Barocco a sud-ovest

Nell'entroterra siciliano, le città storiche di Ragusa, Modica e Scicli irrompono nel paesaggio lunare dei Monti Iblei: la ricostruzione dopo il terremoto del 1693 ne ha fatto dei capolavori urbanistici, ora patrimonio dell'umanità.

Indice dell'itinerario

Per il viaggiatore che proviene da Agrigento la porta occidentale dell’altopiano ibleo è Comiso, alla quale spetta di diritto il prologo di questo itinerario fra storia e arte nella Sicilia sud-occidentale. La cittadina vanta infatti un centro storico che è un felice esempio di commistione tra urbanistica del XVII secolo e impianto medioevale, tanto da meritare senz’altro una tappa prima di affrontare la salita verso le mete successive. E dopo averla visitata, sia pur velocemente, ci si chiede perché non sia stata inserita nell’elenco delle città del barocco siciliano dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità: Catania, Militello e Caltagirone nella provincia etnea, Noto e Palazzolo Acreide in quella di Siracusa, mentre nel Ragusano hanno ricevuto il titolo Modica, Scicli e lo stesso capoluogo. Di queste ultime tre località, divise l’una dall’altra da una manciata di chilometri, Comiso è la naturale anticamera anche per un’altra ragione: con il calcare estratto nella vicina Cava Porcara, detto appunto Pietra di Comiso, fino ai primi del ‘900 furono realizzati i principali apparati decorativi di tutta la zona.

Una e bina
La prima sosta sull’altopiano è annunciata dalla periferia di Ragusa, dove traffico e cemento come sempre gareggiano nel disorientare i nuovi arrivati. Dall’anonimo caos emerge finalmente come un’ancora di salvezza la segnaletica per il centro, anzi per i centri, perché Ragusa di cuori antichi ne ha due: il dominante nucleo amministrativo e commerciale fondato nel XVIII secolo e quello residenziale della sottostante Ragusa Ibla, fascinoso agglomerato di origine medioevale incuneato tra due canyon. A segnare la meta è proprio l’arrivo su uno di questi, parzialmente interrato da un giardino pubblico a lato del centro settecentesco. Qui le possibilità sono due: attraversare il vallone e immettersi nel reticolo urbano, oppure deviare subito per la discesa in direzione di Ispica e Siracusa. Questa seconda soluzione evita inutili stress e porta diritto ai grandi parcheggi realizzati a cerniera fra le due parti del nucleo urbano. Spazi espressamente riservati ai camper non vi sono indicati, ma si può sostare senza problemi in special modo nel più accessibile settore dei pullman. Una volta sistematisi, gambe e zainetto in spalla, inizia un’avvincente escursione nel tempo e nello spazio che richiede circa tre ore ed è alla portata di tutti, con qualche riserva per chi ha problemi a salire e scendere rampe e scalinate (alla fine noi abbiamo totalizzato più di 2.000 gradini); si può in parte ovviare condividendo i percorsi stradali con il traffico motorizzato, ma non è la stessa cosa.
La passeggiata inizia poco oltre il parcheggio, nel nodo viario di Piazza della Repubblica. Alla sinistra della chiesa del Purgatorio e accanto a una barberia vecchio stile si entra dapprima a Ragusa Ibla, guidati lungo i vicoli dalla cupola della cattedrale di San Giorgio che emerge tra gli edifici, molti in via di restauro. Il mercato immobiliare è in forte espansione grazie alla crescente domanda di acquirenti stranieri, inglesi soprattutto, e ne beneficiano anche le opere pubbliche: troviamo nascosta dai ponteggi la stessa facciata di San Giorgio, preceduta da una monumentale scalinata e in posizione scenograficamente obliqua rispetto alla Piazza del Duomo. L’interno ripaga del mancato colpo d’occhio e basta a svelare la felice mano dell’autore, quel Rosario Gagliardi architetto e urbanista il cui nome ricorre spesso in Sicilia tra i massimi artefici della ricostruzione dopo il devastante terremoto del 1693. Sua o della sua scuola, nella vicina Piazza Pola, è anche la chiesa di San Giuseppe dalla caratteristica facciata a torre convessa. Camminando tra palazzi degni di attenzione si raggiungono, protesi sul vuoto a oriente del nucleo abitato, il complesso di San Francesco, ristrutturato in forme barocche ma di più antica origine, e più avanti il Giardino Ibleo, un parco pubblico del XIX secolo. Qui si trovano immerse nel verde la cinquecentesca chiesa di San Giacomo ricostruita nel ‘700 e quella dei Cappuccini Vecchi che conserva una preziosa pala d’altare di Pietro Novelli. Tornando verso il duomo si sale alla zona più elevata, che fu sede di una rocca ed ora è occupata da alcuni edifici pubblici e da un parcheggio alberato. Niente di che attardarsi, perciò si ridiscende su Piazza della Repubblica da dove affronteremo la “scalata” a Ragusa Superiore.
La strada s’inerpica a tornanti fra le case più antiche, in parte abbandonate, tagliando più volte le direttissime dei vicoli gradonati. Come in ogni ascesa che si rispetti, è tutto un fermarsi per riprendere fiato e voltarsi a misurare il percorso compiuto fin lì, con Ragusa Ibla che s’allontana fra i tetti. Il panorama è da cartolina, in special modo dal belvedere di Santa Maria delle Scale immortalato da tanti cineasti. Sempre in salita ci si immette nella scacchiera settecentesca, adornata di nobili facciate, fino alla piazza terrazzata di San Giovanni che accoglie l’imponente cattedrale. Ancora qualche passo nelle vie trasversali e, prima di tornare alla base, non resta che concedersi un po’ di relax con l’immancabile granita tra le caffetterie di Corso Italia.

Sorprese dietro l’angolo
Abbarbicato sui fianchi di due valloni convergenti, il centro storico di Modica non si svela tutto in una volta, neppure con la strepitosa visione che ne offre la bretella stradale per Ragusa, cosicché la città richiede varie ricognizioni. E’ bene sapere che, a parte le funzioni decentrate nei quartieri nuovi sorti sul ciglio delle due scarpate, la vita mondana e quella commerciale si svolgono perlopiù nella zona bassa, lungo le vie di fondovalle che ora convogliano su Corso Umberto I e Piazza Buozzi i principali flussi cittadini. Là si attesta anche la linea ferroviaria, e proprio nelle adiacenze della stazione si raggiunge un ampio parcheggio: quel che ci vuole per sistemare il veicolo e organizzare l’esplorazione a piedi, cominciando opportunamente dal vicinissimo ex convento dei Mercedari dove sono allestiti il Museo Civico e l’interessante Museo Ibleo delle Arti e dei Mestieri (uscendone dopo aver ammirato la ricostruzione di vecchie botteghe artigiane, fa un certo effetto incrociare il laboratorio ancora attivo di uno degli ultimi lattonieri…).
Ma sotto il cielo luminescente di Sicilia sono soprattutto le calde architetture e i virtuosismi barocchi a rubare la scena. Seguendo Corso Umberto I si è attratti dapprima dalla chiesa del Carmine che fa capolino da uno slargo, poi dal Municipio e dai palazzi porticati che segnano l’incrocio con Via Marchese Tedeschi, quindi dai ruderi del castello medioevale che sovrastano la via e dalla chiesa di Santa Maria di Betlem che ne chiude la prospettiva. Ripreso il corso, sfilano la chiesa di San Pietro, alta su una scalinata adorna di statue degli apostoli, Palazzo Tedeschi dai ricchi balconi, Santa Maria del Soccorso disposta longitudinalmente e il settecentesco Palazzo Manenti che segna l’angolo di svolta per raggiungere la cattedrale. Svetta tra i vicoli la fastosa facciata a torre convessa, firma d’autore di Rosario Gagliardi che già abbiamo incontrato a Ragusa Ibla; pochi passi e ci si trova sui gradini della lunga scalinata, che sembra sgorgare come una cascata dal sagrato. L’interno a cinque navate non è meno spettacolare dell’esterno e vale una fresca pausa prima di riprendere a salire tra i vicoli del nucleo medioevale. Mete finali dell’arrampicata sono la chiesa di San Giovanni Evangelista, eretta ai primi del ‘700 nel punto più alto della città, e il vicino belvedere Pizzo, da dove Modica appare come disegnata su una mappa. Per vicoli si ritorna al camper, scoprendo piacevolmente altri scorci e luoghi notevoli.

Come Cinecittà
Camminando per Scicli sembra di vivere uno sceneggiato: non c’è angolo che non ricordi qualche film o le inchieste del commissario Montalbano, il fortunato personaggio inventato da Andrea Camilleri. Del resto, quella che per lo scrittore siciliano Elio Vittorini è “forse la città più bella del mondo” non lesina inquadrature fotogeniche, anche per via della collocazione alla confluenza di tre canyon: il cuore rappresentativo che si fa spazio nella spianata centrale, i canaloni dai fianchi traforati di grotte che s’immergono nell’altopiano portandosi dietro le case del fondovalle, le prue di roccia che espongono belvedere e antiche mura, come quelle della chiesa di San Matteo che saluta dall’alto chi arriva nella centralissima Piazza Italia. Qui è possibile trovare una sistemazione temporanea per il v.r. nei parcheggi regolamentati, altrimenti si può tentare negli slarghi adiacenti. In ogni caso è da qui, dalla chiesa matrice di Sant’Ignazio, dal giardino di palme e dai palazzetti settecenteschi del salotto buono, che ha inizio la nostra esplorazione a piedi. Nelle vie intorno ce n’è da spenderci una mattinata: giudicatelo da un breve inventario e divertitevi ad approfondire la conoscenza sul posto.
Lungo Via Nazionale, alla sinistra di Sant’Ignazio, un elegante palco della musica segna l’isola pedonale di Via Francesco Mormina Penna su cui affacciano il Palazzo Comunale costruito nel ‘900 in forme rinascimentali, la chiesa di San Giovanni con facciata convessa e pianta ellittica, vero inno al barocco, la vicina poderosa chiesa di San Michele e il settecentesco Palazzo Spadaro dagli elaborati balconi. Poco oltre, Via Nazionale immette su Piazza Busacca dominata dal complesso del Carmine, chiesa e convento, e distesa in parte sull’antica fiumara della cava di Santa Maria La Nova ora imbrigliata in un coreografico letto di pietra. Risalendo la stessa cava, sull’edilizia minore s’impongono altre due chiese: la Consolazione e, appunto, Santa Maria La Nova, una delle più grandi della città, dalle singolari forme neoclassiche.
Tornando in Piazza Italia è facile imbattersi nel Palazzo Beneventano, nascosto tra i vicoli ma il più celebrato di Scicli per l’opulento apparato decorativo. Poi si prosegue verso Via San Bartolomeo e l’omonima chiesa, miracolosamente scampata al terremoto del 1693, dove si conserva un artistico presepio di scuola napoletana, mentre alle spalle dell’edificio, risalendo un’altra fiumara di pietra, uno spettacolare presepio vivente viene ambientato ogni anno nelle numerose grotte sul fianco del canalone detto di Chiafura, abitate fino agli anni ’50. Un’altra curiosità conclude la passeggiata nella stessa zona: si tratta di una primitiva chiesa ipogea scavata sul fianco opposto del canalone all’estremità di un borghetto.
Ora si torna indietro al punto di partenza, magari per rinfrancarsi in uno dei numerosi locali di ristoro aperti in centro, ma più tardi non si deve rinunciare a un’escursione sul Colle di San Matteo. La salita inizia accanto a Palazzo Beneventano, guadagna quota fra alcune case basse e poi si apre a prospettive sempre più ampie, fino e oltre il sagrato di quella che fino al 1874 fu la prima chiesa madre di Scicli, ora abbandonata. Il sentiero aggira San Matteo e s’inerpica sui ruderi del sovrastante castello dei Tre Cantoni, da dove il colpo d’occhio sulla città è totale. Con piccole deviazioni si scopre la chiesetta barocca dello Spirito Santo e si osserva dall’alto il citato insediamento rupestre di Chiafura. Verso sud, dove il centro storico si dissolve nelle nuove espansioni, il solco di Via Garibaldi punta diritto da Piazza Italia al mare. Donnalucata dista appena 6 chilometri: come resistere al richiamo di un tonificante bagno pomeridiano?

PleinAir 432-433 – luglio-agosto 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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