Calcari del sud

Traforato dalle grotte, solcato dai torrenti, attraversato dai sentieri, il Matese è un territorio ancora tutto da esplorare nella sua vocazione pleinair. Tra borghi antichi e passeggiate nella natura, ecco un itinerario in camper e scarponi nel parco regionale che tutela il versante campano.

Indice dell'itinerario

A percorrerlo con lo sguardo da est a ovest, è un vero bastione naturale. Che lo si osservi dal Molise o che ci si trovi in Campania, il massiccio del Matese si profila all’orizzonte con oltre 60 chilometri di lunghezza, creste che superano sempre i 1.000 metri sul livello del mare, vette fino a quota 2.000. E’ una montagna calcarea quasi completamente costituita da rocce formatesi oltre sessanta milioni di anni fa, in prevalenza durante l’era cretacica: queste caratteristiche litologiche rendono tutta l’area soggetta ai processi carsici consentendo la formazione di grotte, canyon e altre impressionanti forme di erosione. Ne derivano paesaggi molto forti con pareti a picco ricche di anfratti, macchie di bosco poggiate su alte cenge, zone umide incastrate fra i pendii. Ed è proprio qui che vivono alcuni degli ospiti animali e vegetali di questo ambiente selvaggio: l’aquila, ad esempio, di cui è nota e studiata una coppia, ma anche l’airone cinerino o il lupo. E poi le faggete, tra le più estese e suggestive dell’Appennino, e la grande varietà di orchidee che abbondano spontanee con numerose specie. Ma è nel legame fra uomo e territorio che il Matese regala le emozioni più intense, preservando testimonianze che risalgono all’antichità quando i Sanniti, discesi dalle regioni più a nord, ne fecero terra di pastorizia e transumanza e i Romani zona di conquista, lasciando tracce tuttora ben riconoscibili.
Oggi l’intera area è tutelata dal Parco Regionale del Matese, che dal 2002 ha il difficile compito di coniugare conservazione e sviluppo. Frequentata dai gitanti della domenica così come dagli sportivi d’alta quota, si presta a escursioni di ogni tipo ma anche alla vacanza itinerante con il v.r.: percorsi tra i borghi alle medie e basse quote, facili passeggiate a piedi, in bici o a cavallo, complesse esplorazioni speleologiche e vie di alpinismo e arrampicata ancora vergini. In un contesto tanto ricco di natura, storia, tradizioni, c’è spazio per tutte le passioni e tutti gli interessi.

A pie’ di monte
Arrivando dal versante campano, un itinerario di visita logico e comodo parte da Piedimonte Matese, il principale insediamento dell’Alto Casertano. La cittadina ha un grazioso centro storico risalente all’alto Medioevo, quando gli abitanti della vicina Alife vi si rifugiarono per sfuggire alle incursioni saracene. All’esterno del nucleo a struttura chiusa addossato al castello è il centro sette-ottocentesco, con innumerevoli architetture del passato che vanno dall’età di mezzo al XVIII secolo. Notevole il Palazzo Ducale dei Gaetani d’Aragona di cui restano integri un portale del ‘400 e uno del ‘600, una splendida fontana nel cortile interno, decorazioni e dipinti fra il ‘500 e il ‘700. La parte più antica, al contrario, versa purtroppo in stato di abbandono, ma una passeggiata lungo le sue viuzze è senz’altro da consigliare per riconoscere le tracce del vico alifano di età romana.
Che questa sia terra di grotte è evidente già arrivando a Piedimonte: dalla montagna scendono due profondi canyon, e altrettante sorgenti bordano il centro abitato a est e ad ovest. Sono il Torano e il Maretto, risorgive potabili alimentate da corsi d’acqua sotterranei, che hanno scavato in tutta la montagna innumerevoli grotte. Ne sono note oltre cento, alcune delle quali estese per svariati chilometri, profonde centinaia di metri e tuttora in via di esplorazione ad opera degli speleologi, che da queste parti sono di casa fin dagli anni ’50.
Proseguendo brevemente verso est alle pendici del massiccio si attraversa il piccolo centro di San Potito Sannitico, sede del parco e scrigno di bei palazzetti seicenteschi con stucchi rococò e portali barocchi. Meritevole in particolare la residenza dei Filangieri, visitabile su appuntamento rivolgendosi ai proprietari (chiedere in loco).
Qualche chilometro più avanti, in direzione Faicchio, si tocca la località della Madonna della Libera dove è possibile visitare la grotta di San Michele con cappella, altare e affreschi di epoca longobarda. La cavità si trova nella frazione di Curti alle falde del Monte Erbano (1.385 m) ed è raggiungibile a piedi in una decina di minuti seguendo un comodo ed evidente sentiero.Tornati sul percorso principale e proseguendo nella stessa direzione si incontra Gioia Sannitica alla base del Monte Monaco di Gioia, torrione di contrafforti calcarei alto 1.332 metri. Dal paese si può seguire una deviazione sulla sinistra che conduce a un borgo medioevale diroccato, recentemente restaurato, da dove si gode un ampio panorama su tutta la valle sottostante. La strada, pur se in decisa pendenza, è accessibile ai veicoli ricreazionali.
Faicchio si presenta arroccato intorno a un castello del XV secolo rimaneggiato nel ‘600, con quattro torri cilindriche angolari e una bella finestra durazzesca. Citata nei catasti angioini del 1320 col nome di Fayula, Faicchio è probabilmente la Fuifola o Faifola di età romana espugnata da Quinto Fabio Massimo nel 214 a.C. A poca distanza da qui il torrente Titerno, che scende dalle pendici del Matese, si getta nel Volturno; non lontano dalla confluenza è un bel ponte romano di età repubblicana.
Proprio costeggiando il corso del Titerno la strada raggiunge l’abitato di San Lorenzello, rinomato per le ceramiche: davvero interessante una visita al laboratorio artistico Barbieri in Via Gramsci, dove il signor Guido sarà ben lieto di illustrare i processi di lavorazione e mostrare i suoi raffinati prodotti.
Un ponte supera il greto ciottoloso del Titerno, oltre il quale Cerreto Sannita spicca nella sua sobria eleganza su un terrazzo fra due torrenti, il Turio e il Cappuccino. Ben riconoscibile l’impianto urbanistico del castrum romano, con le strade principali rettilinee e ortogonali che conferiscono a tutto il centro una forma rettangolare. Storici locali hanno ipotizzato legami con la Cominio Cerito di origine sannita citata da Tito Livio negli Annales che trattano la seconda guerra punica, ma la cittadina odierna sembra avere origini medioevali ed è riportata nei documenti solo a partire dal X secolo. La strada principale, Corso Umberto I, si apre subito in una piazza sulla quale affaccia la cattedrale settecentesca della Santissima Trinità, con tre navate e un luminoso interno a croce latina. Di fronte alla chiesa un vasto piazzale con monumento ai Caduti, dove è possibile parcheggiare per proseguire il giro a piedi o in bici. A poca distanza, nell’alberata Piazza Vittorio Emanuele, vale una visita la parrocchiale di San Martino del 1702, preceduta da una bella scalinata curvilinea. Il centro, con i suoi palazzetti dalle facciate tardobarocche e il colore predominante della pietra calcarea, è molto suggestivo soprattutto con la luce diretta e rosata della sera.
Procediamo ora verso nord lungo la profonda gola del Titerno, stretta fra le pendici orientali dei monti Monaco e Cigno. Una stradina sulla destra conduce in ripida salita a Mastramici, pittoresco borgo di stalle in pietra con un’unica via centrale sempre ingombra di fieno; la disposizione dei bassi edifici rievoca la tipologia costruttiva degli antichi villaggi sanniti. Raggiungerlo con un veicolo ingombrante non è però consigliabile (e impossibile con la caravan al traino), per cui la visita è preferibile effettuarla solo se si è in auto o con un piccolo camper di adeguata potenza.
Proseguendo nella gola, invece, un’ulteriore stradina in discesa sulla sinistra conduce al suggestivo ponte sospeso detto di Annibale, per vedere il quale è conveniente lasciare il mezzo sulla provinciale, in prossimità di una caratteristica scultura in ferro. Il viadotto, davvero scenografico, si raggiunge in pochi minuti per un sentiero piuttosto sdrucciolevole e in pendenza; in primavera è usato dai locali per spettacolari tuffi nelle acque fredde e turchesi del Titerno.
La strada principale si immette ora in un tunnel e lascia da parte il tratto più affascinante dell’intera gola, la forra di Lavelle. La vecchia carreggiata, ora chiusa al traffico, è ideale per passeggiate a piedi o in bicicletta: dal vecchio ponte si può ammirare il canyon inciso dal corso d’acqua o imboccare uno degli agevoli sentieri che conducono a diversi angoli panoramici e alla grotta di Monte Cigno.

Verso le alte quote
All’uscita della gola, la strada prosegue per un’ampia vallata colma di materiali alluvionali e circondata da bastioni calcarei, tra i quali spicca di fronte il Monte Mutria (1.823 m) con versanti solcati da profonde incisioni ancora poco esplorate. In pochi chilometri si raggiunge Cusano Mutri, uno dei centri più caratteristici di tutta l’area. Noto per la bontà dei suoi funghi e per le sagre enogastronomiche, è inoltre sede di un interessante Museo Civico del Territorio dedicato alle tradizioni popolari, alla civiltà contadina e alla geologia e botanica del Matese: la sezione più completa e qualificata è quella paleontologica essendo il direttore e animatore, Sergio Bravi, un esperto in questo campo. La visita richiede circa un’ora ed è possibile prenotare escursioni a tema geopaleontologico ai siti dei dintorni. Uno di essi è la Civita di Pietraroja, bastione calcareo reso celebre dal ritrovamento del dinosauro Ciro ma non meno interessante per i numerosi esemplari di fossili vegetali e animali attualmente esposti in un piacevole museo di recente istituzione, il PaleoLab.
Da questo punto la strada prende a salire, dapprima assecondando le ondulazioni dei terreni argillosi, poi guadagnando quota sul calcare ai piedi del Monte Mutria, che domina la valle. In basso, sulla sinistra, si vedono il Monte Cigno, il Monte Erbano e la forra di Lavelle, mentre in primo piano si intuisce una profonda fenditura: è la forra alta del Titerno, altrimenti nota come Gola di Caccaviola.
Bocca della Selva, a quota 1.393, è una stazione sciistica e un ottimo punto di partenza per escursioni verso il Mutria e le austere faggete dei dintorni. Una tranquilla discesa conduce al passo della Sella del Perrone (1.257 m) da cui si dipartono diverse strade: quella a destra scende verso Guardiaregia e la piana di Bojano, offrendo dal ponte un’impressionante vista sulla forra del torrente Quirino, sbarrato da una diga. La strada di fronte, in salita, conduce invece in 18 chilometri alla stazione sciistica molisana di Campitello Matese, in suggestiva ambientazione ai piedi del Monte Miletto (2.050 m); chiuso nei mesi invernali, il tracciato si snoda per fitti boschi di faggio e radure carsiche, passando ai piedi delle alte pareti settentrionali della Gallinola e offrendo alla vista uno dei panorami più selvaggi dell’Appennino.
Il nostro giro intorno al Matese va invece a chiudersi prendendo la strada che piega a sinistra in direzione Piedimonte. Una breve discesa porta in località Capo di Campo, al margine orientale di una vasta depressione compresa tra alte vette a nord e più dolci rilievi a sud: è il polje del Lago del Matese, antico campo carsico prodotto dagli eventi tettonici e dalla dissoluzione delle rocce per effetto dell’acqua. Già nel XVIII secolo il canonico Trutta, erudito dell’epoca, scriveva: “Ho notato che questo gran Monte è tutto vòto al di sotto (…) in certi luoghi intieri fiumicelli, e torrenti, come quello, detto le Tornola, sono dalla terra assorbiti, senza che vi si veda voragine; in tre siti del lago si vedon le acque girare in vortici, segno che sono ingoiate da qualche sotterranea apertura, dalla quale si crede, che per le viscere della terra calando, vengano a formare le fonti de’ nostri fiumicelli in Piedimonte”. Trutta esplorò alcune grotte del massiccio, addentrandosi in quella di Campo Braca.
Dal Passo di Miralago si raggiunge l’azienda agrituristica Falode, unica attrezzata a campeggio in tutta la zona e ottima base per le escursioni nei dintorni. Scendendo infine per San Gregorio Matese e Castello si ritorna in circa 20 chilometri a Piedimonte Matese, dove l’itinerario può dirsi concluso: ma prima di chiudere l’anello c’è una deviazione che permette di conoscere altri caratteristici angoli, imboccando la strada che si stacca a destra del passo e costeggia il Lago del Matese. Continuando sul lungolago si tocca la Piana delle Secine al cui margine occidentale è Letino, minuscolo e tranquillo centro rurale, ideale per riposare e stare al fresco nei mesi estivi. Dalla piazzetta si gode un doppio panorama sulla valle del Lete, con il lago artificiale e le grotte del Cavuto, e sulla valle del Sava, con il nucleo di Gallo e l’omonimo lago, anch’esso di sbarramento. Negli anni immediatamente successivi all’unificazione d’Italia questa parte del Matese fu teatro di singolari movimenti anarchici, mentre un segno tangibile della tradizione locale è il singolare costume femminile di foggia balcanica che, soprattutto durante le feste, è possibile vedere indossato da alcune anziane signore. Da qui, per il rientro, è preferibile fare ritorno al Passo di Miralago e a Piedimonte da cui si raggiungeranno comodamente le grandi vie di comunicazione.

PleinAir 417 – aprile 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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