Bollicine regali

Apprezzato dalle corti francesi già nel XVIII secolo, famoso in tutto il mondo per accompagnare le occasioni speciali, lo champagne prende il nome dalla regione in cui nasce e ne disegna i paesaggi e l'economia. Andiamo a scoprire come si fa, come si gusta e dove acquistarlo, visitando le cantine dei grandi marchi e dei piccoli produttori in un viaggio lungo la strada turistica dedicata a questo nettare.

Indice dell'itinerario

Colline tappezzate dai lunghi filari delle viti, paesi circondati da una campagna generosa, cattedrali gotiche, residenze aristocratiche e poi cantine, tante cantine dove si producono vini straordinari, famosi in tutto il mondo. La regione della Champagne, che ha dato il nome ai preziosi nettari dalle bollicine dorate, è la zona vinicola più settentrionale della Francia e, nonostante sia anche la meno estesa, è senz’altro una delle più conosciute proprio a motivo del suo prodotto principale: ma il viaggiatore spesso tende a visitarne solo le città più note – Reims in testa – finendo con il trascurare i percorsi minori, oggi valorizzati dalla Route Touristique du Champagne.
Protagonista della strada non può che essere il raffinato spumante, le cui caratteristiche dipendono prima di tutto dal suolo e dal clima. Il terreno calcareo gessoso favorisce il drenaggio dell’acqua mentre la posizione geografica è aperta alle fredde correnti in arrivo dall’Atlantico, che non incontrano ostacoli naturali fino alle modeste montagne di Reims. Se a ciò si aggiunge la cura quasi maniacale dedicata ad ogni singolo aspetto della coltivazione, ecco spiegato il motivo di un apprezzamento che da secoli non conosce flessioni. Il lavoro, come da tradizione, segue il ritmo delle stagioni: d’inverno si effettuano le potature, in primavera è il momento delle legature e del diradamento delle gemme, d’estate bisogna sfrondare e separare i tralci e in autunno, quando l’uva è giunta alla corretta maturazione, arriva finalmente la vendemmia, compiuta rigorosamente a mano per selezionare i grappoli migliori e non rovinare gli acini prima della torchiatura.
Fin dal 1927 una legge limita la resa per ettaro, la quantità di mosto da lavorare, l’altezza e la distanza tra i ceppi dei torchi: ben trentacinque regole severe, indispensabili per tutelare la qualità e il prestigio dello champagne. Ogni anno si producono più di 300 milioni di bottiglie, delle quali più o meno un terzo è destinato all’esportazione (la sola Italia ne stappa otto milioni e mezzo). La produzione è concentrata su una superficie di circa 30.000 ettari che comprende più di trecento città e villaggi, la cui economia è strettamente legata alla produzione vitivinicola. Quattro sono le principali zone di produzione: la Montaigne de Reims, la Vallée de la Marne, la Côte des Blancs i cui vigneti si estendono fino al Sézannais e infine la Côte des Bars e Montgueux, con dolci propaggini comprese tra la Senna e l’Aube. La qualità del vino dipende anche dalla specifica area di produzione o cru, per citare un termine enologico squisitamente francese: Ambonnay, Ay, Avize, Beaumont-sur-Vesle, Verzenay e Verzay sono alcuni tra i migliori grand crus. Quanto ai vitigni, se ne possono utilizzare essenzialmente tre: il Pinot Nero che viene coltivato perlopiù nella Montaigne de Reims, il Pinot Meunier diffuso nella valle della Marna e lo Chardonnay, che dona aromi floreali. Il disciplinare permette l’uso contenuto di altre due uve, Arbane e Petit Meslier, impiegate soprattutto nelle cantine dell’Aube.
La tradizione ascrive il merito di aver raccolto e codificato il metodo di produzione dello champagne all’abate Dom Pierre Pérignon, che nel 1668 era divenuto economo dell’abbazia di Hautvillers nei pressi di Épernay. Non si sa esattamente se il monaco benedettino giunse a quello che oggi chiamiamo metodo champenois per errore durante la vinificazione o se, per ottenere un vino più gradevole, aggiunse di proposito dello zucchero; di certo, verso la fine del ‘600, arrivò alla conclusione che i pregi di quello spumante già diffusamente apprezzato erano dovuti alla rifermentazione in bottiglia con produzione di alcool e anidride carbonica. A Dom Pérignon, inoltre, si attribuiscono la tecnica dell’assemblaggio, cioè l’unione di vini provenienti da vigneti diversi, e l’impiego dei tappi di sughero al posto di quelli di legno, decisamente meno adatti.
Da allora le tecniche di produzione si sono costantemente affinate, ma i nuovi produttori perseverano nella ricerca della massima qualità: ed ecco come nasce il prestigioso nettare. Immediatamente dopo la raccolta i grappoli vengono sottoposti a una pressatura soffice, che non frantuma la buccia e non compromette la colorazione del succo. Da 160 chili d’uva si ricava circa un ettolitro di mosto; eliminata la feccia, dopo qualche ora di decantazione si trasferisce il mosto in cisterne d’acciaio dove fermenta sino alla totale trasformazione degli zuccheri in alcool. A questo punto si passa all’assemblaggio mescolando e filtrando vini di tipo ed età differente per ottenere un insieme equilibrato e armonioso; ogni maison aggiunge poi alla cuvée così ottenuta un liqueur de tirage composto da zucchero di canna e fermenti attivi. Dopo l’imbottigliamento lo champagne viene lasciato riposare in cantine fresche e buie, naturalmente in posizione orizzontale, dove i lieviti trasformano lo zucchero in alcool e in eteree bollicine di anidride carbonica, che fanno salire a 6 atmosfere la pressione interna della bottiglia. Questa fase in genere dura almeno quindici mesi per i brut e da tre a dieci anni per i millesimati più prestigiosi (vini di una sola annata di qualità superiore). Giunge infine il momento di trasferire le bottiglie sulle pupitres, speciali cavalletti costituiti da due tavole di legno dotate di fori e unite alla sommità. Una volta sistemate, tutti i giorni per quattro o cinque settimane si effettua il remuage, voltando le bottiglie di un quarto di giro in senso orario onde favorire il deposito dei sedimenti verso il tappo: un’operazione lunga e impegnativa che viene effettuata a mano o, nelle aziende più moderne, con macchine automatiche gestite da un computer. Si arriva così al dégorgement, la sboccatura, che ha come obiettivo l’eliminazione dei depositi e delle impurità: un tempo si procedeva manualmente aprendo la bottiglia verso il basso e poi rigirandola rapidamente, mentre oggi si preferisce passare il collo della bottiglia stessa attraverso una miscela refrigerante che lo congela in brevissimo tempo e, dopo aver tolto il tappo d’acciaio, la pressione provoca la fuoriuscita del sedimento ghiacciato. Il livello si ripristina aggiungendo il cosiddetto liqueur de dosage, una miscela rigorosamente segreta composta da vino invecchiato e zucchero di canna in dosi variabili a seconda del tipo di champagne che si vuole ottenere (brut, sec, demi-sec e il piuttosto raro doux).
Si tratta insomma di un processo lungo e costoso, che richiede molta manodopera e cantine decisamente ampie. Ecco perché la produzione spesso si concentra nelle grandi maison, che acquistano le uve dai coltivatori. Moët & Chandon, Taittinger, Bollinger, Mumm, Pommery sono alcune fra le più celebri case produttrici, le cui bottiglie sono facilmente reperibili anche sugli scaffali delle enoteche italiane: ma c’è tutt’altra soddisfazione a rifornirsi direttamente sul posto, anche perché questi grandi produttori sono ben lieti di accogliere i turisti per una visita alle loro cantine.
Da non dimenticare poi i récoltant manipulant, cioè i piccoli produttori che non si limitano a coltivare e a vendere le proprie uve ma che vinificano in proprio. E’ gente orgogliosa, che ama la propria terra e vuole ottenere il massimo dai propri grappoli: come Anselme Selosse della cantina Jacques Selosse ad Avize, che produce poco più di 45.000 bottiglie all’anno, meno di quanto i disciplinari gli consentirebbero in rapporto alla superficie coltivata. Spiega Anselme: «La vigna e il vino sono vivi, ecco perché i vini sono e devono essere sempre diversi, e non possono venire standardizzati per esigenze commerciali. Inoltre devono esaltare le caratteristiche del terreno nel quale sono state coltivate le viti, e per questo ogni anno lavoriamo la terra per renderla più porosa e per favorire il drenaggio dell’acqua. Inoltre preferiamo agevolare le difese immunitarie della vigna evitando l’impiego di prodotti chimici. La biodinamica è un mezzo per ottenere vini di grande personalità». A conferma di questo approccio, i suoi champagne sono eccezionali, tanto che qualche anno fa l’allora presidente Jacques Chirac li scelse come vini rappresentativi della Francia a un incontro di capi di Stato. Senz’altro da assaggiare è l’eccezionale Blanc de Blancs del 1996, prodotto solo con uve bianche di Chardonnay, che gli esperti considerano uno dei migliori millesimati degli ultimi decenni. Eccellenti sono anche gli champagne di Pierre Larmandier, un altro piccolo produttore che opera a Vertus: i palati più fini possono comprendere la sua filosofia degustando il brut base o il Cramant grand cru, un vino di classe più complesso e persistente che nasce da viti di trent’anni e più.

Per cantine e musei
Se il mondo dello champagne e chi ci lavora costituiscono una realtà affascinante, in cui la tenacia e l’amore per la propria terra sono ingredienti fondamentali del successo, il giusto completamento è la scoperta dei luoghi, seguendo appunto la strada tematica dedicata alle bollicine made in France. Il percorso si sviluppa per circa 600 chilometri, con vari itinerari segnalati da tabelle di colore differente che portano ad apprezzare gli angoli più caratteristici e i monumenti più importanti della regione.
Immancabile punto di partenza è Reims, nel cui centro storico spicca la cattedrale gotica di Notre-Dame – uno dei monumenti più famosi di tutta la Francia – iniziata nel 1211 là dove sorgeva il precedente edificio, raso al suolo da un incendio, e portata a termine nella seconda metà del ‘400. A Reims vennero incoronati ben ventiquattro re di Francia da Clodoveo I a Carlo X, l’ultimo sovrano, la cui corte già apprezzava i pregi dello champagne. Si dice che il re dei vini, o se preferite il vino dei re, venisse servito già allora in coppe modellate sulla forma del seno di Madame de Pompadour, la celebre amante di Luigi XV: vero o falso che sia, qui lo champagne scorre a fiumi nei meandri delle cantine Mumm, Piper Heidsieck, Pommery e Taittinger.
Lasciata Reims in direzione sud lungo la N51 verso Épernay, dopo una decina di chilometri si devia a sinistra sulla D26 per Verzenay. A sorpresa, nel bel mezzo della campagna si erge un faro che venne fatto costruire all’inizio del ‘900 da un fantasioso commerciante di champagne. Oggi Le Phare, così si chiama il curioso monumento, è adibito a museo della vite associato al parco regionale della Montaigne de Reims, e i circa 20.000 turisti che ogni anno lo visitano possono scoprire, grazie agli oggetti in mostra e a vari filmati, le varie fasi di produzione dello champagne. Poco più avanti si incontra Verzy dove valgono una sosta i Faux de Verzy, ovvero i faggi che compongono una piccola e suggestiva foresta. Da qui, raggiunta in breve la D19 passando per Trépail, ad Ambonnay il consiglio è di visitare le cantine di Paul Déthune e di Marie-Noëlle Ledru: entrambe producono ottimi vini che consentiranno di rifornire la cambusa a prezzi ragionevoli.
A Condé ci portiamo presso il corso della Marna seguendolo sulla D1 fino ad Ay, il villaggio più antico della zona. Meno di 3 chilometri dista Épernay dove si concentrano alcune maisons fra le più prestigiose: Moët & Chandon e Champagne de Castellane, per citarne solo due. Uscendo dall’abitato in direzione di Sézanne, al sobborgo di Pierry svoltiamo verso sinistra sulla D40 e poi sulla D10 fino ad Avize, dove opera il già citato Anselme Selosse. Il passaggio attraverso l’adiacente paesino di Oger, la cui fama di luogo estremamente pittoresco è davvero meritata, ci consente di scoprire la cantina Henry de Vaugency, la cui visita comprende il Musée de l’Amour et de ses Traditions che ospita più di 600 pezzi originali come abiti da sposa, bigiotteria e regali insoliti dell’800 e dei primi del ‘900. Ancora un paio di chilometri e si arriva a Le Mesnil-sur-Oger, dove un altro bel museo della vigna e del vino è stato allestito presso la Champagne Launois Père et Fils.
Da Vertus andiamo a concludere il nostro giro scendendo verso sud per Fère-Champenoise, Salon e Méry-sur-Seine che, come dice il nome, affaccia sulla Senna. La D7 corre parallela alla sponda settentrionale del fiume sino a Troyes, in un territorio che da solo comprende più del 20% della superficie di denominazione dello champagne. Dalle medioevali enpan de boiscase, case a graticcio del quartiere Saint-Jean, alle strade costellate di scorci pittoreschi, dalle numerose chiese gotiche ai vari musei, il capoluogo dell’Aube è una piacevole città il cui centro storico, guarda caso, ha una forma che ricorda quella di un tappo, naturalmente di champagne.

I consigli degli esperti
Prima dell’acquisto di una bottiglia di champagne conviene leggere con attenzione l’etichetta: oltre alla marca e alla sigla AOC, l’Appellation d’Origine Controléè corrispondente alla DOC italiana, vi sono riportate altre importanti informazioni quali il tipo di vino, il luogo d’origine e la qualità dei terreni di produzione. Una sigla di due lettere specifica come e da chi il vino è stato prodotto o commercializzato: NM indica il négociant manipulant (l’azienda compra le uve, le assembla e vende il vino), RM il récoltant manipulant (piccolo produttore che lavora le proprie uve e commercializza il vino), CM la coopérative de manipulation (una cooperativa di produttori), RC il récoltant coopérateur (viticoltore che porta le proprie uve a una cooperativa per la vinificazione e poi ritira e commercializza il prodotto) e ND il négociant distributeur (azienda che acquista le bottiglie e le rivende con propria etichetta).
Ecco infine alcuni consigli utili per gustare al meglio lo champagne. Un buon vino proveniente da terreni importanti, come un Grand Cru o un Premier Cru, può invecchiare per diversi anni purché conservato in cantine fresche; non sopporta le vibrazioni, perciò non va tenuto nella porta del frigorifero domestico e ovviamente neanche trasportato per un migliaio di chilometri in camper (meglio stapparlo sul posto per una cena romantica in dinette). Il raffreddamento dev’essere graduale, mai nel freezer le cui temperature troppo basse compromettono certi aromi: meglio riporre la bottiglia in un secchiello contenente acqua, ghiaccio e una manciata di sale grosso. La temperatura di servizio è di circa 8-10°C, più bassa limiterebbe l’espressione dei vini. Si apprezza soprattutto se si beve in flûte o in calici a tulipano, che evidenziano il perlage e permettono al bouquet di manifestarsi al meglio. Gli champagne di corpo sono perfetti con il salmone e i pennuti ripieni, quelli dell’anima con caviale e aragosta, quelli di cuore con il foie gras caldo, mentre quelli dello spirito con ostriche e frutti di mare. Con i dolci, il panettone ad esempio, è meglio optare per uno spumante dolce. Se poi avete molti ospiti a cena non preoccupatevi, fin dall’800 i produttori hanno pensato a bottiglie di grande capacità, come la Nabuchodonosor da 15 litri e la Melchiezédec da 30 litri. E chiudiamo con una curiosità: una bottiglia di champagne contiene circa 50 milioni di bollicine.

Testo e foto di Alberto Campanile

PleinAir 444 / 445 – Luglio / Agosto 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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