale), che con i suoi 2.694 metri è la seconda cima delle Alpi Carniche dopo il Coglians. La sorgente è una polla d’acqua di pochi metri di diametro che ha perso la sua magica naturalezza, poiché è stata decorata con una corona di grosse pietre e un cippo commemorativo: ne esce solo un rigagnolo che subito si nasconde tra l’erba del pianoro. Il vicino Rifugio Sorgenti del Piave, aperto nel periodo estivo, è il punto di partenza ideale per numerose escursioni, anche alpinistiche, sul Peralba e non solo.
Poche centinaia di metri e il rivolo scompare nel fitto del bosco di aghifoglie iniziando la ripida discesa, ben presto ricco di acque confluenti dai canaloni della Val Sesis. Il coro di torrenti fa udire il suo scroscio lungo rapide e cascatelle a cui corrispondono, sulla strada che percorre la strettissima valle, improvvise impennate e tornanti a gomito (tanto che l’accesso è vietato ai pullman e decisamente sconsigliato ai camper di grandi dimensioni). In 8 chilometri e mezzo si scende di 600 metri; quasi al termine, dove la strada è a senso unico, occorre voltarsi indietro per non perdere la vista suggestiva dell’antico mulino sopra la cascata.
A Cima Sappada le case più antiche sono tutte in legno, qualcuna con un tocco di signorilità in muratura decorata. Il nucleo originale è ben conservato, compatto, appena discosto dalla statale. Da qui il Piave scende nella conca di Sappada che è chiusa a sud da un’altra catena delle Alpi Carniche, le Pesarine, di simile altezza e rocciosità dolomitica.
Entrando a Sappada, sul versante soleggiato, conviene girare a destra e percorrere la strada superiore, su cui si allineano le caratteristiche case alpine, tutte ben curate e decorate, con lunghe facciate di ballatoi e grandi tetti a falda. Sappada, nel dialetto locale Plödn, è formata da una quindicina di borgate con nomi tedeschi, distribuite parallelamente alla statale per circa 4 chilometri. Fin qui il Piave scorre placido nell’ampio fondovalle, ma un chilometro dopo le ultime case si va a gettare nello sprofondo dell’impressionante orrido dell’Acquatona, visibile dal ponticello coperto. La stretta rocciosa dura un attimo e la valle riprende il suo aspetto aperto portandoci a San Pietro di Cadore: la chiesetta alpina da cui deriva il nome del paese è sottile, slanciata, posta in alto su un poggio, mentre in basso il seicentesco Palazzo Poli, ora Municipio, è l’affermazione del successo del casato, con una facciata attribuita al grande architetto veneziano Baldassarre Longhena. Il successivo abitato di Santo Stefano di Cadore si stende invece attorno a una chiesona veneta classica, con timpano poggiato sul portico a grosse colonne, posta sulla strada principale.
Appena più avanti la valle si assottiglia ma c’è solo un difficile passaggio, con la carreggiata che ruba un po’ di spazio al fiume tra rocce così verticali che talvolta bisogna perforarle con gallerie o semigallerie, fino al tunnel di 3 chilometri che sbuca nella valle dell’Ansiei subito sotto Auronzo di Cadore. A Cima Gogna (che a dispetto del nome è un fondovalle), in località Tre Ponti l’Ansiei confluisce nel Piave: anticamente qui c’era un porto fluviale, dove i tronchi gettati in acqua dai boscaioli più a monte venivano raggruppati a formare zattere, che proseguivano la discesa guidate da uomini.
Da Cima Gogna il fiume taglia la roccia dolomitica con una valle stretta fra pareti boscose, ma da ovest riescono comunque a giungere due grossi torrenti, il Boite e il Maè, che portano le acque delle valli d’Ampezzo e di Zoldo. Non ci sono coltivi e cascine sparse, ma campi da fieno e capanni; le case sono tutte raggruppate in paesi minuscoli, posti sul fianco occidentale della valle, a mezza costa o su panoramici spuntoni di roccia per scampare le piene e godere di un po’ più di sole.Dopo Lozzo di Cadore, che mostra al Piave la bianca chiesa della Madonna di Loreto, la valle si fa più profonda: la diga realizzata nel primo dopoguerra sotto Pieve di Cadore ha elevato il livello del fiume facendolo diventare un lago lungo e stretto come un fiordo, su cui è piacevole andare in barca. Nei paesi successivi, testimoniano l’arte e l’architettura locale del XVI secolo la Casa Valmassoi a Domegge di Cadore, rustica con impronta veneziana, la parrocchiale di Grea e infine, a Calalzo di Cadore, l’ottagonale chiesa della Madonna delle Grazie al Mulinè, pure questa rivolta verso il corso d’acqua.
Un paio di chilometri più a sud Pieve di Cadore, sorta su un promontorio in posizione dominante, si caratterizza per l’inaspettata imponenza dei suoi edifici. Attorno alla cattedrale di Santa Maria Nascente, con facciata in pietra rosa di forme adriatiche, e al Palazzo della Magnifica Comunità si mostra la magnificenza di poderosi palazzi di fine ‘800, adornati di robusti bugnati, e altri segni di potenza commerciale risalente al XV secolo: tanto che la cinquecentesca abitazione dei Vecellio, dove nacque il grande Tiziano, e l’attigua Casa Vallanzasca appaiono piccole, mentre ai loro tempi dovevano essere importanti. L’impianto urbano è tutto a dislivelli, talvolta con scale e cordonate al posto delle strade, e dietro le facciate monumentali e le modernizzazioni s’intravvede ancora il vecchio paese alpino.
La valle del Piave si dirige ora verso sud, di nuovo chiusa fra pendici di monti che da ambedue i lati superano sempre quota 2.000, ed è percorsa dalla statale 51, trafficata via d’accesso per Cortina d’Ampezzo oggi velocizzata con tratti in galleria. Il paese di Perarolo di Cadore è rimasto invece sulla vecchia strada declassata che procede lungo il fiume; qui c’era un altro porto proprio alla confluenza del torrente Boite, affluente importante perché viene da Cortina e ha un discreto bacino. Interessante la facciata di Palazzo Lazzaris, dipinta di curiosi motivi geometrici e allegorici. Rientrati sulla rotabile maggiore incontriamo il paesino di Ospitale che fu antico ospizio per i pellegrini e dopo il quale la strada si fa tunnel, mentre quella secondaria procede lungo il fiume giungendo a Castello Lavazzo, del cui castello restano i ruderi.
Al di là del ponte sul Piave, Codissago ospita il Museo Etnografico degli Zattieri (vedi riquadro); essendo un po’ più a monte rispetto a Longarone, il paese si salvò dalla tragedia del Vajont del 9 ottobre 1963, di cui resta la diga a rendere il paesaggio improvvisamente tetro. Longarone è un oggi grosso paese ricostruito, tutto moderno, pieno di movimento, e più avanti non si incontrano altri centri abitati fino a Ponte nelle Alpi, luogo di antichi transiti, che nella chiesa di Santa Caterina conserva affreschi del ‘300.

Ville in Val Belluna
Chi no vive in Val Belluna, vive in val nessuna”: così la saggezza popolare ha sintetizzato le bellezze di questa terra dove, non a caso, fra il XVII e il XVIII secolo furono costruite circa duecento dimore signorili. Oggi queste ville sono parte in rovina, parte adibite a scuole o altro uso pubblico, altre sono ancora abitate: non è facile trovarle, perché mancano indicazioni puntuali, ma a saper cercare si scoprono le testimonianze di un glorioso passato architettonico, coincidente con i secoli di prosperità e tranquillità del dominio della Serenissima. Dal punto di vista stilistico, tuttavia, questi edifici dimenticano le forme palladiane di moda nella pianura e si presentano al contrario di linea semplice, talvolta con caratteri di ruralità.
Sulla destra del fiume, cui corre accanto la statale 50 per Belluno, il primo grosso paese proprio all’inizio della valle è Polpet, frazione di Ponte nelle Alpi, dove si trova una casa a poggioli pieni lignei e portico ad archi ribassati. Si devia quasi subito in vista di Fiammoi, il cui abitato è posto su una parallela appena più in alto: da vedere una casa con portico a pilastri, provvista di ballatoi in legno e scale che giungono al terzo piano, e un grande complesso rurale tutto in muratura, quasi una villa con arioso ingresso ad archi ribassati e un ordine di logge. Mantenendosi sulla strada a monte si giunge, in località Sala, alla prima grande casa-villa bellunese, Villa Rudio Morassutti, dalla grandiosa facciata con frontone centrale e un gioco di scaloni che collegano il giardino e il primo piano. Passata la stazione ferroviaria di Belluno, continuando per Feltre lungo la statale, sulla destra c’è Villa Campana, complesso di eleganti linee settecentesche con l’attigua chiesa di San Lorenzo. Alla successiva traversa, Ospedale, si gira a destra e si vede più in alto la Villa Vescovile, prestigiosa residenza estiva degli alti prelati.
Un paio di chilometri fuori Belluno, nel piccolo abitato di Salce sorgono Villa Doglioni e Villa Giamosa, a cui è collegato il grazioso oratorio della Beata Vergine Annunziata; poco oltre Villa Miari. A San Fermo la Villa Palatini non fa concessioni all’estetica, essendo un tipico presidio agricolo la cui lunga facciata continua su lati con gli ambienti rurali. Elegantissima con il suo portico di archi a tutto sesto sull’intera facciata e uno splendido parco di età napoleonica è invece Villa Pagani Gaggia, testimone di una pagina di storia: fu scelta nel luglio del 1943 quale luogo dell’incontro fra Mussolini e Hitler (conosciuto come Incontro di Feltre), fatto che provocò la caduta del Duce, sfiduciato dal Gran Consiglio e quindi arrestato dal Re.
A Pasa, dopo un paio di chilometri di strada campestre, c’è Villa Zuppan, originale sviluppo verticale su edificio del ‘500, purtroppo malridotta, affiancata da un bell’esempio di casa con grande graticcio. Si ritorna sulla statale a Sedico, dove sul Colle Patt si erge la neoclassica Villa Manzoni; mezzo chilometro più a nord il piccolo villaggio rurale di Landris è impreziosito dalle ville Miari Bentivoglio e Miari Giacomini, ma soprattutto dalla seicentesca e scenografica Villa Rudio. A Paderno c’è l’interessante Villa Sandi, che con due torri vorrebbe essere un castello. Oltre Santa Giustina, nella frazione Formegan, Villa Cassiol è un semplice ma grazioso villino in buone condizioni, mentre a centro paese la già famosa Villa Biasuzzi, ora sconciata, la si scopre come fondale di una birreria. A Pullir sorge la seicentesca Villa Tauro Centenere, perfettamente conservata, solitaria signora della campagna.Fin qui siamo rimasti sulla sponda destra, ma vale la pena non trascurare la Sinistra Piave. Tornati a Belluno, si scende a valicare il fiume al Ponte della Vittoria e si imbocca l’ottima provinciale per Feltre via Mel. Dopo 3 chilometri, proprio sulla strada, si ammira l’originale volumetria a doppio abside della Chiesa Rossa. L’edificio non segnalato, sulla destra subito dopo la chiesa, è la villa di Dino Buzzati, dove lo scrittore di origini bellunesi amava ritirarsi, mentre le sue spoglie riposano poco oltre, nell’oratorio poligonale di San Pellegrino.
A Limana si notano una casa con un grande larin e la canonica in forme da residenza signorile, tutta in muratura con portico e doppio ordine di logge. Passato il grosso paese di Trichiana, sulla cui vasta piazza s’impone la parrocchiale di Santa Maria Assunta con dipinti del ‘500 di Giovanni da Mel, conviene proseguire per la frazioncina di Pialdièr, in cui vederne la chiesa con affreschi di Paris Bordone, anche questi del ‘500, e uno splendido complesso rurale caratterizzato da un lungo portico con tozze colonne.
Su un colle vicino al fiume, la località più interessante di questa sponda è Mel, piccola capitale locale dal tempo dei paleoveneti (VIII secolo a.C.) di cui il Museo Archeologico conserva i reperti trovati nella necropoli. Le case, alcune del ‘700, hanno un’impronta più cittadina, talvolta con i portici, specie nella piazza centrale dove, nella chiesa di Santa Maria Annunciata, ritroviamo dipinti di Giovanni da Mel. Deviando per la località Villa di Villa si raggiunge invece l’imponente e guerresco Castello di Zumelle (perfettamente visibile anche da un’area attrezzata per camper di recente allestimento). Ultimo paese è Lentiai, dove il soffitto decorato della parrocchiale di Santa Maria Assunta è opera di Cesare Vecellio.

Anse e strettoie
Il Piave scorre in Val Belluna quasi da est a ovest, avendo spazio per dividersi in rami e lanche, con i fondali montuosi delle imponenti e rocciose Dolomiti Bellunesi verso nord e delle più basse e arrotondate Prealpi verso sud. Presso il paesino di Busche uno sbarramento crea un piccolo lago e la statale 50 prosegue entrando a Feltre (piccolo gioiello d’arte che da solo merita il viaggio), mentre noi riprendiamo a sinistra verso il fiume sulla 348. Ad Anzù, che incontriamo scendendo in direzione di Quero, compare sul ripido contrafforte roccioso il santuario dei Santi Vittore e Corona, fondato nell’anno 1101 e decorato con numerosi affreschi del XII e XIV secolo; l’attiguo convento conserva un bel chiostro, alcuni dipinti del ‘600 e una quadreria. Da non perdere più avanti, in località Santa Maria, l’antica e rarissima fortezza fluviale di Castelnuovo, utilizzata nel 1376 nella difesa della Repubblica di Venezia; in tempo di pace serviva ad esigere il pagamento di dazio dalle zattere in transito verso la pianura, e allo scopo una grossa catena di ferro veniva stesa tra la fortezza e una torre in riva sinistra.
In alternativa, prima del ponte di Busche si può raggiungere Quero imboccando la provinciale che costeggia il fiume sulla sinistra. Presso il paesino di Cellarda c’è la Riserva Naturale di Vinchieto, zona umida ideale per numerose specie di avifauna di passo o nidificante. Sempre sulla Sinistra Piave si proseguirà toccando il piccolo abitato di Vas, presso il quale c’è l’ultima roccia verticale sulla riva del fiume; una passerella conduce sull’altra riva, poco dopo Santa Maria, ma è larga appena 2 metri e percorribile solo da veicoli leggeri. Dopo Segusino si entra nella vivace cittadina di Valdobbiadene, che deve la sua notorietà internazionale al fatto di essere zona di produzione del prosecco.
La valle si fa ora più angusta e il fiume scende compatto, veloce e di colore più intenso, con le pendici del Monte Grappa a ovest: siamo nella Stretta di Quero, un suggestivo tratto di una decina di chilometri che procede tra ripide pareti coperte di boschi con affioramenti di roccia. Al termine, presso Fener, il Piave entra in pianura tornando ad allargarsi e ramificarsi.

Nella piana veneta
Il letto raggiunge la larghezza di circa un chilometro e diviene facilmente guadabile intorno a Pederobba, dove il monumentale Ossario delle Truppe Francesi, venute nel 1918 a dare una mano all’Italia, indica che in quel punto il fiume segnò la linea del fronte nell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale fino alla decisiva battaglia di Vittorio Veneto. L’ampia possibilità di espansione in caso di piena ha permesso in questo tratto ad alcuni abitati di porsi proprio sulle rive: a Vidor ci sono il ponte e l’abbazia di Santa Bona, trasformata in Villa Govone Albertini, mentre Barche ricorda nel nome un’attività fluviale ormai scomparsa, essendosi allontanata la corrente. Più avanti, alle Grave di Ciano, il letto arriva fino a un massimo di 2 chilometri di larghezza formando un insieme di greti ghiaiosi e isolotti spesso coperti di vegetazione.
In riva destra, sulla strada per Montebelluna, Crocetta del Montello è interamente percorso da una veloce roggia, uno dei canali che prelevano l’acqua del Piave per energia e irrigazione. Villa Ancillotti è sede del Museo di Storia Naturale, con reperti di archeologia locale e fossili di grandi mammiferi, mentre Villa Sandi, del 1622 (oggi Villa Cassis) ha un parco popolato di statue di Orazio Marinali, scultore presente in tante ville venete dell’epoca.
Alle pendici settentrionali del Montello, una lunga collina di terra rossa che si eleva di circa 300 metri sulla pianura, il villaggio di Ciano sfoggia nella parrocchiale (avendo la fortuna di trovarla aperta) un dipinto di Palma il Giovane. Costeggia l’abitato il Canale della Vittoria, altra acqua sottratta al Piave, che giunge fino a Nervesa della Battaglia: la toccheremo però più avanti con una breve deviazione dall’altra sponda, poiché la strada su questo lato si presenta piuttosto impegnativa anche per mezzi di dimensioni medie.
Passato nuovamente il fiume, Moriago della Battaglia è un paese defraudato della gloria a favore di Vittorio Veneto: quest’ultima dista 25 chilometri in linea d’aria e non vide né subì effettivamente lo scontro, ma in virtù del suo nome sabaudo i generali dello Stato Maggiore pensarono di intitolare ad essa l’evento in omaggio al re Vittorio Emanuele, che dopo il disastro di Caporetto impose giustamente la difesa lungo il Piave. Ammirato nella parrocchiale un grande dipinto del Pordenone, si prende la strada per l’Isola dei Morti, il punto esatto dove il 26 ottobre 1918 iniziò lo sfondamento del fronte austriaco. In quel tratto il fiume è stretto e raccontano le cronache che gli Arditi, un corpo scelto di volontari destinati alle imprese di maggior rischio, lo passò di slancio: i coraggiosi erano senza il peso dei fucili, che l’acqua avrebbe reso inutilizzabili, ma con spade e baionette si avventarono sul nemico e poi tennero la posizione per due giorni, favorendo l’attacco decisivo del grosso delle truppe italiane. L’Isola dei Morti è oggi un’oasi verde ben curata, con i monumenti ai caduti, una cappella e un orto botanico.
Dopo Sernaglia della Battaglia, ricca di chiese e con colonna commemorativa di uno dei reggimenti che qui combatterono in quei giorni, raggiungiamo Ponte della Priula lungo la statale 13 Pontebbana, un altro luogo di aspri combattimenti, e torniamo sull’altra riva fino a Nervesa della Battaglia. Anche in questo punto il Piave scorre in una corrente unica e in un letto relativamente stretto, che si presta ad essere attraversato in fretta con il favore del buio su grosse barche, e qui avvenne l’altro sfondamento delle linee nemiche, testimoniato dall’enorme monumento-ossario sovrastante il paese. L’abbazia di Sant’Eustachio, oggi ridotta a rudere, fu residenza di Monsignor Della Casa, celebre autore del manuale di buone maniere meglio noto come Galateo.
Spresiano, il maggior centro della zona, è nobilitato da un teatro e dalla Villa Giustinian Recanati di fine ‘600. Ormai il fiume corre in un’aperta e fertile campagna, dividendosi in due correnti principali che si distanziano tanto da formare un’ampia isola lunga 6 chilometri e larga 2 e mezzo: si tratta delle Grave di Papadopoli, un’area verde popolata di boschetti e spiaggette e prediletta dai pescatori. Poi la corrente si riunisce in una zona di risorgive e i coltivi diventano, se possibile, ancora più rigogliosi, mentre i paesi appaiono tutti ricostruiti dopo le distruzioni della Grande Guerra.

A Ponte di Piave c’è la casa-museo dello scrittore Goffredo Parise, con le statue di marmo del giardino che si stagliano contro l’intenso rosso veneziano dell’edificio. Presso il ponte, dove il fiume forma le ultime isolette, si incontra una frequentatissima zona balneare. Sull’altra riva sorge il paesino di Fagarè della Battaglia, anch’esso teatro di accesi combattimenti, che viene ricordato per le celebri scritte murali di taglio propagandistico “E’ meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora” e “Tutti eroi. O il Piave o tutti accoppati”: furono recuperate dai frammenti degli edifici su cui erano state tracciate e oggi sono esposte, protette da un vetro, nel cimitero dei Caduti nella Prima Guerra Mondiale (da segnalare un ampio parcheggio di fronte al complesso).
Ora le acque, gonfiate dalle risorgive, scorrono in larghi meandri tenuti sotto controllo dagli argini, consentendo ai paesi di collocarsi proprio sulle sponde. Il maggior centro della zona è San Donà di Piave, di aspetto moderno e ordinato, movimentato ma non affollato, con un sontuoso duomo dal grande pronao in colonne massicce; in Comune sono esposte le carte delle battaglie del 1918, nel museo reperti di civiltà paleoveneta e paleocristiana. Trentadue anni fa la cittadina è stata il quartier generale di una singolare manifestazione che ha interessato tutto il corso del fiume: il 27 marzo 1976, un pacifico esercito di 30.000 studenti delle province di Belluno, Treviso, Venezia ne ripulì l’intero corso, dalla sorgente alla foce, riempiendo qualcosa come 100.000 sacchi di rifiuti. Un esempio di civiltà – scherzosamente ricordato come “la seconda battaglia del Piave” – che lasciò il segno, perché da allora le rive sono rimaste pulite.
A San Donà c’è anche il Museo della Bonifica. Infatti, dopo la cittadina, il Piave scorre per 9 chilometri su un perfetto rettilineo di evidente origine artificiale; tanto più che nel paese adiacente, Musile di Piave, è così ricco di acque da dividersi originando la Piave Vecchia, con l’antico nome al femminile. Questa se ne va per l’antico percorso naturale e a Caposile, ormai sul bordo della Laguna di Venezia, incontra il Taglio di Sile, creato per evitare che il fiume interrasse la laguna. Siamo sul percorso per acque interne che costeggia l’alto Adriatico da Venezia a Punta Sbobba, alla foce dell’Isonzo. Da Caposile, dove è superata da un interessante ponte a bilanciere, la Piave Vecchia procede sempre fra leggeri meandri contornando la Laguna, in un ambiente delicato e naturale con i salici sulle rive e poche abitazioni. A Santa Maria di Piave c’è la storica Osteria Pavan, forse quella della canzone, perché è “di qua, di là del Piave”. Si arriva così alla vecchia Jesolo, borgo rurale sorto lungo il canale di navigazione interna realizzato nel XVI secolo dalla Serenissima: ricostruita dopo la Grande Guerra, vanta origini romane e un importante passato medioevale, a giudicare dai resti di basiliche dal periodo paleocristiano all’XI secolo. Oltre il porto il fiume procede lungo il bordo interno della laguna, finché supera la duna costiera e porta le sue acque in Adriatico, in prossimità del moderno Lido di Jesolo.
L’altro ramo, il Piave Nuovo, al termine del tratto rettilineo dopo San Donà trova la cittadina di Eraclea, che deve il nome all’antico insediamento abbandonato a causa dell’interramento della Laguna. Subito dopo il letto del fiume riprende il sinuoso aspetto naturale, sempre stretto fra gli argini su cui sono poste le strade; le case invece sono più in basso, sul piano della campagna. L’ultimo ponte, di barche, è situato sulla strada per Eraclea Mare e Caorle, che collega le località balneari veneziane; poi il Piave Nuovo incrocia il canale litoraneo, ricevendo un notevole traffico di natanti. Così si arriva al porto canale di Cortellazzo e alla grande foce, ormai nella sfolgorante luce dell’Adriatico dalle acque di un intenso azzurro. Poiché i flussi residui di acqua dolce attirano la fauna ittica, sulle rive sono schierate le grandi bilance da pesca con le reti quadre: è l’ultima immagine di questo piccolo grande viaggio nella natura e nella storia del Piave dal Monte Peralba al mare, attraverso 220 chilometri di affascinante paesaggio italiano.

PleinAir 431 – giugno 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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