Bellezze in Umbria

Un ambiente di antiche memorie e di generosa natura è solcato dall'alto corso del Tevere, tra Perugia e Città di Castello. Ne percorriamo in camper le strade secondarie intersecando la superstrada Orte-Cesena. Ed è una continua sorpresa.

Indice dell'itinerario

Risalendo la superstrada Orte-Cesena, che usa della valle del Tevere per tagliare l’Umbria in verticale, pochi chilometri a nord di Perugia potremmo già abbandonare l’arteria per continuare sulle strade minori che da qui in poi ci porteranno verso il nord della regione. Scelta premiata giacché usciti a Bosco e presa quasi subito la deviazione per Ramacciano, il successivo bivio di Montelabate non tarderà a concederci (accettabile sterrato nell’ultimo tratto) la scoperta sul colle di una solitaria quanto imponente chiesa abbaziale del Duecento. Il premio a ogni modo è solo parziale: nonostante gli anni trascorsi dal terremoto che scosse la regione, il cancello di Santa Maria è tuttora chiuso, arrugginiti i ponteggi, e nulla permette di sperare che i lavori saranno compiuti. Peccato, perché del corredo dell’antico edificio benedettino fanno parte affreschi, cripta, chiostro, poco noti eppur ben degni d’essere visti. Ridiscesi sulla provinciale, ci si imbatte poco dopo nel piccolo abitato di Casa del Diavolo, da cui devieremo poi verso i resti di un’altra antica abbazia. La leggenda vorrebbe far derivare il nome del paese da antichi pellegrini romei spaventati dalle voci provenienti da un pozzo che ingiungevano loro di non continuare verso Roma. Una ventina d’anni or sono fu proposta una petizione per cambiare quel nome che sembrava un po’ iettatorio, ma la grande maggioranza degli abitanti non volle saperne. Deviato per Civitella Benazzone in cerca dell’Abbazia Celestina, poco più avanti una deviazione a destra ci condurrà a una grossa casa colonica seguita dallo sterrato che con una passeggiata di dieci minuti porta a destinazione. Ma sarà un insuccesso: ciò che restava dell’edificio medioevale non è più visitabile, ormai incorporato nella villa costruita da un inglese che ha trovato anche il modo di allestirvi un campetto da golf.
A valle del paese di Solfagnano una deviazione passa alla sponda destra del Tevere, per poi riprendere verso nord in un paesaggio godibile e solitario. Per seguirne la seconda parte, che conduce a Montecorona, dovrete prendere la deviazione sulla sinistra priva di segnali appena dopo un distributore Api. Ed ecco finalmente un sito visitabile, l’antica abbazia di Montecorona, fondata poco dopo il Mille dal creatore dell’ordine camaldolese San Romualdo. Sotto i pini un’ampia zona di parcheggio. Spazi e costruzioni adiacenti alla chiesa, chiostro compreso, appartengono oggi a un ristorante e soprattutto a una società agricola che vi svolge le attività cui si dedicavano un tempo i monaci. Della chiesa colpisce un curioso campanile che inizia con base circolare, diventando più su a undici lati e ottagonale in cima; all’interno si fa apprezzare tra l’altro un ciborio dell’ottavo secolo dalle eleganti sculture a pavoni e intrecci vegetali. Ma chiedete a don Renzo (reperibile di solito al pomeriggio) di farvi visitare anche la grande e interessante cripta a cinque navate e tre absidi, la cui costruzione comportò un elaborato uso di colonne medioevali e romane di spoglio. Nel ‘500 il complesso di Montecorona si dotò di un eremo – 450 metri più in quota – che le donazioni di un uomo d’arme polacco fattosi monaco consentirono di collegare all’abbazia mediante un camminamento detto il Mattonato. Se ne vede qualche resto sul sentiero che potrete percorrere fino all’eremo (clausura, non visitabile). L’abbazia, che dava alloggio a pellegrini e viandanti, possedeva un’importante farmacia che restò al servizio del circondario anche quando nel 1860 i religiosi dovettero lasciare il convento. Tra gli estratti di erbe preparati dai monaci sembra fosse molto apprezzato un liquore antimalarico curiosamente denominato fisco. All’eremo potreste arrivare anche in bici, gambe permettendo, per una stradina che sale presso Montecorona. In questo caso conviene continuare il giro scendendo a Santa Giuliana e proseguendo sempre in discesa fino al punto di partenza. Santa Giuliana, un piccolo borgo murato di straordinaria suggestività per l’aspetto schiettamente medioevale, nel 1411 sopportò un vittorioso assedio. Ma non sperate nella visita: l’unico ingresso è una porticina ricavata nelle mura alla quale abbiamo bussato invano. Gli acquirenti, ci dicono stranieri, la tengono gelosamente chiusa a chiave.

Umbertide e dintorni
A Umbertide, la cui parte antica affaccia sul Tevere, il punto più adatto per una sosta è il doppio parcheggio che fronteggia la rocca; un camper service si trova a breve distanza nei pressi del Parco Ranieri. A pochi passi si trovano anche l’ottagono della cinquecentesca chiesa della Collegiata e Piazza San Francesco, dove in Santa Croce, del ‘600, si conserva tra l’altro una Deposizione di Luca Signorelli recentemente restaurata. La cittadina, che fino all’Unità si chiamò Fratta, nella seconda metà del Trecento era stata munita di una rocca da Perugia, per la quale rappresentava un caposaldo per il controllo verso nord della valle del Tevere. Adibita a centro per l’arte contemporanea, oggi la rocca ospita una raccolta comunale alla quale vengono affiancate nel corso dell’anno esposizioni temporanee di qualità. Una puntata sulle colline orientali ci permetterà, al margine di una pineta, di carpire attraverso il cancello sprangato (anche qui proprietà estera) la veduta di una minima parte della facciata dell’imponente castello di Civitella Ranieri, originario del Mille ma che subì nel tempo sostanziali aggiornamenti. Poco oltre, svoltando nella prima strada bianca sulla sinistra, si presenterà alla vista dopo qualche chilometro il maniero di Serra Partucci, erede di quello distrutto agli inizi del ‘400 dai Baglioni di Perugia. I castelli, generalmente ben conservati in quel di Umbertide, rappresentano un arredo paesistico fortemente caratterizzante di questa parte dell’Umbria, testimonianza di lunghe storie di rivalità e lotte per il controllo del territorio. Li vedremo torreggiare a distanza sulle cime dei colli anche in un bel giro circolare attraverso Preggio e quindi nella valle del Niccone, della quale ancora nel ‘600 i granduchi di Toscana si servirono come corridoio di penetrazione per assalire Umbertide che era di pertinenza pontificia. Il castello di Romeggio avrebbe preso nome dal transito dei pellegrini medioevali, di quello di Polgeto si fecero una base le milizie granducali nel fallito tentativo di occupare Umbertide. Passati sotto il monte Acuto, la cui cima ha restituito gli avanzi ricchi di bronzetti votivi di un remoto luogo di culto italico, si sale verso l’aereo paese di Preggio, circondato da castagneti e querceti. Fu uno strategico belvedere con una rocca di cui rimangono alcuni ruderi. Tornando a più basse quote si notano i castelli di Reschio e di Sorbello, quest’ultimo a merlatura ghibellina, prima di salire con il mezzo fino al castello di Pierle, resti dei più scenografici che sembrano ancora proteggere le case del borgo. Nella parte più alta del perimetro castellano c’è anche una bella pieve e lo spazio per sostare. A Lisciano Niccone una breve sosta, prima di prendere quota fino ai 600 metri di un passo dal quale godere di un’immensa veduta sul lago Trasimeno. Il rientro alla valle del Tevere avverrà attraverso i begli scenari naturali del fondovalle del Niccone, mentre le nostre riflessioni torneranno agli sconfortanti effetti di “oscuramento” di certi beni architettonici, pur determinanti nel costruire il quadro dei nostri paesaggi, quando si trovino fuori dalla disponibilità demaniale.
Tornati alla vecchia nazionale, a Trestina prendiamo il bivio per esplorare un’altra laterale, quella del torrente Nestore, per due poco noti monumenti. Il primo è la romanica chiesa (già badia) di Santa Maria a Petroia, costruita intorno al Mille, mentre scriviamo soggetta finalmente a restauri dopo un annoso abbandono; l’altra scoperta, qualche chilometro oltre, i due grandi affreschi di Luca Signorelli, Crocifissione e Deposizione, che adornano le pareti del semplice oratorio di San Crescenziano. Le chiavi sono custodite nella casa sulla vicina discesa.

Tra Montone e Pietralunga
Montone, che fu patria dell’ambizioso capitano rinascimentale Braccio da Montone, è un aggraziato panoramico paese di sobrio aspetto medioevale che vale il piacere di una tranquilla visita. Un posto per parcheggiare il mezzo è a metà salita accanto al campo da tennis, ma ci dicono essere già in corso i lavori di un’area comunale per camper. Tra rampe, piazzette, strade tortuose racchiuse tra forti mura, un momento saliente della visita è costituito nella parte alta dall’ex convento di San Francesco: adibito a museo comunale, ospita tra l’altro il prezioso gruppo ligneo della Deposizione, della metà del Duecento. L’annesso museo etnografico Il Tamburo Parlante è una coinvolgente esposizione di oggetti della tradizione africana, raccolti da uno studioso durante i suoi viaggi.L’area collinare che fa perno su Montone e Pietralunga è una delle tre identificate dalla Comunità Montana Alto Tevere Umbro per una serie di percorsi a piedi, in bici, a cavallo presentati in un accurato opuscolo contenente anche i tracciati al 25.000 dei relativi sentieri. Il manualetto è disponibile presso gli uffici turistici. La lunghezza dei percorsi proposti (in media 5 ore per la sola andata) appare forse eccessiva, ma reinterpretandoli in base alle proprie preferenze se ne possono trarre elementi per belle passeggiate. Ecco perché possiamo suggerire, meglio fuor dall’estate, la camminata di circa un’ora e mezza alla rocca d’Aria, saldo castello perso tra le colline – di recente restauro – che protesse il territorio di Montone.
Centro di Pietralunga è la Piazza Fiorucci, dove accanto al Palazzo Comunale di inizio ‘500 e alla pieve dell’VIII secolo si leva la rude sagoma della rocca di origine longobarda. Il paese ricavò importanza dal trovarsi su una direttrice romana che scavalcava le alture per collegare l’alto Tevere con la Flaminia e Cagli. Uno dei percorsi escursionistici di cui dicevamo permette di ripercorrere un buon tratto di quel basolato. Tra i boschi sovrastanti Pietralunga si trova, accanto a una pineta, il complesso turistico di Candeleto dotato di parcheggio, piscine per adulti e bambini, tennis, ristorante e tavola calda, a fianco di un ombroso campeggio. Alla Pieve de’ Saddi, dedicata a San Crescenziano che qui avrebbe subito il martirio sotto Diocleziano, si perviene agevolmente in camper da una deviazione sulla rotabile per Città di Castello. La semplice chiesa risale al periodo paleocristiano e sorge in un pianoro un tempo coltivato a grano, ma oggi incolto e semideserto; abbandonato appare anche il piccolo gruppo di case presso la chiesa. Il luogo ha una sua umile grazia e merita la visita, anche se la pieve è chiusa e si dovrebbe probabilmente chiederne al parroco di Pietralunga. Con la bici, consigliabile nonostante la salita il più breve percorso diretto dal paese.

Nelle terre dei marchesi
La strada che da Città di Castello sale verso Monte Santa Maria incontra dopo qualche chilometro La Montesca, ombroso parco aperto al pubblico che circonda la Villa Franchetti, eretta a fine ‘800 dal barone Leopoldo. Appena più in alto un camper, deviando sulla destra e passando avanti al campeggio La Montesca, trova presto un’area comodamente adatta alla sosta donde fare la passeggiata fino all’eremo del Buon Riposo, incastrato tra rocce e vegetazione. Il romitorio, che avrebbe conosciuto le soste di San Francesco in cammino per la Verna, offriva all’origine il riparo di alcune grotte accanto alle quali sarebbe poi nato un conventino. Oggi è una casa di campagna il cui proprietario consente di buon grado (da maggio a ottobre, tel. 075 8550150) la visita delle memorie francescane ivi custodite, del piccolo chiostro e della chiesa del 1402 rimaneggiata più tardi in stile barocco. Monte Santa Maria Tiberina controlla la valle da un’altezza di quasi 700 metri. Appartenne dalla metà del Duecento alla famiglia dei marchesi del Monte (da fine ‘500 venne aggiunto il nome Bourbon) che arrivarono a farne, fino a tutto il Settecento, un piccolo stato munito di investitura imperiale e battente propria moneta. La porta urbica dà accesso alle classiche viuzze e scalinate strutturatesi nel Medioevo tra edifici in pietra viva. Per fermarsi, un camper dovrebbe cercare più in basso (trivio con slarghi, nelle vicinanze un campeggio) oppure sfiorare la porta per continuare fino al piazzale cui si affaccia il turrito palazzo dei marchesi, oggi di proprietà comunale. Tranquillità e silenzio rendono piacevole la sosta e la visita del paese, che fu con Villafranca presso Verona uno dei due siti italiani nei quali fosse consentito incrociare i ferri in duello.
A Lippiano una millenaria torre pendente affianca l’antico castello. Dal 1816 il paese fu sede del Comune di Santa Maria e lo restò fino al 1945, quando un capo partigiano riuscì – non sappiamo con quale espediente – a ottenere dal comando alleato un decreto di trasferimento a Santa Maria della sede comunale. Dopodiché i monteschi scesero in tutta fretta a Lippiano con 18 carri trainati da buoi e, prima che gli abitanti potessero fare le barricate, portarono via fin le penne e i calamai. Né proteste né ricorsi riuscirono a cambiare il fatto compiuto. Passando per il vicino Monterchi potreste approfittarne per ammirare la famosa Madonna del Parto di Piero della Francesca, prima di prendere sull’altro lato del paese la scorciatoia (ci si passa di misura) che porta in quattro e quattr’otto a Citerna. E’ un paese di bell’aspetto con sue mura, un camminamento medioevale coperto, qualche chiesa degna di visita. Notevole il panorama sulla valle del Tevere che si gode dal belvedere verso la fine dell’abitato. Nello scendere da Citerna potreste fermarvi a Pistrino (camper service presso il campo sportivo), dove la terza domenica di settembre si svolge una festosa sagra dell’uva.

Una repubblica di frontiera
Quando nella seconda metà del Quattrocento il paese di San Giustino dovette restaurare il locale, fatiscente fortilizio per trasformarlo in un castello capace di proteggere l’accesso all’Umbria tiberina, ci si accorse presto che le pubbliche risorse erano inadeguate allo scopo. Il colpo di genio fu di donare la struttura al ricco proprietario terriero Nicolò Bufalini in cambio dell’impegno a completarla e, in caso di attacchi, a difenderla. L’accordo si sarebbe dimostrato proficuo sia per i Bufalini, che a partire da un castello interamente riprogettato accrebbero l’importanza della famiglia e divennero feudatari della zona, sia per San Giustino, che al di là dell’utilità difensiva venne nel ‘500 nobilitato dalla trasformazione dell’edificio in un’elegante villa fortificata. Una dozzina d’anni fa, quasi a chiudere il circolo, la cessione da parte degli eredi al pubblico demanio ha permesso alla Soprintendenza l’esecuzione di importanti restauri ormai quasi ultimati. I Bufalini furono collezionisti e amanti dell’arte, come si capisce bene in questa villa museo, cui aggiunge piacevolezza un parco fornito sin dal ‘500 di un labirinto vegetale. Mentre scriviamo, quest’ultimo è chiuso al pubblico per il semplice motivo che i bambini, lasciati soli da genitori poco previdenti, nell’angoscia di uscirne a ogni costo sfondavano le siepi di bosso. Per la visita, un camper potrebbe trovare parcheggio negli spazi sosta dei vicini giardini pubblici. Una puntata verso Celalba porterà poi, trecento metri prima di questo borgo medioevale, alla Villa Magherini-Graziani, bella residenza di campagna (loggetta attribuita al Vasari) di imminente restauro. Un paio di chilometri oltre si trovano i resti di una villa romana attribuita a Plinio il Giovane che apprezzava moltissimo questi luoghi. Gli scavi sono in corso; sembra comunque si tratti solo della parte rustica destinata alle attività agricole della vasta tenuta, essendo probabilmente rimasta la residenza signorile incorporata nelle fondamenta di una villa con parco che si trova nella zona.
L’esplorazione dei paraggi di San Giustino ci conduce infine al piccolo abitato di Cospaia, dalla storia veramente singolare. Per quasi quattro secoli Cospaia fu una microscopica repubblica indipendente, di appena 2.500 metri quadrati per 500, che non ebbe governanti o amministratori né politici né soldati né moneta. C’era giusto il parroco che annotava nel suo registro nascite, morti, matrimoni. Tutto cominciò con un prestito di 25.000 fiorini concesso nel 1441 da Cosimo de’ Medici a papa Eugenio IV, in difficoltà per i costi del Concilio di Basilea. Cosimo veniva garantito con il possesso, finché il debito non fosse stato saldato, del paese di Sansepolcro, allora entro i confini dello Stato Pontificio. Senonché, oltre al torrente Rio, che doveva segnare il limite sud del territorio in garanzia, ce n’era poco a nord un altro parallelo che pure si chiamava Rio; tra i due il piccolo borgo di Cospaia. Nessuno si accorse dell’omonimia e sulle topografie venne marcato il Rio più a nord. Ne derivò una zona neutra che non apparteneva né a Firenze né al Papa. Alla gente di Cospaia non parve vero, colsero la palla al balzo e sull’architrave della piccola chiesa scrissero Perpetua et firma libertas. D’altra parte il debito pontificio non venne mai saldato, come confermato dal fatto che Sansepolcro resta ancor oggi in Toscana. Nel tempo non mancarono controversie e vertenze legali, ma il disaccordo tra i due stati vicini permise ai cospaiesi di conservare l’indipendenza. Conquistarono anche un benessere originato dal fatto che nel 1571 l’ambasciatore mediceo a Parigi inviò al nipote, vescovo a Sansepolcro, alcuni semi di Nicotiana tabacum, pianta ancora sconosciuta in Italia. La conseguenza fu che le prime coltivazioni di tabacco di una certa importanza le troviamo proprio nella libera repubblica di Cospaia, donde si sarebbero diffuse nelle adiacenti piane tiberine della Toscana e dell’Umbria. Ma nei primi decenni dell’800 Cospaia visse un vero periodo d’oro dovuto al fiorente contrabbando di tabacco verso i due stati limitrofi, che avevano regimi di monopolio e che soltanto allora, stufi, trovarono un accordo decidendo l’appartenenza pontificia di quella fascia di terra. Oggi Cospaia, lassù sulla collinetta, non è che una manciata di case dove si cercherebbe invano una rivendita di tabacchi.

PleinAir 369 – aprile 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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