Brutta fuori, bella dentro

Rispetto a Firenze e alle grandi mete d'arte della Toscana, che facilmente attraggono i visitatori, Prato - sommersa da un'informe periferia industriale - a tutta prima li respinge. Eppure non manca di preziose e gradevoli sorprese: passo passo, andiamo a cercarle.

Indice dell'itinerario

L’azienda turistica di Prato ha sempre fatto il massimo sforzo, con manifestazioni e materiale informativo, per far conoscere una provincia che rimane ancora la Toscana minore e tralasciata. D’altronde questa città non riesce a presentarsi con immediatezza ai turisti: ci si arriva sempre dal basso, e il centro storico resta nascosto da una periferia industriale cialtrona e confusa. Tra l’Otto e il Novecento, quando i pratesi idearono il sistema di riciclare stoffe vecchie per farne di nuove, in solo mezzo secolo si quadruplicò l’estensione dell’abitato fuori le mura: ma erano perlopiù case di operai, prive di senso estetico. Danni d’altro genere furono apportati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; poi, con l’espansione economica degli anni Cinquanta e Sessanta si registrò un tasso d’immigrazione superato solo dalla Torino della Fiat.
Attualmente Prato, con i suoi 170.000 abitanti, è la seconda città della Toscana per densità di popolazione: e in tempi recenti i cittadini hanno avuto un lecito scatto d’orgoglio, dando inizio alla sua rivalutazione. Non contenti di divenire fautori dell’architettura industriale moderna, hanno addirittura assunto una leadership nell’arte contemporanea grazie a quelle sculture gigantesche e strane, che oggi il lessico chiama installazioni, collocate in diverse zone del centro abitato. Arrivando da Firenze il primo esempio è un bel gruppo di moderni palazzi per uffici con la celebre Fetta di melone, una scultura in cemento lunga una trentina di metri: è il simbolo della Prato moderna che, se non la prima in quanto a collezioni di antichità, vuole appunto esserlo per l’attualità. Quest’opera d’arte annuncia infatti il grande Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, ed è proprio da qui che cominciano la parte nuova della città, le lucenti superfici vetrate degli uffici, l’espressione del boom economico, l’architettura imprenditoriale.
Ma Prato offre la sua immagine naturale solo sul versante nord, dove l’Appennino termina la sua discesa, e a nord-est, zona in cui la ferrovia procede ai piedi dei colli (è lì che si sta cercando di valorizzare il Bisenzio). E’ difficile poi accorgersi di quando si sta per entrare nel centro storico: te ne rendi conto solo perché a un certo punto ti trovi di fronte la cinta muraria, il cui perimetro è rimasto quasi intatto mentre la struttura in alcuni punti è stata danneggiata dalle bombe del 1944 e dall’edilizia industriale. A Piazza San Marco, proprio nel punto in cui mancano le mura è situata una gigantesca scultura in marmo bianco di Henry Moore, che si offre come la nuova porta tra la città moderna e la bella parte antica.
Sì, perché esiste anche una Prato bella, inaspettata e misconosciuta entro quegli antichi confini: qui si recuperano l’ordine, la compostezza, la qualità della vita e una garbata eleganza cittadina, si passeggia per strade ben tenute a traffico limitato e c’è la tranquillità di incontrarsi, guardare le vetrine, cercare il posto in cui si producono e si vendono i cantuccini, i tipici biscotti con le mandorle che non si finirebbe mai di inzuppare nel locale vinsanto.
L’impianto urbano, com’è usuale nelle città d’arte toscane, ha caratteristiche nettamente medioevali: strade con leggere curvature che chiudono le visuali e si aprono solo in vaste piazze davanti alle chiese, torri che sbucano massicce e chiuse al di sopra dei palazzetti. Gli stessi tratti si ritrovano nel Castello dell’Imperatore, edificato in onore dello svevo Federico II che qui utilizzò una fortezza precedentemente costruita; ora sembra, così alto con i merli ghibellini, uno strano strumento di guerra e di potere tra le fermate degli autobus e i pacifici villini borghesi con le persiane verdi. Visto da fuori è grandioso, mentre all’interno si presenta piuttosto spoglio perché – morto l’imperatore nel 1250 – non ebbe più le funzioni residenziali di una corte e fu utilizzato come roccaforte militare. Per questo i subentranti fiorentini, un secolo dopo, lo collegarono alle mura con il corridore, un camminamento coperto di 230 metri agibile anche ai cavalli, oggi recuperato per mostre ed eventi. Accanto al castello la piccola chiesa di Santa Maria delle Carceri voluta da Lorenzo il Magnifico che, per il progetto e la decorazione, chiamò Giuliano da Sangallo, Andrea della Robbia e il Ghirlandaio, dando fondo a ingenti somme di denaro pubblico con il malcontento dei pratesi; ma morì prima di vederla realizzata, e pur di mettere fine alle spese la chiesa fu lasciata incompiuta, rimanendo tuttavia un capolavoro di stile rinascimentale. Dall’originale forma a pianta quadrata, con i bracci della croce latina poco sporgenti, risulta un edificio compatto sotto la cupola, impreziosito dal disegno del marmo bianco e verde che in parte lo ricopre.
In città, fra il Tre e il Quattrocento, operarono anche Bernardo Daddi (seguace di Giotto), Giovanni da Milano, Agnolo Gaddi, Niccolò Gerini. Per la Cattedrale i pratesi ottennero l’intervento di firme eccezionali come Giovanni Pisano, Filippo Lippi, Michelozzo e Donatello, autori di un originale pulpito esterno utilizzato cinque volte all’anno (a Pasqua, il Primo Maggio, a Ferragosto, l’8 settembre e il 25 dicembre) per l’ostensione della Sacra Cintola della Madonna, preziosissima reliquia che un pratese, sposatosi a Gerusalemme nel 1141, aveva ricevuto in dote dalla moglie.
Altre chiese, numerose nel piccolo centro storico, furono sostenute dalla potenza degli ordini francescani, agostiniani e domenicani come il conservatorio femminile di San Nicolò, del XIV secolo, comprendente una Scala Santa.
Quanto alle architetture civili, in tempi lontani ci fu un senso di comunità cittadina, favorito dal sistema fiscale, che frenava le ambizioni dei ricchi: per tal motivo, unito alla ristrettezza degli spazi entro le mura e per il carattere poco esibizionista degli imprenditori borghesi fattisi signori, i palazzi della Prato antica non offrono a prima vista un’impressione di grandiosità e di prestigio. Palazzo Datini, il maggior edificio privato, si sviluppa su due piani e l’unico elemento di estro è costituito da una loggia; per esprimere il gusto e la ricchezza del casato gli affreschi coprono anche il lato esterno, mentre in altri palazzi come decoro sono stati utilizzati dei graffiti. In mattoni rossi scanditi da belle trifore gotiche, con la sua alta sagoma quadrangolare il più imponente è il Palazzo Pretorio, costruito fra il XII e il XIV secolo come espressione del potere cittadino. Importanti furono gli edifici con funzione pubblica, tra cui l’ospedale (andato in gran parte distrutto durante la guerra) e il Collegio Cicognini, frequentato da personaggi illustri come Bettino Ricasoli, Gabriele D’Annunzio, Curzio Malaparte.
Piazza Mercatale pare sia stata il più grande spazio per i commerci entro le mura; attualmente è adibita a parcheggio, con un bel giardino e una fontana. Di queste ultime incontriamo altri esempi in Piazza del Duomo e in Piazza del Comune, dove si trovano una copia della celebre fontana del Bacchino – l’originale di Ferdinando Tacca, del 1665, è situato nell’atrio del Municipio – e il monumento a Francesco di Marco Datini che fu lanaiolo, contabile, banchiere e inventore della lettera di credito. Sempre in questa piazza ci sono il monumento ai caduti e la statua di Giuseppe Mazzoni, che fu nel 1849 quadrumviro della brevissima Repubblica Pratese e poi senatore.
Invano si cercherebbero opere monumentali in onore dei Savoia: ai cittadini di Prato non importava ingraziarseli con monumenti, quanto risparmiare sul bronzo. Oltre al liberale e nobile Cavour, mancano anche testimonianze per il repubblicano e borghese Mazzini; quanto a Garibaldi, eroe dei Due Mondi nonché del popolo, non poteva non esserci – se non in un monumento equestre – almeno a piedi, appoggiato alla sciabola. I pratesi comunque lo hanno onorato ridedicandogli un piccolo obelisco d’occasione, che ai tempi dei Lorena già si trovava in Piazza San Francesco: un altro dei piccoli salotti del centro storico dove, capitando nell’ultimo weekend del mese, si potrà concludere la visita della città tra i banchi del mercato antiquario.

PleinAir 381 – aprile 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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