Cagliostro con le pinne

I ricercatori li conoscono uno a uno e li chiamano per nome: sono i cetacei che vivono nelle acque intorno a Ischia, da osservare - con un po' di fortuna e molta pazienza - nelle crociere organizzate a bordo del veliero Jean Gab dalla Delphis Mediterranean Dolphin Conservation.

Indice dell'itinerario

«Eccolo! Eccolo!» All’urlo dello studente al turno di vedetta ci spostiamo tutti a prua. Zora inizia ad abbaiare confermando l’avvistamento, mentre i ricercatori si precipitano sulle schede di riconoscimento e sulle macchine fotografiche, il tecnico del suono immerge rapidamente il delicato idrofono per provare ad ascoltare e a registrare le conversazioni tra gli animali, e il resto dei partecipanti è pronto con guide e binocoli puntati sui cetacei. Mi volto appena in tempo per vedere qualcosa che si immerge, poi il mare torna calmo come se nulla fosse successo, chiudendo la finestra sul mondo sotto di noi e inghiottendo il suo curioso abitante che, per un attimo, aveva deciso di fare capolino. Restiamo tutti immobili, in silenzio, scrutando la superficie liscia e accecante, impenetrabile. Persino lo Jean Gab, il veliero-laboratorio su cui navighiamo, sembra essere in attesa alla ricerca di uno spiraglio, di un punto d’incontro con l’abisso.
Il venticello che questa mattina ci ha permesso di allontanarci da Ischia senza motore è ormai calato, così restiamo a dondolare sulle poche onde, le vele morbide e l’andatura pigra. Finalmente un altro spruzzo in lontananza, e questa volta siamo tutti pronti. Angelo, il capitano, esclama: «Una mobola!». Ci spiega che è la manta del Mediterraneo, che ha l’abitudine di saltare fuori dall’acqua quando è in amore, ma bisogna essere fortunati dato che difficilmente esce due volte di seguito. «Ecco perché non siamo mai riusciti a fotografarle in volo». Ci guardiamo di nuovo attorno, ancora niente. Dobbiamo solo tener d’occhio le onde e aspettare. Il bello di un incontro con i delfini e gli altri cetacei in libertà è proprio che sono loro a decidere quando farsi vedere e da chi farsi avvicinare, è una concessione della natura che prova ancora una volta a fidarsi dell’uomo. Insomma, un momento magico che però si fa attendere anche a lungo.
Con il vento calmo e il mare buono ci fermiamo per il pranzo o, per meglio dire, veleggiamo lentamente preparando la tavola per un pasto veloce. Il cutter in legno del 1930 che ci ospita permette anche questo, cioè una navigazione spinta solo dalla forza inesauribile e pulita del vento, spostamenti a bassa velocità che consentono di tenere sotto controllo l’area di osservazione anche svolgendo altri compiti, silenziosità per non disturbare il biosonar dei cetacei, assenza dell’elica in rotazione (pericolosissima in caso di collisione con gli animali). E poi tanto spirito di marineria e di vita di bordo: si cucina insieme sottocoperta, si dorme nelle cuccette della sleeping area, si impara a risparmiare acqua e corrente elettrica – almeno chi non è abituato come noi al camper o alla caravan – e a minimizzare l’uso di saponi e creme per un futuro più sostenibile anche nelle piccole abitudini quotidiane.
Calata la randa, possiamo rinfrescarci con un tuffo nel canyon di Cuma, una sorta di santuario per la riproduzione e l’alimentazione dei mammiferi marini situato nel golfo di Napoli, nel bel mezzo dell’arcipelago campano, che l’associazione Delphis Mediterranean Dolphin Conservation sta monitorando dal 1991. E’ un sito di importanza fondamentale per la presenza di ben sette specie diverse: la Stenella coeruleoalba (ovvero la stenella striata), il Delphinum delphis (il delfino comune), il Tursiops truncatus (il tursiope), il Grampus griseus (il grampo), il Physeter macrocephalus (il capodoglio) e la Balaenoptera physalus (la balenottera comune). Persino la Globicephala melas (il globicefalo) è stata un ospite occasionale dell’area. Eppure, per quanto fondamentale, è anche una zona a rischio a causa del gran traffico di imbarcazioni turistiche a motore, traghetti, pescherecci e persino petroliere o portacontainer. Nel 2003 la popolazione mediterranea del delfino comune è stata dichiarata in pericolo dall’IUCN, la World Conservation Union, e Ischia definita habitat critico per la specie. Il lavoro svolto dall’associazione e dai volontari che partecipano alle crociere di ricerca è fondamentale: ha permesso di documentare, a nord della costa dell’isola, la presenza del delfino comune sin dal 1997, eseguendo la fotoidentificazione di quarantasei individui di cui diciannove sono stati riconosciuti per diversi anni a seguire sulla base delle macchie naturali presenti sulle pinne dorsali.
Mentre ci asciughiamo al sole, i ricercatori tengono una piccola lezione sulle tecniche di studio e sulle caratteristiche biometriche ed etologiche dei nostri amici acquatici. Scopriamo come distinguere i vari esemplari e ad ognuno di noi vengono assegnati compiti precisi durante l’avvistamento, che può durare anche 2 o 3 ore: ogni 3 minuti, inoltre, è necessario registrare la posizione con il GPS e i comportamenti dei singoli individui, salti, planate, giravolte, fischi, interazioni con gli altri del gruppo. Ascoltiamo incantati la storia dei globicefali che dal 1995 si fanno ammirare nelle acque del canyon: all’inizio erano due maschi adulti, Cagliostro e Santiago, due femmine, Senora ed Emma, e un giovane maschio, Pan; oggi, per ragioni tuttora sconosciute, sono rimasti solo Pan e Cagliostro.
Stiamo ancora al fresco sottocoperta, ammirando al computer di bordo le splendide riprese dei capodogli, quando Angelo urla dalla sua postazione al timone: «Venite a guardali dal vivo!». Un gruppo di cinque tursiopi, con un cucciolo nato da poco, sta dormendo pigramente fra le onde uscendo ogni tanto per respirare e continuando a nuotare lungo il canyon. Ci avviciniamo quanto basta per le foto identificative e per registrare le coordinate dell’avvistamento, ma la nostra presenza disturba il riposo del piccolo per cui, terminato il lavoro, evitiamo di seguirli. La nostra tenacia è stata ripagata, la natura ci ha fatto un bellissimo dono e, sul fare del tramonto, possiamo riprendere la strada del porto.

PleinAir 405 – aprile 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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