Benedetti ingegneri

Nelle campagne prenestine intorno a Roma per scoprire, immersi nella natura, gli antichi acquedotti che alimentavano l'Urbe.

Indice dell'itinerario

C’è un territorio proprio alle porte della Capitale, tra l’antica Gabii e gli abitati di Palestrina e Tivoli, in cui la campagna romana sembra essere sfuggita alle grandi speculazioni e alla cementificazione selvaggia che altrove l’hanno completamente snaturata. Sebbene appaia come un vasto altipiano, è in realtà interamente solcato da profonde e selvagge gole scavate nel tufo da piccoli ma imprevedibili torrenti: un vero grattacapo per gli ingegneri romani che tra il IV secolo a.C. e il III d.C. lavorarono per costruire gli acquedotti che rifornivano l’Urbe. Le forre più profonde, infatti, richiedevano il ricorso a strutture assai complesse e ardite, molte delle quali si sono conservate fino ad oggi e, pur con nuovi nomi, non hanno perso molto dell’originaria imponenza come nel caso di Ponte Lupo, 115 metri di lunghezza per un’altezza di oltre 27 metri e uno spessore di ben 18. E che dire dell’altissimo Ponte Sant’Antonio, che si innalza a più di 32 metri sul fosso dell’Acqua Raminga?
Sono una quindicina i ponti presenti in quest’angolo di Lazio sconosciuto ai più, mentre degli undici acquedotti che arrivò a contare Roma i quattro principali – Anio Vetus, Anio Novus, Acqua Claudia e Acqua Marcia – provenivano appunto dalla zona di cui stiamo parlando. Tutti erano alimentati da sorgenti poste nella zona dell’Aniene e raggiungevano Porta Maggiore (oggi uno dei più grandi nodi stradali cittadini, alle spalle di Stazione Termini) con uno sviluppo che andava dai 63 chilometri dell’Anio Vetus ai 91 chilometri della Marcia. Nel 537, durante l’assedio di Roma, i Goti di Vitige tagliarono e resero inservibili gli acquedotti e da allora hanno cessato definitivamente di funzionare, a dispetto di qualche timido tentativo di ripristino, con la sola eccezione di quello riattivato nel XVI secolo e che ancora alimenta Fontana di Trevi.

Per l’amante del pleinair, l’esplorazione di questo territorio di piccola estensione ma ricco di suggestioni archeologiche è un’esperienza unica. E’ possibile infatti tracciare un vero e proprio itinerario che collega i luoghi più importanti tra quelli legati agli antichi acquedotti aniensi: lo si può percorrere in camper o meglio ancora in bicicletta con l’aggiunta di brevi passeggiate, servendosi eventualmente dei mezzi pubblici per l’avvicinamento. Per i tratti a piedi, il fondo scivoloso e le pendenze consigliano l’uso di scarpe comode, meglio se scarponcini da montagna; in alcuni casi può essere utile portare con sé degli stivali di gomma. Teoricamente fattibile in una giornata se si è ben allenati, la nostra visita sarà molto più godibile se diluita in due o tre giorni, magari alternando alle escursioni fuori porta qualche tappa in città.
Da Roma o dal Grande Raccordo Anulare si segue la Prenestina per circa 18 chilometri sino a trovare le indicazioni di Gallicano nel Lazio. Poco prima dell’ingresso in paese, alla tagliata di Santa Maria di Cavamonte, l’omonima chiesetta sorge proprio sul basolato dell’antica via romana; subito dopo si attraversa un ponte (a destra si nota la bella vista dell’appena restaurato Ponte Amato, su cui in origine correva la Prenestina) al termine del quale si imbocca una sterrata sulla sinistra che reca le indicazioni per il Sentiero degli Acquedotti. In camper è possibile procedere con cautela ancora per un tratto – ma la strada è piuttosto stretta – fino a uno slargo in cui fermarsi. Il comodo percorso escursionistico, dotato di esaurienti cartelli esplicativi, porta al primo tratto di acquedotto, il Ponte della Bullica, nei cui pressi è anche un’interessante galleria di servizio lunga quasi 300 metri. La sterrata, che a sua volta ricalca una strada romana, prosegue raggiungendo un antico mulino abbandonato e, passando su un ponticello moderno, scavalca il Ponte Pischero, in gran parte crollato. Per vederlo bene occorre scendere nella gola seguendo una traccia di sentiero sulla sinistra, che immette anche a una complicata serie di gallerie. Tornati sui nostri passi e recuperato il mezzo, si riprende la Prenestina aggirando Gallicano sulla sinistra (indicazioni per Poli); poco oltre si svolta ancora a sinistra su Via di Colle Caipoli, una panoramica stradina in salita che in pochi chilometri porta a un sentiero – anche questo segnalato da un tabellone esplicativo – per il Ponte Taulella. Si inizia a scendere nel fitto bosco che copre la profonda forra del Fosso Secco tra muschi, felci, licheni e numerose tracce di animali, fino a un tavolo da picnic. Uno stretto stradello che appare sospeso nel vuoto indica la parte alta del ponte: si traversa e si scende ripidamente sulla destra sino al torrente e da qui si ammira in tutta la sua bellezza questa splendida struttura dell’Anio Novus, dalle forme davvero imponenti.
Riemersi da questo ombroso recesso, torniamo sulla provinciale continuando per Poli. Al successivo bivio si ammira Villa Catena, eccezionale residenza nobiliare del XVII secolo, e passando accanto al muro della stessa si imbocca la provinciale Polense, sempre verso sinistra. Qui bisogna prestare attenzione al secondo bivio sulla destra, con le indicazioni per San Gregorio di Sassola. La strada scende e quindi, nei pressi di un rudere, inizia lentamente a risalire: in corrispondenza di una curva a destra si stacca una stradina in cemento che poi utilizza un bel tratto di basolato (si tratta di un’altra delle tante strade di servizio realizzate dai Romani) fino a farsi sterrata. Quest’ultimo tratto non è percorribile in camper e occorre perciò trovare il modo di lasciare il mezzo nei pressi. Seguiamo ora lo stradello fino a raggiungere Ponte del Fosso della Mola e quindi Ponte San Pietro (tenere la destra).
Tornati sulla Polense, la seguiremo fino al trentesimo chilometro: poco dopo il cartello che lo indica si stacca sulla sinistra un sentierino in netta discesa, chiuso da una corda, che arriva in un’ampia valletta. Alla nostra sinistra, distante, vedremo un vero e proprio muro di vegetazione che nasconde il più grande, il più bello, il più massiccio dei ponti dell’Agro Polense, Ponte Lupo, a cui si arriva senza via obbligata camminando tra i campi.
Ripresa nuovamente la Polense, si torna indietro sino al bivio per San Vittorino: appena prima di entrare nel centro abitato, una stradina a sinistra (Via di Fosso Ponte Terra) conduce al moderno santuario di Nostra Signora di Fatima, dove conviene lasciare il camper. La stradina, che oltre il complesso religioso diviene sterrata, scavalca l’autostrada Roma-L’Aquila: subito dopo si prende il sentiero che si stacca in corrispondenza della curva, entra fra gli alberi e in breve ci rivela un angolo di inarrivabile fascino. Scendendo sulla destra fino al corso d’acqua, ci si accorge della misteriosa galleria scavata dai Romani per deviarvi il torrente e poter così costruire più facilmente un ponte stradale attraverso la gola: è la degna conclusione del nostro giro, osservando una delle opere più significative con cui gli ingegneri dell’Urbe seppero portare l’acqua a Roma.

PleinAir 402 – gennaio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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