Binari solitari

Strade strette, mancanza di punti di sosta per una foto, la necessità di tenere gli occhi fissi sul ciglio per evitare lo strapiombo. Guidare lungo le strade di montagna è spesso più fonte di stress che di piacere. E allora, quando c'è, perché non avvalersi della strada ferrata?

Indice dell'itinerario

Certamente sui Pirenei non c’è molto quanto a ferrovie; però, a ben vedere, i due percorsi disponibili (entrambi in territorio francese), pur distanti tra loro e coprendo spazi modesti, presentano rispettivamente le due peculiarità estreme di queste montagne: la dolcezza e la spettacolarità selvaggia. Il primo è il Petit Train Jaune, che percorre tutto il cuore dei Pirenei catalani collegando Villefranche a Latour del Carol, stazioni turistiche a relativa distanza dal Mediterraneo. Il secondo è il Petit Train d’Artouste che si trova più in prossimità dell’Atlantico, al di là dell’area di maggior turismo. Entrambi i tragitti si trovano al di fuori delle zone più rinomate: e questo, non a caso, ne fa un’attrattiva soprattutto per i palati più fini.

Le Petit Train Jaune
Abbastanza caro (circa 200.000 lire per due adulti e un ragazzo, per un giro completo della durata di un giorno), sembra al primo impatto una presa in giro, perché percorre lo stesso itinerario della strada che in parte gli corre accanto. Ma è un’impressione errata. Sia la strada che la ferrovia salgono e scendono di continuo, come se volessero mostrare il panorama in tutte le sfumature. Ovviamente le esigenze tecniche sono diverse, ed ecco così che nei punti più spettacolari i due percorsi si dividono e arditi ponti sospesi su gole profonde offrono un punto di vista che la strada nega. Emozionante soprattutto il passaggio sul viadotto Séjourné, con i suoi 65 metri d’altezza, tutto costruito in granito con una spericolata serie di arcate.
Dire da dove partire e dove arrivare è limitativo. Il tratto Villefranche – Latour de Carol è percorso avanti e indietro di continuo: l’unico modo per tornare al punto di partenza senza perdere denaro è di fare il biglietto completo, che ha lo stesso costo e lo stesso tempo di percorrenza (3 ore all’andata e altrettante al ritorno) da qualunque stazione intermedia si inizi il viaggio. Questo offre infinite possibilità, come ad esempio dormire nel parcheggio di una delle tante stazioncine intermedie (Olette, Mont-Louis, Font-Romeu e così via). A dire il vero, qua e là numerosi cartelli avvertono che il campeggio libero è vietato: camping sauvage interdit. Tanto vale quindi cercare un camping, come quello di Fontpédrouse, posizionato in maniera gradevole lungo un fiume dalle acque cristalline, che costa appena 15.000 lire a notte per un camper e tre persone.
Da qualunque punto si cominci il giro, Villefranche da sola vale una tappa. Alla stazione ci sono i pulmini per raggiungere lo spettacolare Fort Liberia, oppure una grotta delle vicinanze, con le consuete stalattiti e stalagmiti. Ma è il paese la vera chicca, con il suo aspetto medioevale e, non ultima, una pregevole gastronomia. Altra sosta consigliata è il comodo sentiero che affaccia sul tratto iniziale e più spettacolare della Gorge de la Caranca, in parte visibile anche dal treno. Più avanti, la stazione di Bolquère si trova a 1200 metri d’altitudine e il treno arriva con una pendenza del 6%. Questo tratto è il più alto di Francia, per quanto riguarda le ferrovie tradizionali. Superato il passo, oltre la stazione di Font Romeu, ecco che il panorama diventa ampio e luminoso. L’unico neo è costituito, nelle vicinanze, dal mastodontico forno solare d’Odeillo, un vero monolite di tecnologia malamente inserito in una valle dolce e senza tempo. Meglio guardare dalla parte opposta, dove l’anfiteatro della Cerdagne offre immagini ben più rilassanti. Quindi si entra nella rinomata stazione turistica e sciistica si Eyne; tutto l’ambiente circostante diventa più salottiero e l’impatto umano è notevole. La valle, tuttavia, è decisamente bella, un immenso prato fiorito con specie tipicamente alpine, come il botton d’oro e le genziane, soprattutto la spettacolare genziana gialla (Gentiana lutea) che spicca nei prati, ben visibile anche dalla ferrovia. Volendo sostare per il pranzo, Saillagouse è più adatta che non Latour de Carol dove, tra seconde case e alberghi, il trenino ritrova i suoi confratelli più grandi, con i quali ci si può immettere nella grande rete ferroviaria spagnola.

Le Petit Train d’Artouste
Più a buon mercato del precedente (85 franchi a persona, circa 25.000 lire, un po’ meno i ragazzi), ne è l’esatto contrario sotto ogni aspetto.
Tanto per cominciare non è una ferrovia nel senso stretto del termine, ma una specie di trenino delle bambole: la locomotiva ha appena le dimensioni di un trattore, pur mantenendo la sua forma tradizionale. Le carrozze sono aperte, minuscole, panoramiche come più non si può, e portano a vedere un tratto della cordigliera pirenaica che sarebbe irraggiungibile in ogni altro modo, se non con una jeep. Paesaggi spettacolari, quindi, con panorami mozzafiato e baratri che mettono a dura prova chi soffre di vertigini. Venendo da Lourdes o da Oloron-Sainte-Marie, ci si dirige verso il confine spagnolo prendendo la strada che porta al Col du Pourtalet. Subito dopo Gabas si incontra un lago artificiale, il Lac de Fabrèges, nelle cui acque verdi si specchia il Pic de la Sagette. Girando intorno al lago si raggiunge Artouste, piccola località che vive di turismo. Quattro case, tre alberghi, un po’ di negozi e il treno, nulla più. Lungo il lago e nei parcheggi sistemati come gradoni sulle pendici soprastanti i camper sostano a decine, senza alcun problema per il pernottamento. La posizione è perfetta: il panorama sul lago, la montagna a ridosso, la comoda cabinovia che porta in alto invogliano a una sosta anche più lunga del previsto.
Il trenino non ha una storia legata al territorio come il precedente, ma è stato costruito con funzioni esclusivamente turistiche: per questo ha solo un punto di partenza e uno d’arrivo ad Artouste. Lungo il percorso c’è appena lo spazio per i binari, spesso scavati nella roccia di pareti a strapiombo. I pochi slarghi obbligano a soste forzate, nell’attesa del trenino che viene in senso inverso. Poi via, di nuovo lungo crinali assurdi, con le spettacolari cime bianche del Pic des Tourettes, stondate e solcate da infinite stratificazioni geologiche che fanno da cornice all’ampia valle glaciale sottostante.
Il percorso dura quasi un’ora e ci porta fino al Lac d’Artouste, a quasi 2000 metri, un gradevole specchio artificiale ben inserito fra le montagne. Per chi sa apprezzarlo, i dintorni del lago sono costantemente umidi a causa del continuo stillicidio dei ghiacciai che si sciolgono. Questo terreno appare quindi torboso, umido e colonizzato da una particolare varietà di piante. Predominano le specie carnivore, come le pinguicole, che integrano la carenza di fosforo del terreno catturando gli insetti con le loro foglie appiccicose. Qua e là si vede anche la rara Primula farinosa, tipica dei suoli torbosi, che però passa quasi inosservata nella incredibile varietà botanica di questi prati umidi.
Il viaggio, andata e ritorno, occupa al massimo metà giornata, ma è un peccato sprecarlo. Arrivati in zona conviene almeno farsi il giro del lago a piedi e questo rende necessari scarponi a prova di acqua, che è l’elemento dominante in zona, oltre a pranzo al sacco e borraccia. Ci sarebbe anche un rifugio, ma ha una ricettività limitata, poca varietà alimentare e prezzi pesanti: e se ne capisce il motivo, dato che è collegato al mondo civile solo dal trenino. Le guide turistiche segnalano anche molte specie di rapaci, fra cui l’aquila; in realtà i cieli sono assolutamente deserti.

PleinAir 324/325 – luglio/agosto 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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