Birdsville Track, il nome dell'avventura

Si viaggia a cavallo e con i fuoristrada, si dorme in tenda sotto le stelle del deserto al seguito dei mandriani che, attraverso il selvaggio outback australiano, guidano il bestiame nella Great Cattle Drive.

Indice dell'itinerario

Cinquecentoquattordici chilometri in sella per trasferire le mandrie da Birdsville, nel Queensland, a Marree, nel South Australia: è questa la Great Cattle Drive, un’avventura di sei settimane per vivere appieno lo spirito dei pionieri australiani e dell’outback (“quello che c’è dietro”, ovvero il deserto).
Tra l’800 e il ‘900 percorrere il leggendario Birdsville Track era una necessità perché solo per questa via gli animali avrebbero potuto raggiungere la Ghan Railway, che avrebbe dovuto collegare Adelaide a Darwin. La costruzione della ferrovia, in effetti, aveva avuto inizio nel 1877 ma non giunse mai a termine a causa di un errore di valutazione del territorio: la sezione compresa tra Alice Springs e Marree era stata realizzata in un’area alluvionale, periodicamente destinata ad allagarsi con l’arrivo delle piogge. Nel tratto compreso tra Adelaide e Marree i passeggeri e le merci viaggiavano su una ferrovia a scartamento largo, poi fino a Oodnadatta su quella a scartamento ridotto e infine proseguivano a bordo di carrozze trainate da cammelli (il termine ghan si riferisce ai cammellieri afgani ma anche turchi, persiani e indiani che, fino a un secolo e mezzo fa, utilizzarono i tenaci quadrupedi per attraversare il deserto). Era un viaggio, come ben si immagina, lunghissimo e stancante, che richiedeva grande spirito di adattamento.
L’avventura della storica Old Ghan Railway è terminata nel 1982, quando è stata inaugurata una linea più moderna ed efficiente che attraversa il paese da nord a sud, ovvero da Darwin ad Adelaide (2.979 chilometri, percorribili in 47 ore di viaggio). Marree era ed è tuttora una porta spalancata sui 600.000 chilometri quadrati dell’outback del South Australia, ma anche un punto di riferimento per il commercio del bestiame: dagli anni Settanta, però, mucche e cavalli viaggiano più comodi a bordo dei road trains, i mastodontici camion con più rimorchi al seguito che attraversano l’Australia in lungo e in largo.

A rievocare quell’epoca da pionieri, la Great Cattle Drive è rinata negli anni scorsi (la seconda edizione si è svolta nel 2005) con uomini e mandrie che tornano, come una volta, ad affrontare il deserto australiano. Una terra di ruvida bellezza, apparentemente sempre uguale eppure diversa, aspra e inospitale ma straordinariamente affascinante.
Il viaggio comincia a Birdsville, un paesetto di cento anime adagiato a una dozzina di chilometri dal confine di stato. In passato era più vivace e frequentato, poiché tutte le carovane dirette nel South Australia erano obbligate a sostare qui per sdoganare le merci; con l’abolizione dei dazi il villaggio si spopolò, ma oggi ha ritrovato nuova vita grazie alla presenza dei turisti che desiderano assistere ai Birdsville Races, una serie di gare che nel primo weekend di settembre richiamano migliaia di partecipanti.
Da Birdsville la grande transumanza s’insinua nel Simpson Desert (oltre 160.000 chilometri quadrati, più o meno quanto mezza Italia), poi nello Sturt Stony Desert e nel Tirari Desert. Tre nomi per un’unica immensa distesa che le carte geografiche colorano di giallo ocra con deboli sfumature marroni, un luogo tra i più desolati della terra, eppure abitato dagli aborigeni da più di 20.000 anni: nel cuore rosso dell’Australia sono stati rinvenuti i resti di bivacchi antichi e conchiglie marine, forse cedute dagli abitanti della costa settentrionale agli aborigeni Wangkangurru in cambio di misture vegetali curative.L’itinerario è un’immersione senza compromessi nella natura: il paesaggio muta, dalle dune di sabbia si passa alle distese di ciottoli rossi o a quelle di spinifex, piante dalle foglie pungenti come aghi. Di canguri se ne vedono pochi, soprattutto nelle ore centrali della giornata; nei pressi di Clayton è possibile avvistare stormi di pappagalli rosa, aironi nei rari acquitrini e il più grande rapace del continente, l’aquila a coda cuneiforme. Schivo è il dingo, sorta di cane selvatico molto temuto dagli allevatori che per proteggere il bestiame hanno eretto una rete metallica tra il Queensland e la Grande Baia Australiana, un’opera grandiosa lunga quasi 5.300 chilometri (poco meno del doppio della distanza che separa Helsinki da Venezia).
Ma la Cattle Drive è anche un viaggio nel tempo, riscoprendo i ritmi lenti dei drovers – versione locale dei cowboy – che seguivano le mandrie, con le quali riuscivano a percorrere al massimo 20 chilometri al giorno. In passato le tappe erano scandite dalla presenza d’acqua, indispensabile ristoro che solo i più esperti sapevano raggiungere senza perdersi: qui non vi sono fiumi in superficie, ma nel sottosuolo abbondano le riserve idriche che a volte sgorgano creando le risorgive dette billabong. L’approvvigionamento idrico necessario agli animali era garantito anche da pozzi artesiani profondissimi, come quello di Mirra Mitta che porta alla luce acqua bollente da un bacino sito a più di 1.000 metri di profondità.
Una sorgente naturale si trova invece a Mungerrannie, grossomodo a metà del Birdsville Track: a lato di una strada polverosa s’incontrano una pompa di benzina e una casa bassa con un bel portico; poco più in là comincia il nulla colorato di giallo e di rosso, un angolo di Far West australiano che ci ricorda i film di Sergio Leone anche per l’insistenza di un cigolio intermittente, forse provocato da un pozzo artesiano, che interrompe il brusio del vento. Qui si può fare una doccia calda, dormire in una camera pulita e mangiare un sostanzioso panino al Mungerrannie Pub, un locale molto aussie dal cui soffitto pendono i cappelli e le selle usate dai drovers, mentre sulla parete dietro al bancone di legno troneggiano immagini e oggetti disparati: un granchio gigante, corna di bue, un paio di stivali impolverati, le fotografie del proprietario in compagnia di due procaci fanciulle. A servire birre gelide, protette da un coprilattina in neoprene raffigurante altre donzelle prosperose, c’è John Hammond, un australiano vecchio stampo con gli occhi penetranti e una fluente barba bianca: «Qui non ci si annoia, ogni anno passano più di 45.000 persone, camionisti ma soprattutto turisti. Chi ama l’Australia e vuole scoprirne l’essenza, prima o poi deve percorrere il Birdsville Track» spiega con una gentilezza quasi inattesa.

Oggi la vita dei drovers è più semplice anche perché, al seguito delle 600 vacche e dei 120 cavalli, viaggiano le cisterne d’acqua e i camion con i viveri e il foraggio. Ma la giornata è comunque dura, comincia all’alba e termina al tramonto: al sorgere del sole, indossati gli stivali (i mitici R.M. Williams), il cappello di pelle di canguro e le giacche pesanti, tutti sono già in piedi per sellare i cavalli e preparare il bestiame. Prima partono i cavalli, a distanza seguono le mandrie per non spaventare gli altri animali; la carovana muove lentamente lasciando dietro di sé una lunga nuvola di impalpabile polvere rossastra che penetra nei vestiti, nelle tende, nelle auto, nei camper, ovunque.A capo dei quattordici drovers c’è Shane Oldfield, un uomo tutto d’un pezzo, allevatore da decenni e da sempre abituato a stare in sella, che ha il compito di condurre uomini e animali sani e salvi fino a Marree. Con lui c’è tutta la famiglia: il figlio Clayton, la nipote Jodie e, naturalmente, la moglie Debbie che si occupa della cucina e di Milka, un vitellino nato durante la transumanza e abbandonato dalla madre. Il silenzio lascia spazio ai muggiti, ai richiami dei mandriani, allo schioccare delle fruste, al vociare dei turisti che ancora infreddoliti cominciano a bardare i cavalli loro assegnati. Indossato il casco e la zanzariera per proteggere il volto dalle mosche insistenti, partono anche i city slickers (i cittadini, per definizione considerati piuttosto maldestri); al gruppo si aggiunge la famiglia Fawler, che viaggia a bordo di antiche carrozze trainate da cavalli. La marcia è tranquilla, priva di difficoltà, alla portata dei principianti ai quali sono riservati gli animali più docili e anziani. Si procede lentamente, a piccoli gruppi, chiacchierando e scoprendo passo dopo passo i segreti dell’outback. Dopo un pasto frugale il cammino riprende sotto un gradevole sole invernale che rende più sopportabile la petulanza delle mosche. Si raggiunge il campo in tempo utile per togliere le bardature, strigliare e ferrare i cavalli, bloccando le zampe anteriori dei più irrequieti; poi, prima che faccia buio, gli animali vengono sistemati in recinti permanenti.
Per i drovers la giornata termina attorno al fuoco davanti a una birra o a un Black Rat, il “ratto nero”, versione australiana del Cuba Libre. E’ questo il momento più piacevole in cui si parla della famiglia, degli animali, ma anche della preoccupazione per una siccità che sta sconvolgendo il paese. Tornano alla mente i ricordi di Tom Kurse, un famoso postino che fino al 1960 consegnava la corrispondenza anche nei villaggi sperduti: oggi le comunicazioni si sono semplificate e persino nelle fattorie più isolate i bambini possono partecipare alla School of the Air, ascoltando le lezioni alla radio e inviando i compiti con la posta elettronica. Tra un bicchiere e l’altro la conversazione si scioglie, qualcuno ipotizza quanto si potrà realizzare dalla vendita del bestiame, poi si torna ai racconti di una vita intera passata all’aperto, come sarà anche stanotte quando i mandriani si stenderanno sotto il cielo stellato avvolti nel sacco a pelo. I turisti invece tornano in jeep al campo attrezzato con cucina e mensa da campo, toilette e docce calde e, per chi ne ha bisogno, tende per due e brandine con coperte e lenzuola.
I giorni scorrono uguali e diversi al tempo stesso fino a quando – un mese e mezzo dopo la partenza – si arriva alle porte di Marree, sperduto avamposto che ospita meno di cento abitanti ma è dotato di due caravan park, un albergo, alcuni distributori di carburante, un Internet point nella vecchia stazione ferroviaria e la più antica moschea del paese, eretta durate la costruzione della Ghan Railway. Di fronte a uno dei distributori c’è una sorta di centro commerciale che in un unico locale include un pub, un ristorante, un piccolo supermercato con generi di prima necessità e abbigliamento, un ufficio postale e una banca. Con l’arrivo delle mandrie Marree si riempie di turisti, di curiosi e di squatters, allevatori e proprietari terrieri, che celebrano la fine della Great Cattle Drive nell’agitazione generale: tra birra e Black Rat, tra muggiti e nugoli di polvere si consuma l’asta del bestiame, dove ognuno cercherà di fare buoni affari, mentre il ricavato della vendita delle selle, dei cappelli e degli attrezzi è devoluto in beneficenza al servizio dei Flying Doctors, che si spostano in aereo per fronteggiare le emergenze. Poi comincia la festa tra musiche, balli e divertimento: un momento di gioia, un’occasione per riprendere fiato prima di affrontare, attraverso l’outback, il lungo viaggio di ritorno.

PleinAir 402 – gennaio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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